Agoravox.it, Emiliano Di Marco. San Marino nella corruzione italiana

Agoravox.it, Emiliano Di Marco. San Marino nella corruzione italiana

Da agoravox.it (25 marz0 2014)

Un
filo di perla tra la Dama
Bianca, Valter Lavitola, Sergio De Gregorio e Gennaro Mokbel

Emiliano DiMarco

Le nuove cybermafie tra riciclaggio,
eversione neofascista, ‘ndrine calabresi, appalti, servizi segreti paralleli,
massoneria, narcotraffico, paradisi fiscali, fondi neri, truffe informatiche,
compravendita di voti, tangenti, controllo delle informazioni personali e
dossieraggio. Un filo di perla collega alcune delle inchieste giudiziare sul
sottobosco berlusconiano. Da Gennaro Mokbel al senatore Sergio De Gregorio, da
Valter Lavitola a Federica Gagliardi… 

 

«Tu calcola che
ne pago 80 su Roma… delle forze dell’ordine».

(Intercettazione di Gennaro Mokbel)

La gigantesca truffa da 2 miliardi di
euro
dello scandalo Telecom Italia Sparkle-Fastweb
che esplose nel febbraio del 2010 sui media italiani, esponendo alla luce
una parte del brulicante mondo del sottobosco della “finanza creativa” del
ventennio berlusconiano, come nella migliore tradizione degli scandali del
belpaese fece emergere, paradigmaticamente, tra i protagonisti principali,
politici, imprenditori dal passato oscuro e l’immancabile ombra dei servizi
segreti.

Il network criminale venuto allo scoperto,
almeno in base alle inchieste giudiziarie, rappresenta una vera e propria
evoluzione antropologica della criminalità organizzata, una nuova Cyber-Mafia,
simile a quelle descritte nella letteratura cyberpunk. Un mondo nel quale
il controllo delle informazioni e dei flussi finanziari, frutto di riciclaggio
e raggiri, di narcotraffico e commercio di armi, è il cuore di un sistema
criminale che non ha confini. Il quadro che emerge è la punta dell’iceberg di
un sistema criminale al servizio delle oligarchie finanziarie
che, sovrastando gli interessi nazionali, si digitalizzano, si
deterritorializzano in denaro elettronico, passando alla velocità delle fibre
ottiche da una parte all’altra del pianeta, attraverso le scatole cinesi
create nei paradisi fiscali, da San Marino a Hong Kong, da Londra a Managua, da
Panama alle repubbliche Caucasiche, da Singapore alle isole Cayman, per poi
riapparire nelle filiali europee grazie alla rete di appoggi costituita da
faccendieri, broker, società off-shore, clan mafiosi globalizzati, servizi
segreti deviati, esperti di diritto, giornalisti, ex terroristi, politici,
funzionari ai vertici della pubblica sicurezza e magistrati corrotti.

Fondi neri a Panama

In base all’accusa
formalizzata dagli inquirenti, a conclusione delle indagini per l’inchiesta
Phuncards-Broker
, Telecom Italia Sparkle e Fastweb fungevano da cassa,
dalla quale estrarre le somme per il riciclaggio, in cambio dell’aumento dei
crediti Iva verso l’erario, dell’aumento di fatturato e dei margini ottenuti
grazie alla riappropriazione di parte dell’Iva, pagata alle società
“cartiere” C.M.C. s.r.l., Web Wizard srl, I-Globe s.r.l. e Planetarium
s.r.l., tutte costituite da altri partecipanti all’associazione. Le uscite per
il pagamento dell’Iva prelevate dalle bollette dei clienti nell’ordine di
centinaia di milioni di euro, erano spese solo apparenti e venivano versate in
favore delle società cartiere, in realtà indirizzate poi su altre società
fittizie per creare dei fondi neri.

In Inghilterra l’ingegnoso sistema poteva
contare su una rete di imprese fantasma, di cui gli indagati a vario titolo
possedevano delle quote societarie che facevano riferimento a Andrew
Neave
e Paul O’Connor, soci e
amministratori della Fulcrum Inc., della società di diritto inglese Acumen Uk
Ltd., della Acumen Europe e della società di diritto finlandese ACCRUE
Telemedia Oy. Neave risultava anche presidente della Ubique Italia Holding di
cui O’Connor era socio, mentre l’ex giudice Colin Dines e
suo figlio Edward, figuravano rispettivamente presidente e socio della Diadem
Uk Ltd, di proprietà per il 50% della Acumen Uk.

Il coordinamento
dell’inchiesta era passato sotto il controllo della Procura
Distrettuale Antimafia
di Roma, dopo che due indagini, una della
Guardia di Finanza
sulle carte telefoniche prepagate Phuncards,
la quale aveva scoperto i movimenti sospetti di capitali su un conto
corrente, ed un’altra dei ROS sul conto corrente di un
imprenditore che aveva dovuto versare una tangente di un milione e mezzo di
euro in favore di un ufficiale delle fiamme gialle, Luca Berriola,
si erano incrociate con il protagonista principale. La tangente era passata per
Panama ed aveva portato i magistrati sulla Broker
Management SA
di Augusto Murri, dove finivano i
flussi finanziari provenienti dalla truffa delle carte telefoniche prepagate
Phuncards, in cui un ruolo centrale era assunto da Fabio Arigoni,
amministratore unico di Telefox e Telefox
International
, collaboratore di Gennaro Mokbel.

La rete di società creata
dall’imprenditore Gennaro Mokbel si occupava della falsa
fatturazione di servizi telefonici e telematici. L’organizzazione della truffa,
ideata dal prof. Carlo Focarelli (docente di diritto
internazionale alla LUISS), si avvaleva di complicità e connivenze a diversi
livelli, a cominciare dall’avvocato penalista romano Paolo Colosimo,
il quale già nel 2007 era finito coinvolto nel crac del gruppo Coppola
dell’immobiliarista romano Danilo Coppola; del maggiore Luca
Berriola
della Guardia di Finanza; fino alla copertura legale dello studio
Vitali-Romagnoli-Picardi
, fondato dall’ex Ministro dell’Economia e
delle Finanze Giulio Tremonti (in carica nel periodo in cui si
consumò la truffa), che ha garantito a Fastweb la fattibilità del traffico
telefonico sotto il profilo del regime IVA, non facendo pagare l’Iva sui
pagamenti ricevuti dalle società inglesi clienti di Fastweb e di Telecom Italia
Sparkle. Il gap tra l’Iva pagata in Italia dalle due società telefoniche e
l’Iva che non veniva incassata dai clienti stranieri consentiva alle due
società di creare il proprio credito Iva fittizio.

Seguendo i movimenti e le conversazioni di
Gennaro Mokbel, che aveva rapporti con le ‘ndrine calabresi per le operazioni
di riciclaggio, e di Luca Berriola, gli inquirenti scoprirono che l’elezione
del senatore Nicola Di Girolamo, in una circoscrizione degli
elettori italiani all’estero, era stata ottenuta grazie al sostegno degli
affiliati del clan calabrese degli Arena di Isola
Capo Rizzuto
.

Un ramo dell’inchiesta toccò poi anche gli
interessi di Gennaro Mokbel nell’affare della compravendita di gioielli e diamanti, estratti in Uganda
e lavorati in Cina, un intreccio di società ed investimenti
all’estero, riciclaggio di denaro, gestiti da Marco Toseroni e
Silvio Fanella, il cassiere di Mokbel.

Al processo in primo grado, conclusosi lo scorso ottobre, sono
stati condannati Gennaro Mokbel (15 anni), sua moglie Giorgia Ricci
(8 anni), Carlo Focarelli (11 anni), Luca Berriola
(7 anni), Paolo Colosimo (5 anni e 4 mesi). Assolti tutti gli
altri personaggi coinvolti nell’inchiesta giudiziaria.

 

Finmeccanica nera

L’indagine investì anche la
galassia nera di Finmeccanica. Nel 2011 la magistratura scoprì
un giro di appalti e ricche commesse per l’Enav, l’Ente
Nazionale di Assistenza al Volo, e alcune società della holding di Stato di via
Montegrappa. L’inchiesta portò agli arresti domiciliari Guido Pugliesi,
amministratore delegato dell’Enav, Manlio Fiore direttore
tecnico di Selex Sistemi Integrati e Marco Iannilli
il commercialista del “sistema Mokbel”. In base all’accusa, i lavori assegnati
a Selex e subappaltati alle società Print System, Arc
Trade
, Techno Sky e altre erano sovraffatturati per
redistribuire i ricavi tra i soggetti coinvolti, compresi esponenti dell’Enav.

Dall’inchiesta emerse anche che Finmeccanica
aveva ceduto a Gennaro Mokbel il 51% delle quote di una delle sue società, la Digint,
pagate ad un prezzo considerato molto superiore al loro valore reale. La mediazione venne portata avanti dal superconsulente di
Finmeccanica Lorenzo Cola, attraverso il manager Marco
Iannilli
, con una transazione che fece finire su due suoi conti
svizzeri circa 8 milioni e mezzo di euro. L’inchiesta
coinvolse anche uno dei manager della società di revisione Ernest &
Young Italia
, Giuseppe Mongiello, dalle cui
dichiarazioni i magistrati appresero le relazioni dirette tra Cola ed i vertici
del SISMI, in quanto il superconsulente avrebbe
prospettato a Mongiello il progetto a casa sua in compagnia del capocentro di
Milano del servizio segreto militare, Maurizio Pozzi.

Finmeccanica era particolarmente interessata all’acquiszione
della tecnologia sviluppata dalla Ikon di Garbagnate Milanese,
una software house che produce programmi di spionaggio elettronico, anche per
uso militare, creata nel 2000 da Fabio Ghioni, conosciuto come
Divine Shadow, l’hacker più famoso d’Italia, diventato poi
capo della security informatica di Telecom. La Ikon era poi passata sotto il
controllo della Digint. Il senatore Nicola Di Girolamo,
coinvolto con Mokbel e Marco Toseroni nell’indagine, avrebbe
poi spiegato ai magistrati che l’obiettivo vero dell’operazione
Digint era di creare un fondo nero finalizzato al libero
accesso alle forniture di armamenti prodotti dal gruppo Finmeccanica, da
collocare sul mercato asiatico, attraverso una società che sarebbe poi stata
aperta a Singapore e Hong Kong. L’operazione
però non fu portata a termine perché Finmeccanica non avrebbe dato seguito alle
richieste di armamenti.

Nell’indagine furono
coinvolti i vertici di Finmeccanica. Guarguaglini si difese
sostenendo di non conoscere Lorenzo Cola, lo sconosciuto e potentissimo
superconsulente che usava portare una svastica appesa al collo, collezionista
di cimeli appartenuti ad Adolf Hitler, il quale però in
carcere scrisse un memoriale di 39 pagine, consegnato poi al settimanale l’Espresso, in cui rivelò
alcuni dei retroscena inediti della gestione dell’amministratore delegato e di
sua moglie, dimostrando invece il ruolo assunto in alcune trattative riservate
con la Libia di
Gheddafi per entrare nel capitale di Finmeccanica e per
l’acquisizione della società americana Drs Technologies.

Durante l’inchiesta relativa
alla vicenda Digint-Finmeccanica fu gambizzato nel suo studio legale Piergiorgio
Manca, avvocato di Marco Iannilli, e fu
trovato morto nel carcere di massima sicurezza di Sollicciano (FI),
dopo soli quattro giorni dal suo arresto, Niki Aprile Gatti,
un programmatore di 26 anni che lavorava da un anno e mezzo per la Oscorp
SpA
, finito involontariamente nell’inchiesta Premium sui
numeri a pagamento 899 e 892,
in cui erano state incriminate la Oscorp SpA,
Orange, AT&T e TMS,
tutte residenti a San Marino, la FlyNet di Piero
Mancini
, Presidente dell’Arezzo Calcio, più altre società con sede a Londra.
Pochi giorni dopo il padre del giovane programmatore trovò l’appartamento dove
viveva suo figlio a San Marino completamente ripulito.
Casualmente anche la sede della Oscorp SpA risultò aver subito una visita dei
ladri.

Il ragazzo, l’unico dei 18 arrestati che non
si avvalse della facoltà di non rispondere, fu messo in cella con due
pericolosi detenuti e morì 10 ore dopo aver chiesto di parlare con i
magistrati. Durante i pochi giorni in carcere, aveva ricevuto un telegramma in
cui gli si chiedeva di cambiare avvocato e di eleggere domicilio legale presso
lo studio dell’avvocato Umberto Guerini di Bologna,
un ex consigliere comunale del PSI che, quando era nel collegio di difesa dei
familiari delle vittime della strage di Bologna, fu espulso per il suo
coinvolgimento nella calunnia di due giudici, attraverso il settimanale Critica
Sociale
del PSI. In seguito, una nota del giudice
Persico
fece emergere i rapporti tra l’avvocato Guerini ed il SISMI
(tutta la vicenda qui). Umberto Guerini era anche Presidente del CdA della Sofisa,
una società finanziaria di San Marino, che aveva rapporti con la Oscorp Spa.
La società, divenuta poi SIBI fu messa sotto commissariamento.
L’avvocato Guerini aprì poi una filiale a Londra, la Sofisa Uk
Ltd
.

L’inchiesta Premium,
poi sparita dai radar, presentava delle analogie con l’inchiesta Phuncards-Broker
e portò i magistrati inquirenti fino a Londra, dove a gestire
le operazioni finanziarie erano la
Plug Easy e la Global
management ltd
, di proprietà di due calabresi di Cirò Marina,
Francesco e Giuseppe Cimieri, che insieme a Carlo
Contini
avrebbero riciclato 55 milioni di euro del
boss di Niscemi, Salvatore Menzo. I cittadini colpiti dalla
truffa si trovavano sulle bollette telefoniche caricati dei pagamenti per servizi
899
e 892 (fino a 12,5 euro per minuto), che venivano
distribuiti poi alla FlyNet per il 10%, il 24% alla
società assegnataria dei numeri di tariffazione internazionale, ed il 64%
alla società dei fratelli Cimieri.

Un faccendiere battente bandiera
panamense

«Lavitola mi ha
sempre detto che dietro i contratti tra Finmeccanica e il governo di Panama
c’era un nero di 30 milioni di euro destinato al presidente Martinelli, che era
in società con lui, e che il suo contratto di consulenza con Finmeccanica, per
30 mila dollari, era solo la sua copertura a Panama».

(Dichiarazione di Mauro Velocci, presidente
di Svenmark)

Altre grane relative al
periodo della gestione Guarguaglini della holding Finmeccanica sono piovute dal
fronte giudiziario sulla trattativa per la commessa di elicotteri e sistemi di
difesa alla Repubblica di Panama. Per la vicenda sono stati rinviati a giudizio, l’ex direttore commerciale di
Finmeccanica Paolo Pozzessere e il faccendiere Valter
Lavitola
, in buoni rapporti con il presidente di Panama Ricardo
Martinelli
, con l’accusa di aver preteso un illecito guadagno
“attraverso il pagamento da parte delle società (…) di oneri per assistenza e
consulenza alla società Agafia Corp SA allo scopo costituita e
di fatto riconducibile a Ricardo Martinelli”.

Le tangenti pretese da Valter
Lavitola erano almeno due, una per l’aggiudicazione dell’appalto
da 176 milioni di euro
 alla Svemark di Vazzola
(Tv), società del consorzio Precetti, per la realizzazione di 4
carceri modulari
a Panama City
(affare poi sfumato), l’altra per la fornitura di di un sistema di vigilanza
costiera, cartografie e sei elicotteri, appaltato alle società Telespazio
Argentina
, Agusta Weestland e Selex Sistemi
Integrati
del gruppo Finmeccanica per 230
milioni di euro.
L’accordo fu sottoscritto nel giugno del 2010, con
tanto di tangenti, di cui una da 18 milioni di euro solo per
il presidente Martinelli. Tra gli accordi anche una compensazione industriale
per i lavori di allargamento del canale di Panama, che avrebbe interessato la Impregilo.
Lavitola avrebbe promesso un trattamento di riguardo al
colosso italiano per la realizzazione della metropolitana di Panama City, un
affare per un miliardo e mezzo di euro, in cambio del quale
Impregilo avrebbe dovuto finanziare un ospedale che sarebbe stato realizzato da
una ditta vicina al presidente del paese centroamericano (affare poi sfumato).

“Papa
(Alfonso ndr) mi ha sempre detto che il suo amico maresciallo (Enrico Giuseppe
Francesco La Monica,
uno degli indagati, ndr) era persona introdotta negli ambienti giudiziari in
grado di assumere notizie riservate riguardanti procedimenti penali. Mi ha
detto più volte che il militare era una delle sue “fonti”. Papa mi
disse che il maresciallo La
Monica si era rivolto a Lavitola per essere raccomandato per
entrare all’Aise. Tale circostanza me l’ha riferita il colonnello Sassu che mi
disse che Lavitola aveva raccomandato il maresciallo a Berlusconi che aveva poi
parlato con qualcuno all’Aise”.

(Dichiarazione di Luigi Bisignani al PM John
Woodcock
il 9 marzo 2011)

Nato a Salerno nel 1966, il
“giornalista-imprenditore” Valter Lavitola è stato editore,
con la cooperativa International Press, dell’Avanti!,
consulente e faccendiere, titolare di diverse società tra cui la VL Consulting,
con sede a Roma, una società di ricerca, progettazione e formazione, con la
quale ha avuto un contratto di consulenza per un anno con Finmeccanica. In
società con Neire Cassia Pepes Gomes della Empresa
Pesqueira de Barra de São João
, con base a Rio De Janeiro,
ha interessi nell’import-export di pesce surgelato, congelato ed essiccato. Nel
2004 è stato candidato alle europee nella lista di Forza Italia, primo dei non
eletti con 51.283 voti di preferenza. A partire dal 2010 è
protagonista di diversi scandali, come la “bufala che colpì il cognato di Gianfranco Fini,
Giancarlo Tulliani, per la vicenda dell’appartamento di
Montecarlo.      

“Lei (Silvio
Berlusconi ndr), subito dopo la formazione del governo, in questa legislatura,
con Verdini e Ghedini presenti, mi disse che era in debito con me (…) per aver
io comprato De Gregorio, tenuto fuori dalla votazione cruciale Pallaro, fatto
pervenire a Mastella le notizie dalla procura di Santa Maria capua Vetere, da
dove erano arrivate le pressioni per il vergognoso arresto della moglie…”

(Lettera di Valter Lavitola a Silvio
Berlusconi
)

Per sua stessa ammissione, Lavitola ha
contribuito alla caduta del governo Prodi, facendo
pervenire al ministro della Giustizia Clemente Mastella la
notizie di essere indagato dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per una
tentata concussione nei confronti del direttore generale dell’Ospedale di
Caserta, Luigi Annunziata. Pochi giorni prima era stata
arrestata la moglie del ministro di Ceppaloni, Sandra Lonardo,
allora presidente del consiglio regionale della Campania, per le indagini
dell’inchiesta Why Not?, un’inchiesta per frode e truffa sui
fondi pubblici regionali e comunitari della Calabria e della Basilicata,
destinati alla formazione di personale specializzato in informatica, che
ruotava intorno ad una misteriosa loggia massonica coperta, chiamata la Loggia
di San Marino
. L’inchiesta (e le manovre di Lavitola) provocarono la
fuoriuscita dell’Udeur dalla maggioranza, grazie anche al
ruolo centrale assunto dal senatore Sergio De Gregorio il
quale si unì al gruppo di senatori “dissidenti”, facendo cadere il governo di
centro-sinistra, il 24 gennaio del 2008.

Il patto del tradimento era
stato siglato tra Lavitola, De Gregorio e Silvio Berlusconi, il 30
marzo 2007
, ad una manifestazione del movimento Italiani nel
Mondo
, a Reggio Calabria. Al
senatore andarono un milione di euro per il suo movimento, e due milioni di
euro in nero da Lavitola (il quale però sostiene che De Gregorio abbia ricevuto
8 milioni). Il faccendiere salernitano e il senatore dissidente dell’Italia dei
Valori si misero all’opera poi per acquistare altri senatori offrendo dai 2
ai 5 milioni di euro e la rielezione sicura
alle successive elezioni.
De Gregorio e Berlusconi, secondo i magistrati, avevano un accordo già
nel 2006
, quando il senatore dell’IdV fu eletto presidente della commissione
Difesa del Senato
, con i voti determinanti del centrodestra. In
commissione, a partire dal 2007, sposterà il suo voto con quello
dell’opposizione di centrodestra, mandando in minoranza (13 contro 11) la
“maggioranza”, e iniziando un’azione di disturbo e di provocazione dell’ala antimilitarista
del governo Prodi, sin dall’estate del 2006, quando (non a caso) incontrò l’ambasciatore
americano Ronald Spogli
. La crisi del governo Prodi ebbe effetti
drammatici, con il voto anticipato ed il radicale mutamento del quadro
politico. Un motivo valido affinché Berlusconi tenesse in grande considerazione
un personaggio come Lavitola anche successivamente.

Tra il 2010 ed il 2011 Valter Lavitola emigra
opportunamente in America Latina, rendendosi irreperibile ai mandati di cattura
per truffa fraudolenta, in concorso con il senatore del PdL Sergio De
Gregorio
, per i finanziamenti erogati su dati di vendita gonfiati, in
base alla legge sull’editoria, tra il 1997 ed il 2009, al quotidiano l’Avanti,
di cui Lavitola era anche direttore. I guai di Lavitola che era indagato con
l’imprenditore pugliese Paolo Tarantini per la vicenda delle escort
per l’utilizzatore finale di Palazzo Chigi, riguardavano anche
una vicenda ancora più scottante: le modalità di recruiting nella
nuova agenzia per i servizi segreti, l’AISE (Agenzia
Informazioni e Sicurezza Esterna).

Indagati dai magistrati
dell’inchiesta sulla cosiddetta P4, e chiamati a chiarire i
meccanismi di raccomandazione per entrare nei servizi segreti, il faccendiere Luigi
Bisignani
e il deputato ed ex magistrato Alfonso Papa,
dichiareranno che il carabiniere a cui si rivolgevano, in grado di ottenere o
divulgare informazioni sulle indagini in corso, era Enrico La Monica, il quale
si era rivolto a Lavitola per essere raccomandato nell’AISE.
Successivamente, per sfuggire nelle indagini, sarebbe stato mantenuto in
Senegal da Lavitola (almeno stando a quanto il faccendiere
salernitano dichiara nella lettera a Berlusconi). Lavitola, secondo
Bisignani, aveva già fatto entrare nei servizi il colonnello Giuseppe
Sassu
(in forza al DIS). La vicenda venne poi confermata da uno dei
dirigenti del servizio segreto, Giuseppe Santangelo, che
riferirà ai magistrati che la raccomandazione per La Monica era arrivata dal vicedirettore
dell’AISI
e direttore della rivista Gnosis, Francesco
La Motta

(arrestato nel giugno del 2013 con l’accusa di aver
costituito dei fondi neri in Svizzera e favorito il clan Polverino-Nuvoletta
nelle attività di riciclaggio, informando anche i camorristi delle
indagini a carico da parte degli uffici giudiziari). L’inchiesta finirà
anche per gettare fango sul nuovo direttore dell’AISI, il generale Adriano
Santini
, tirato in ballo da Bisignani, che riferì ai magistrati di
aver ricevuto una segnalazione per raccomandarlo a Gianni Letta
da parte dell’onorevole Italo Bocchino.

La circostanza che ha portato all’arresto
l’ex vicedirettore dei servizi segreti civili, Francesco La Motta, ha trascinato nelle indagini giudiziarie altri funzionari del
ministero dell’Interno, come il prefetto Angela Pria, capo del
dipartimento Libertà Civili ed Immigrazione, il prefetto Lucia Di Maro,
direttrice del Fondo per gli Edifici di Culto, il prefetto Bruno
Frattasi
, capo dell’Ufficio Affari Legislativi e Relazioni
Parlamentari, ed altri dirigenti e funzionari. 

La gravissima accusa di collusione
con la camorra
al dirigente dei servizi segreti ha un parallelo con
un’altra vicenda giudiziaria che interessa invece l’ex senatore De Gregorio. Il
26 aprile 2005 la Guardia
di Finanza arrestò a Marano Rocco Cafiero,
detto ‘o caprariell’, un importante contrabbandiere e
riciclatore, considerato un anello di congiunzione tra le
centrali di narcotraffico e droga del nord Africa, della Grecia,
del Montenegro, tra la Sacra Corona Unita
ed il clan Nuvoletta-Polverino di Marano e Quarto
di Napoli. Tra i beni mobili ed immobili sequestrati, le fiamme gialle
trovarono anche assegni dell’importo di 500.000 euro firmati o
girati da De Gregorio. Nel filone d’inchiesta sui Nuvoletta-Polverino, emersero
anche le implicazioni dell’avvocato Bruno Turrà, candidato
alle comunali di Napoli con l’Italia dei Valori nel 2006, e
alle regionali in Campania del 2010 con il movimento Italiani nel Mondo.
Sua moglie, Gaia Morace, è socia della Italiani nel
Mondo Channel s.r.l.
, di cui anche il marito (fino al 2008) era
consigliere. In una dichiarazione del collaboratore di giustizia, Gaetano
Vassallo,
faccendiere dei clan di Giugliano ed i casalesi, dichiarò
che a presentargli Turrà fu Gaetano Cerci, genero del boss
Bidognetti
e collegato a Licio Gelli, il quale gli
rivelò che “aveva una parte delle quote del Magic World di Licola mentre la
restante parte era di proprietà dei Mallardo (clan di camorra
del giuglianese) tramite prestanome” (Alessandro De Pascale, La
compravendita
, pag.93)

La latitanza di Lavitola a Panama, con auto
di lusso e bodyguard presidenziali, non gli impediva di seguire le missioni di Silvio
Berlusconi
in America Latina. Oltre che a Panama, Lavitola è stato
l’organizzatore dei pernottamenti del premier anche in altre occasioni
ufficiali, come in occasione del Forum Italia-Brasile di San
Paolo
, dove il faccendiere organizzò anche una serata con sei ballerine di lap-dance nella suite dell’Hotel
Tivoli
. Dell’incontro sarebbe esistito anche un leggendario video a
luci rosse, girato da Lavitola all’insaputa del premier, che sarebbe stato
fatto opportunamente sparire dai computer del faccendiere dall’imprenditore
Mauro Velocci. Nel video, stando alla leggenda, si vedrebbe anche il presidente
di Panama, Martinelli, mentre assume cocaina.

 

Lo scandalo
Telecom-SISMI del 2006

La Telecom, appena quattro anni prima della vicenda Telecom
Italia Sparkle – Fastweb
, era stata già investita dallo scandalo Telecom-SISMI,
che portò alla luce un sistema di intercettazioni illegali ad alto livello
tecnologico, effettuate dai responsabili della sicurezza della compagnia
telefonica, in complicità con poliziotti, carabinieri, finanzieri ed agenti
segreti italiani ed esteri. Le informazioni su politici, imprenditori,
giornalisti, magistrati, personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport,
venivano raccolte e dossierate da tre ex carabinieri che negli anni ’80 avevano
fatto parte della SSA, la Sezione Speciale
Anticrimine
nella squadra antiterrorismo, gli “Invisibili”, creata dal
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: Giuliano Tavaroli,
capo della sicurezza in Telecom; Marco Mancini, diventato
numero 2 del SISMI; ed Emanuele Cipriani, titolare di tre
agenzie private di investigazione: la
Polis d’Istinto di Firenze
(con sede legale in un ufficio di Firenze intestato alla nuora di Licio
Gelli
), la Plus
Venture
Management delle Isole
Vergini, la Security
Research
Advisor di Londra (con
fatturati per il 50% della Polis e fino all’80% di PVM e SRA basato su commesse
di Pirelli e Telecom).

I tre raccoglievano le informazioni
illegalmente avvalendosi di un gruppo di hacker da loro creato,
chiamato Tiger Team. L’attività di dossieraggio poteva contare
inoltre su ex collaboratori del SISDE, come Marco Bernardini e
Giampaolo Spinelli (ex agente CIA in Italia); l’ex capo della
sicurezza informatica di Telecom Fabio Ghioni; il capo della
security di Pirelli e Telecom Giuliano Tavaroli (che disponeva
di 500 uomini al suo servizio); l’ex ufficiale di collegamento tra i servizi
segreti italiani e francesi, poi funzionario dell’Europol all’Aja, Fulvio
Guatteri
; e il giornalista di Famiglia Cristiana Guglielmo
Sasinini
.

Il gruppo agiva come una sorta di
Intelligence parallela, vendendo i dossier informativi ad agenzie, uomini di
potere e giornalisti, ed era in grado anche di acquistare le note informative
prodotte dai servizi segreti civili, ad un prezzo che oscillava tra i 2000
ed i 4000 euro a fascicolo
(come rivelerà Marco Bernardini ai
magistrati).

“…tutto quanto è
reale ora vive anche dentro un’altra dimensione, dentro un’altra scatola, o
dentro un altro corpo, se vuoi. Come in Avatar. La rete, il web,
internet sono il nostro Pandora, sono un altro pianeta. Un mondo che ha
caratteristiche geofisiche differenti, costumi, leggi, e forme di
illegalità…diverse. La gente se ne accorge quando qualche pazzo pubblica le
peggio nefandezze su Facebook, e sembra che nessuno possa impedirlo. Ma bisogna
capire il perché…”

(Tratto da un’Intervista a Fabio
Ghioni
su Affari Italiani)

Fabio Ghioni, con l’imprenditore Roberto Preatoni,
svolgeva un ruolo strategico, effettuando delle incursioni nei sistemi
informatici, grazie al Tiger Team, di cui facevano parte alcuni hacker come Alfredo
Melloni
, Rocco Lucia e Andrea Pompili,
i quali vennero incaricati anche di mansioni ufficiali, come la gestione della
sicurezza informatica del vertice Nato-Russia di Pratica di
Mare del 28 maggio 2002, un vertice in cui debuttò la Protezione Civile
di Bertolaso in veste di struttura organizzatrice dei grandi
eventi. Il sistema ideato da Ghioni, con gli attacchi informatici ai gruppi
imprenditoriali, veniva accompagnato poi sotto la veste di una società di
consulenza informatica, dall’offerta di consulenza per la protezione
informatica ai sistemi. Un sistema che nei fatti riproduceva il metodo
del”cavallo di ritorno”, che andò avanti fino a quando l’RCS
non presentò formale denuncia. Durante l’inchiesta che ne scaturì, morì a
Napoli il responsabile della sicurezza interna di Telecom Italia
Mobile, Adamo Bove
, cadendo da un viadotto della Tangenziale di
Napoli, il 21 luglio del 2006. Attraverso Bove il servizio segreto parallelo di
Mancini, Tavaroli e Cipriani era in grado di acquisire informazioni sul
traffico degli utenti di Tim ed altri gestori, con dei sistemi operativi
speciali, il Circe, ed il Radar.

Le utenze sotto controllo interessavano
manager, gruppi imprenditoriali, ma anche militari e funzionari di Stato, dei
ministeri della Difesa, degli Esteri, militari dei comandi dei carabinieri. Il
gruppo collaborava anche con i servizi segreti esteri, attraverso Mancini, come
appurato dai magistrati. L’indagine della magistratura su Mancini fu fermata
dall’apposizione del segreto di Stato.

 

Chi è Gennaro Mokbel?

“Gennaro Mokbel
secondo me è un uomo molto più potente di quanto non si ritenga. E anche
ridurlo al rango di…come dire, di riciclatore o di raccoglitore di denaro
illecito forse è un po’… è sbagliato. Secondo me Mokbel è alla testa di
qualcosa d’importante, dal punto di vista politico e in questa logica si
muovono anche altri personaggi, al di là di Andrini, ma anche altri. Mokbel è
il punto di emergenza di una… come dire, di una suborganizzazione di Alleanza
Nazionale.” 

Avv. Carlo
Taormina
in Report, puntata del 21 novembre 2010

 “Un ragazzino sbandato,
avvezzo alla violenza e alle droghe, un capellone con idee anarchiche fino a 20
anni, poi estremista di destra, che si autodefiniva naziskin, un ragazzetto
nato negli anni ’60 nella zona di piazza Bologna da una famiglia piccolo
borghese, uno che militò nella gioventù nera romana all’epoca che preludeva
agli anni di piombo“. 

Valerio “Giusva” Fioravanti

Gennaro Mokbel, nato nel 1960, figlio di un diplomatico egiziano, di
madre napoletana, cresciuto a Roma nel quartiere Nomentano, collezionista di
busti di Hitler e Mussolini, ex compagno di scuola di Francesca Mambro,
frequentatore fin da giovanissimo dell’eversione di destra, tra la Banda
della Magliana
e la galassia neofascista, come Massimo
Carminati
, è sicuramente uno dei personaggi più controversi e
rappresentativi dell’Italia degli ultimi due decenni, a cui il vestito di
“faccendiere” sembra calzare a pennello, sicuramente più di quello di
imprenditore, di broker o di politico. Qualche piccolo problema con la
giustizia per reati di droga tra il 1980 ed il 1982, poi all’arresto eclatante,
il 22 maggio del 1992 quando, nell’ambito delle indagini sull’assassinio del
boss Enrico “Renatino” De Pedis, a casa sua venne trovato
in compagnia di Antonio D’Inzillo, ex militante dei NAR
collegato alla Banda della Magliana. Mokbel aveva 32 anni e
Antonio D’Inzillo era un personaggio già noto nella criminalità romana (il
“pischello” di Romanzo Criminale).

Figlio di un noto ginecologo
romano, il 17 dicembre del 1979, quando aveva 16 anni, D’Inzillo aveva fatto
parte del commando che doveva uccidere l’avvocato Giorgio Arcangeli.
Il mandante dell’omicidio, Sergio Calore, di Ordine
Nuovo
, per vendicare un tradimento, incaricò dell’esecuzione
Valerio Fioravanti
e Bruno Mariani i quali, non conoscendo
le fattezze fisiche di Arcangeli, sbagliarono e colpirono a morte il povero Antonio
Leandri
, uno studente ventiquattrenne che si trovava per caso davanti
l’abitazione dell’obiettivo. In quell’occasione D’Inzillo ebbe il compito di
guidare l’auto durante la fuga, durante la quale, dopo essersi divisi, vennero
arrestati Mariani, Calore e D’Inzillo, a bordo di un’altra auto “pulita”, sulla
quale vennero ritrovate armi e bombe. In questura D’Inzillo, dopo aver appreso
la notizia della morte di un innocente, confessò in lacrime.

Nel 1985 l’ex baby killer
D’Inzillo è scarcerato per decorrenza dei termini, ma ormai è nel giro. Nel
1989 viene condannato a quattro anni per possesso di armi. Esce dopo soli due
anni, ma in carcere entra in contatto con la Banda della Magliana.
Dopo aver ucciso per “errore” la fidanzata, durante una lite, fugge in
Belgio. Viene condannato in contumacia all’ergastolo, con l’accusa di aver
guidato la moto accompagnando Marcello Colafigli sul luogo
dell’assassinio di De Pedis, per ordine degli scissionisti della banda.

Dopo l’arresto in casa di Mokbel, D’Inzillo
riuscì misteriosamente a fuggire, cosa possibile solo grazie a speciali
coperture, e far perdere le sue tracce fino al 26 giugno 2008, quando Il
Giornale
riportò la notizia secondo cui sarebbe morto di epatite
fulminante a 44 anni a Nairobi, in Kenya, con
il corpo cremato mezz’ora dopo il decesso. Lo stesso articolo riporta una
informativa secondo cui D’Inzillo avrebbe lavorato al servizio di
apparati governativi come coordinatore militare di attività illecite e segrete
,
quali la raccolta e il trasporto di legname rubato in territorio sudanese oltre
al traffico di particolari risorse minerarie, come l’oro del Congo. Avrebbe
ricoperto anche un ruolo con la Lord Resistance Army,
organizzazione paramilitare d’ispirazione cristiana specializzata in
scorribande oltre confine, sovrintendendo i gruppi armati a difesa dei lavori
per la costruzione di strade, partecipando come consulente alla costruzione di
una diga. La magistratura riteneva che i diamanti da 150 carati e le pietre
preziose sequestrate a Gennaro Mokbel provenissero proprio dall’Uganda. 

Via Gradoli 96, la
tela del ragno

Altra vicenda che ruota
intorno al personaggio Gennaro Mokbel riguarda la sorella, Lucia Mokbel,
la quale abitava a civico 96 di via Gradoli, proprio la porta
di fianco all’interno 11 dove era situata la base
operativa delle BR di Mario Moretti
. Il palazzo di via Gradoli fu
perquisito senza esito dalla polizia, il 18 marzo del 1978, due giorni
dopo il rapimento dello statista, al comando del vicequestore Elio
Cioppa
, capo del Reparto Mobile, poi divenuto responsabile del SISDE
di Roma (tessera P2 n. 1890, fasc. 0658).

Lucia Mokbel all’epoca del sequestro Moro era una studentessa universitaria,
conviveva con Gianni Diana ed aveva avuto in comodato l’uso
dell’appartamento all’interno 9 di Via Gradoli 96 circa un paio di mesi prima
del rapimento. Gianni Diana era domiciliato presso lo studio del commercialista
Galileo Bianchi, in via Ximenes 21, ed era collega di un’altra
inquilina di Via Gradoli 96, Sara Iannone Bianchi. Il covo
brigatista fu scoperto causalmente il 18 aprile del 1978, per una doccia
lasciata “maldestramente” aperta, causando l’allagamento del bagno e
un’infiltrazione d’acqua nell’appartamento sottostante. I condomini chiesero
l’intervento dei vigili del fuoco, che scoprirono così il covo brigatista,
mentre una redazione romana riceveva una telefonata con le indicazioni per il
ritrovamento del falso comunicato n.7 (il comunicato della
“Duchessa”) in cui veniva annunciata la morte di Aldo Moro

Pochi giorni dopo Gianni Diana divenne
amministratore della società Monte Valle Verde srl,
immobiliare proprietaria degli appartamenti di Diana e Iannone che, in seguito
allo scandalo dei fondi neri del SISDE del 1993, si scoprì
essere una società di copertura dei servizi segreti. Ben 24
dei 66 appartamenti
delle due palazzine di via Gradoli erano di
proprietà di tre società, la
Monte Valle Verde s.r.l., la Caseroma s.r.l. e la Gradoli S.p.A., tutte
fiduciarie del SISDE.

L’appartamento-covo delle BR era stato
affittato da Moretti con un contratto (privo di date e di decorrenza) stipulato
nel 1975, a nome di Mario Borghi, che non venne mai
registrato. I proprietari dell’immobile, i coniugi Giancarlo Ferrero
e Luciana Bozzi non inserirono nel contratto l’utilizzo del
box auto del garage in via Gradoli 75, che invece veniva usato regolarmente dal
capo delle BR. Dopo il sequestro Moro, Giancarlo Ferrero divenne un potente
manager di informatica e telecomunicazioni, con incarichi che richiedevano il NOS
(“Nulla Osta Sicurezza”, rilasciato dalla NATO, previo parere favorevole degli
organismi di sicurezza italiani), fino a diventare consigliere
d’amministrazione di OMNITEL Italia e amministratore delegato
della Bell Atlantic International Italia srl, la
multinazionale americana di servizi e prodotti delle telecomunicazioni,
fornitrice anche di apparati di sicurezza e militari.

Lucia Mokbel, al primo processo Moro,
raccontò che, in occasione delle perquisizioni effettuate il 18 marzo 1978 nello
stabile di via Gradoli, consegnò un bigliettino ai poliziotti
chiedendo venisse fatto pervenire al vicequestore Cioppa, in cui lei faceva
sapere di aver sentito alle tre di notte il ticchettìo di una trasmissione in codice
Morse
che proveniva dall’interno 9. Il bigliettino sarebbe
poi misteriosamente sparito.

 

Affari dal “pollice verde”

“Ma è
possibile acciuffà quello sulla Colombo?”

“No, quello
è di Salabè, un operatore dei servizi segreti”.

(Intercettazione
telefonica tra Giancarlo Scarozza e Carmine Fasciani,
boss di Ostia)

Lucia Mokbel è sposata con il costruttore Giancarlo
Scarozza
, figlio di Maria Antonietta Finocchi e
nipote dell’ex numero 2 del SISDE, Michele Finocchi,
coinvolto con il direttore amministrativo del servizio segreto civile Maurizio
Broccoletti
 nello scandalo dei fondi neri del SISDE. La coppia
Mokbel-Scarozza finì nel mirino della magistratura per l’affare dei Punti Verde Qualità della giunta Alemanno,
un affare che più che verde prese le tinte fosche del nero. Dodici dei punti
verdi appaltati risultarono riconducibili a parenti ed amici di Antonio
Lucarelli
, ex leader di Forza Nuova, poi capo della segreteria di
Alemanno, che nel 1995 fondò la
Mondo Verde sas, quando era
consigliere della V Municipalità, ottenendo sotto la giunta Rutelli due terreni
per i Punti Verde: la
Torraccia e Nomentano San Basilio. Molti lavori appaltati per
milioni di euro non vennero effettuati. Giancarlo Scarozza ebbe invece
l’assegnazione dei lavori, per conto della Mondo Verde, per i Punti verdi di
Castel Giubileo e Forte Ardeatino. La Mondo Verde sas sul finire degli anni ’90 passò
nelle mani di Silvio Fanella, per poi passare a Fabrizio
Moro
nel 2006, amico di Lucarelli.

 

Un “portiere” al Senato

“Per me Nicò
puoi diventà pure presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere
mio”

(Intercettazione
telefonica tra Gennaro Mokbel e Nicola Di Girolamo)

I legami con la malavita di
Gennaro Mokbel sono proseguiti negli anni fino ai contatti con i clan della
‘ndrangheta, come emerso nella vicenda dell’elezione del senatore Nicola
Di Girolamo
, spacciato per residente all’estero, il quale ha
beneficiato del sostegno elettorale degli espatriati della ‘ndrina degli
Arena.

Mokbel aveva tentato la strada politica
fondando, nel 2003, Alleanza Federalista, un movimento
politico che orbitava nell’area politica della Lega Nord. In
seguito ad alcuni dissidi diede poi vita poi al Partito Feralista
Italiano
, che nel 2008 riuscì ad eleggere Nicola Di Girolamo al Senato
nella circoscrizione europea degli italiani all’estero, grazie ai voti procacciati
dalle ‘ndrine nell’area di Stoccarda (22.875 voti validi).
Mokbel poi entrerà nell’orbita del senatore De Gregorio, con il suo
senatore-portiere che diventerà uno dei cinque Soprano’s della Fondazione
Italiani nel Mondo: Sergio De Gregorio, Basilio Giordano,
Amato Berardi, nato negli USA, presidente del Niapac” –
National american committee -, responsabile di un fondo in grado di
gestire 60 miliardi di dollari; Nicola Di Girolamo, ed il
gentiluomo di Sua Santità, l’italo argentino Juan Esteban Caselli.

Il senatore Di Girolamo, dopo l’arresto,
portò a conoscenza dei magistrati i rapporti tra Mokbel ed i servizi segreti,
dichiarando di essere stato presentato a due amici di Mokbel, il colonello Luciano
Zeno
del SISMI (condannato in I° grado a tre anni per il sequestro
dell’Imam Abu Omar) e Marco Mancini.

 

Mokbel nella
fascistopoli di Alemanno

Oltre ad Antonio Lucarelli,
altri personaggi provenienti da Avanguardia Nazionale, MSI, Fronte della
Gioventù, Nuclei Armati Rivoluzionari, Ordine Nuovo, Forza Nuova, Terza
Posizione, Casa Pound e Blocco studentesco hanno affollato la fascistopoli di
Gianni Alemanno, andando ad occupare pezzi dello scacchiere istituzionale
romano.

Un’interrogazione parlamentare presentata in
Senato il 13 dicembre 2010, denunciò le centinaia di assunzioni a
chiamata diretta
effettuate nelle società municipalizzate, come Atac,
Trambus e Ama e Acea. All’Atac fu addirittura creata una
sezione NAR (Nucleo Amministrativo Rimessa), nella quale lavorava Francesco
Bianco
, ex NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), arrestato negli anni ’80
per rapine e omicidi, mentre Gianluca Ponzio (ex terza
Posizione, arrestato per possesso di armi) rivestiva l’incarico di Capo
servizio relazioni industriali dell’Atac. A dirigere l’Ama,
Alemanno invece aveva piazzato Stefano Andrini, ex
naziskin, più volte arrestato per tentato omicidio di giovani di sinistra e
possesso di armi, autore di diverse aggressioni razziste, considerato il vero
deus ex Machina di Mokbel (e non solo). A capo dell’Eur Spa invece
c’era Riccardo Mancini, ex Avanguardia Nazionale (processato e
condannato insieme a Stefano Delle Chiaie ed Adriano Tilgher nel 1988 per
possesso di armi), da giovane amico di Massimo Carminati della Banda della
Magliana, dimessosi in seguito all’accusa di tangenti per l’appalto per
l’acquisto di 45 bus dalla Breda Menarinibus. Maurizio Lattarulo,
ex braccio destro del boss della Banda della Magliana, Enrico “Renatino” De
Pedis, consulente dell’assessorato alle politiche sociali del Comune, incarico
che poi ha dovuto lasciare in seguito alle polemiche.

Ma i personaggi ruspanti
della Fascistopoli di Alemanno sono molti. Un componente della sua segreteria
politica, Giorgio Magliocca, ex sindaco di Pignataro
Maggiore (CE), fu arrestato e processato per associazione mafiosa, in quanto
considerato legato ai clan Lubrano-Ligato, vicini a Pippo
Calò, dominus di Cosa Nostra nella capitale, verso il quale convogliavano i
capitali per il riciclaggio sui conti dall’altra parte del Tevere. Francesco
Maria Orsi
, ex carabiniere passato alla professione di broker
specializzato in aste immobiliari, specializzato in cene elettorali, festini
hard a base di cocaina ed escort, che ha rivestito il ruolo di assessore al
Decoro urbano e la delega per l’expo di Shangai. Un’inchiesta dell’Unità documentò una relazione
d’affari tra Orsi e Gennaro Mokbel
emersa nell’inchiesta
Phuncard-Broker
che ruotava intorno alla figura del maggiore
Luca Berriola
della Guarda di Finanza, amico di Orsi e Mokbel, membro
della rete di riciclaggio.

Il nome di Orsi spuntò anche
in una inchiesta campana, una truffa stimata in 20 milioni di euro, orchestrata
da un avvocato di Benevento, Giancarlo Di Cerbo, basata sulla
riscossione di contributi dovuti dalla regione Campania alle vittime di
malasanità, erogati in ritardo. Le famiglie si rivolgevano ad un avvocato
beneventano che stipulava un accordo con quota lite con i clienti, con la delega
poi riusciva ad ottenere fino 40.000 euro a famiglia senza versare loro niente.
Una parte del denaro finiva in una filiale della Banca Mediolanum di
Roma
, su conti intestati a prestanome, o intestatari fittizi, insieme
agli assegni riscossi per un’altra truffa ai danni di Assitalia.
Gli incontri per la consegna del denaro avvenivano nel Salaria Sport Village di
Diego Anemone.

Orsi potrebbe essere uno dei protagonisti
dello scandalo imminente, che potrebbe collegare, come un filo di Perla, tutte
o parte significativa delle monadi di questa galassia oscura, questo torbido
intreccio tra servizi, narcotrafficanti, imprenditori rapaci, faccendieri e
politicanti che ha interessato l’ultima fase del berlusconismo. Altri tasselli
del mosaico potrebbero infatti emergere dalla collaborazione con la
giustizia della misteriosa Dama BiancaFederica
Gagliardi,
la quale era con Valter Lavitola sui voli di Stato
delle missioni di Berlusconi a Panama ed in Brasile, introdotta nell’entourage
del presidente da qualcuno che forse potrebbe essere il vero destinatario della
soffiata che ha portato al suo arresto, il 13 marzo scorso, all’aeroporto di
Fiumicino, in possesso di 24 kg di polvere bianca purissima…

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