Antonio Fabbri L’informazione: Soldi della ‘mani pulite’ italiana tre a giudizio per riciclaggio

Antonio Fabbri L’informazione: Soldi della ‘mani pulite’ italiana tre a giudizio per riciclaggio

L’informazione di San Marino

Soldi della “mani pulite” italiana tre a giudizio per riciclaggio

Dovranno comparire davanti al giudice i due figli di Lorenzo Panzavolta e il commercialista sammarinese Lamberto Geri

Complessivamente movimentati 23 milioni ritenuti di provenienza illecita

Antonio Fabbri

Dalla Tangentopoli italiana al Titano. Disposto nei giorni scorsi il rinvio a giudizio per i milioni di euro movimentati a San Marino e riconducibili a Lorenzo Panzavolta, il manager vicino a Raul Gardini, che aveva legami inconfessabili con gruppi di Cosa Nostra e amministrava la Calcestruzzi Srl, finito nelle indagini della “mani pulite italiana”. Panzavolta è deceduto lo scorso 20 aprile all’età di 94 anni. Finiranno però davanti al giudice con l’accusa di riciclaggio, i figli di Panzavolta, Raffaella e Leonardo, e il commercialista di riferimento dei Panzavolta a San Marino, Lamberto Geri, oggi 84enne.

In prima battuta l’indagine era stata aperta nei confronti della moglie del manager dei Calcestruzzi, Laura Subini, ma nel proseguo dell’inchiesta è emerso che, anche a causa dello stato di salute della donna, a disporre e movimentare i denari ritenuti di provenienza illecita erano di fatto il commercialista sammarinese e i figli.

L’origine dell’indagine Tutto è scaturito da una rogatoria del 1995, che riguardava appunto Lorenzo Panzavolta per una accusa di falso in bilancio collegata alla movimentazione di 15 miliardi di lire. Panzavolta, amministratore della Calcestruzzi Spa, azienda ravennate del gruppo Ferruzzi, uomo vicino a Raul Gardini per il quale gestiva legami inconfessabili. Ma perché dal 1995 ci si è mossi adesso? La risposta sta nella possibilità di indagine sui flussi bancari e finanziari. Secondo gli inquirenti sul Titano si sarebbero mossi oltre 23 milioni riconducibili a Panzavolta.

Panzavolta a San Marino Quando il manager dei calcestruzzi, negli anni novanta, arrivò a San Marino, investì. Investì in società affini alla sua attività, come l’Icas. Il materiale edile lo usò pure per costruire. Non è un mistero che anche l’attuale sede di Banca centrale, negli anni ’90, venisse definita anche palazzo “ex Panzavolta”. In questa sua attività sammarinese movimentò denaro, ebbe rapporti con imprenditori, politici e fece affari. Tanto che secondo gli inquirenti del Titano, assieme ai soci di San Marino, costruì palazzi, anche per conto dello Stato, i cui costi sarebbero, però, lievitati.

Il reato presupposto Gli inquirenti sammarinesi ritengono che i soldi movimentati da Panzavolta siano di provenienza illecita, frutto dei suoi trascorsi in particolare in Italia. I denari finiti sul titano sono ricondotti dalla magistratura sammarinese ad affari portati avanti con il benestare di ambienti siciliani attraverso l’acquisizione di ditte del settore calcestruzzi dalla famiglia Buscemi, legata a Toto Riina. Grazie a ciò, e dietro il pagamento di mazzette, secondo gli inquirenti molti importanti appalti in Sicilia e non solo, vennero affidati a ditte della galassia Ferruzzi. La Corte d’appello di Palermo nel 2008, ribadito dalla Cassazione nel 2012, dice che Panzavolta, tra gli anni Ottanta e Novanta era uno dei protagonisti della spartizione illecita degli appalti siciliani, mettendo “il proprio ruolo al servizio degli interessi mafiosi”. Quegli interessi mafiosi di cui era consapevole anche Raul Gardini, con cui Panzavolta collaborava. Il fatto che i legami che Gardini e Panzavolta avevano tenuto con Cosa Nostra potessero venire allo scoperto, preoccupavano non poco il manager della Ferruzzi, morto suicida in pieno periodo di Tangentopoli italiana, poco dopo la confessione di Giuseppe Garofano, che nell’ambito della “mani pulite” italiana chiamò in causa proprio Gardini in quel sistema di mazzette nel quale si legavano malavita organizzata e politica.

Il riciclaggio In prima battuta a San Marino era stata indagata la moglie di Panzavolta, Laura Subini. Dalle prove acquisite è infatti emerso che i fondi confluiti dapprima sui conti della Dolmen, società anonima lussemburghese, poi su quelli della fiduciaria italiana Ifid-Spafid erano riconducibili a Lorenzo Panzavolta che si era avvalso sempre di prestanome. Inizialmente aveva utilizzato il commercialista-amministratore Lamberto Geri, poi la moglie Laura Subini. Dalle testimonianze acquisite è tuttavia emerso che quest’ultima non diede mai disposizioni sui fondi, ma era sempre accompagnata, oltre che da consulenti, anche dai figli.

E’ emerso dalle indagini che erano piuttosto questi ultimi, in occasione dello scudo fiscale ter, a dare disposizioni sulle movimentazione da effettuare da parte di Cassa di Risparmio, dove erano aperti i conti interessati. Secondo le testimonianze erano, dunque, Geri o i figli di Panzavolta a dare le disposizioni. Di qui l’accusa di riciclaggio nei loro confronti. In particolare l’inchiesta parla dell’accreditamento su rapporti intestati a Dolmen s.a. della somma complessiva di 23.504.539 euro tramite versamenti di denaro contante, bonifici, trasferimenti da libretti al portatore e da conti esteri o disinvestimenti di titoli.

Questi denari sono poi stati utilizzati per investimenti o ritirati in contanti, per acquistare valuta estera o per altre operazioni, tra cui 1.142.000 euro finiti a Lamberto Geri e suoi familiari. I denari rimasti, poi, erano stati trasferiti su rapporti intestati a Laura Subini per oltre 12,5 milioni, per poi passare su rapporti intestati a società fiduciarie italiane a seguito dell’adesione allo “scudo fiscale ter”. Questo fino a quando nell’ottobre 2014 una di queste, la Spafid s.p.a., ha richiesto, dopo il rimpatrio giuridico, il trasferimento materiale di 9,2 milioni di euro su rapporti accesi in banche italiane. Operazione che fece scattare il sequestro.

L’operazione sospetta Quando si è trattato di rimpatriare materialmente i capitali, sono scattate le verifiche per operazione sospetta. Il caso è arrivato in tribunale e il giudice inquirente che ha poi firmato il rinvio a giudizio, Alberto Buriani, ha disposto il sequestro delle somme fino alla concorrenza di 23milioni. Già congelate quelle ancora disponibili a San Marino: circa 14 milioni di euro. A febbraio dello scorso anno era stata avanzata dagli indagati anche istanza di dissequestro di tali somme, ma il giudice delle appellazioni Guido Guidi ha confermato il provvedimento dell’inquirente. Ora il rinvio a giudizio. La data del processo è da fissare.

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