Agenzie Dire. Bologna, la Dda smantella il clan Vallefuoco: 17 arresti e 100 indagati

Agenzie Dire. Bologna, la Dda smantella il clan Vallefuoco: 17 arresti e 100 indagati

Bologna, la Dda smantella il clan Vallefuoco: 17 arresti e 100 indagati

BOLOGNA- Li avvicinavano con la scusa che li avrebbero aiutati a recuperare i loro crediti, poi in realtà finivano per vessarli e chiedere soldi, oltre che ai loro debitori, anche a loro, pretendendo percentuali e interessi elevatissimi. E utilizzando violenze e minacce tipiche dei metodi mafiosi, che hanno fatto sprofondare nel terrore una cinquantina di imprenditori e commercianti dell’Emilia-Romagna, tra il 2008 e il 2010 rimasti vittime di estorsioni (circa 41 gli episodi documentati), usure e intimidazioni di ogni tipo. Qualcuno, per sfuggire a questi estorsori che facevano pesare la loro vicinanza al clan camorristico dei Casalesi, ha abbandonato la propria attività e si è reso irreperibile. Qualcun altro, per la disperazione, è arrivato a tentare il suicidio. Intanto loro, il gruppo capeggiato da Francesco Vallefuoco del clan Vallefuoco, proseguivano la loro espansione in regione (in particolare verso Rimini, Ravenna e Forlì Cesena), puntando ad allargare il proprio ‘giro d’affari’ anche nelle Marche e in Toscana, aiutati in questo da professionisti insospettabili locali (commercialisti, avvocati e notai) che si occupavano di ‘coprire’ le loro losche operazioni finanziarie.

Oggi, al termine di una indagine coordinata dalla Dda che conta 100 indagati (nel corso della quale c’erano già stati arresti nel febbraio 2011 e poi nel marzo scorso), i Carabinieri del Ros hanno arrestato 17 persone (una è ancora ricercata), accusate di associazione di stampo mafioso, estorsione, usura e tentato sequestro di persona a scopo estorsivo, aggravati dal metodo mafioso. L’indagine conta 100 indagati. Tra gli episodi più brutti c’è quello di un commerciante di abbigliamento che nel 2008, a Rimini, è stato sequestrato, legato in garage e cosparso di benzina con minacce. E’ lui che, dopo altre estorsioni subite nel 2009, si è reso irreperibile.

Oltre che torchiare gli imprenditori con le richieste di denaro, gli esponenti vicini al clan Vallefuoco arrestati oggi dai Carabinieri del Ros hanno anche costretto alcuni imprenditori a cedere loro l’attività, per servirsene ai fini di truffe fiscali a società e banche, oppure hanno prosciugato aziende di tutte le risorse disponibili e poi le hanno fatte fallire. Come è successo nel caso di una società di Calenzano, in provincia di Firenze, di cui il gruppo criminale si è impossessato convincendo poi un uomo gravemente malato a fare da prestanome in cambio di una lauta ricompensa in denaro. La vittima aveva pensato di lasciare questo denaro alla sua famiglia (sapendo di dover morire) ma non aveva fatto i conti con i personaggi di cui era caduto in trappola: quella che aveva visto come un’occasione si è trasformata in un incubo, ha subito minacce su minacce e alla fine non ha visto neanche un soldo (ed è morto).

Ma questo- insieme all’episodio del negoziante di abbigliamento minacciato di essere bruciato vivo in garage se non si fosse affrettato a pagare- è solo uno dei circa 50 episodi di estorsioni e usure che i Carabinieri del Ros hanno documentato e attribuito al gruppo. I criminali, già attivi da alcuni anni nelle province di Modena e Rimini (e anche a San Marino) avevano in mente un’espansione nelle Marche (dove hanno raggiunto le province di Ancona, Ascoli Piceno, Fermo, Macerata e Pesaro Urbino) e anche in Toscana, dove però sono riusciti a compiere reati solo tra Prato (dove stamattina è stato arrestato in un albergo Francesco Vallefuoco) e Firenze. “Siamo riusciti a bloccare questo progetto di espansione dell’organizzazione criminale”, dice il procuratore capo Roberto Alfonso.

Oltre a Francesco Vallefuoco (che era stato arrestato nel febbraio 2011 ma era nel frattempo tornato libero per decorrenza dei termini cautelari), ci sono altri esponenti di rilievo tra gli arrestati di oggi, a partire da Sigismondo Di Puorto, affiliato ai Casalesi e già arrestato in Emilia-Romagna per altre estorsioni. In manette anche tre donne: la moglie di Vallefuoco, Giustina Panico; la segretaria della società di recupero crediti attorno a cui ruotavano le estorsioni del gruppo, Marika Carcas Regnaud, e anche un’ex amante di Vallefuoco, Lucia Esposito, che è stata arrestata oggi a Brusciano, in provincia di Napoli: è accusata di associazione di stampo mafioso e gli uomini del Ros l’hanno trovata a casa del sindaco di Brusciano, Angelo Antonio Romano (Udc), con cui a quanto si apprende attualmente la donna ha una relazione.

L’indagine “Vulcano” prese il via dal tentato sequestro, nel febbraio 2009, di un ristoratore di Rolo (Reggio Emilia), preso di mira da tre pregiudicati napoletani ‘mandati’ da Vallefuoco. Il sequestro non riuscì ma da quel momento in poi, gli uomini del Ros hanno ricostruito la lunga sfilza di estorsioni e usure messe in atto dal gruppo criminale attraverso le società di recupero crediti Ises e Ises Italia: la prima filiale aprì a Modena, poi man mano si sono ‘allargati’ a Rimini, Forlì e nelle Marche. Il recupero crediti permetteva di mietere vittime ‘doppie’: dopo essersi ingraziati gli imprenditori a cui si presentavano come esattori, i criminali vessavano i loro debitori con pretese abnormi e metodi violenti. Poi, però, scattavano le minacce anche per gli imprenditori (loro committenti) da cui pretendevano esose parcelle. Le minacce erano continue e violente e più di ogni cosa pesava il loro continuo riferirsi ai legami coi “Casalesi”.

Dal 2009 in avanti le indagini sono sempre proseguite, ma nel 2011 la Dda e il Ros hanno deciso di intervenire d’urgenza, facendo arresti su ordinanza di custodia cautelare, perchè la situazione stava degenerando e alcuni commercianti della zona di Rimini e Riccione stavano rischiando la vita. Ci furono dunque arresti e perquisizioni, con cui vennero sequestrati materiale e appunti risultati molto utili per proseguire le indagini. Un aiuto al gruppo estorsivo, hanno accertato le indagini, è arrivato da una quindicina di commercialisti, avvocati, broker e notai, su cui i criminali potevano contare per svolgere le operazioni finanziarie (spesso illecite o fittizie) legate alle loro società. Questi professionisti, sparsi per le province dell’Emilia-Romagna e Marche in cui il gruppo ha operato (da Modena a Ravenna, da Rimini a Pesaro), non hanno quasi mai origine campana e sono tutti indagati (a loro non è però contestata l’associazione mafiosa).

Il gruppo, hanno appurato le indagini, aveva un’ampia disponibilità di armi, in parte denunciate in parte clandestine. Altro elemento di rilievo è il fatto che i Vallefuoco, lontano dalla terra d’origine, avevano stretto una sorta di patto di non belligeranza con altri clan presenti in Emilia-Romagna, come i Mariniello di Acerra e i Casalesi, al fine di spartirsi i guadagni. A un certo punto dell’indagine, però, è nato uno scontro tra Vallefuoco e Mariniello, legato ad alcune operazioni immobiliari. I Mariniello avevano addirittura pianificato di uccidere Vallefuoco, ma l’intervento di altri camorristi ha calmato le acque. Prima sono scesi in campo i Sacco di San Pietro a Patierno, poi anche i D’Avino di Somma Vesuviana, che hanno fatto rientrare lo scontro in cambio del 5-10% dei guadagni dei Vallefuoco.

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