Carlo Franciosi L’informazione di San Marino: E se creassimo una alternativa di garanzia?

Carlo Franciosi L’informazione di San Marino: E se creassimo una alternativa di garanzia?

 L’informazione di San Marino

E se creassimo una alternativa di garanzia?

Carlo Franciosi


Visto l’insuccesso della proposta di una Reggenza di garanzia che pure era una saggia mossa per prendere atto della situazione di grave emergenza e quindi favorire la ricerca di una via d’uscita col concorso responsabile di tutti, butto là una ipotesi abbastanza fantasiosa con il rischio di essere etichettato come grafomane o, peggio, mitomane. Pazienza! Il percorso della crisi politica è talmente confuso e mutevole che, forse per la mia incauta iniziativa di avere espresso qualche opinione e alcuni orientamenti, mi trovo esposto alle domande e alle considerazioni angosciate (e a loro volta angoscianti per me) da parte delle persone più varie che incontro ogni giorno, compresi anche personaggi politici di medio-alto livello e di orientamenti diversi che ho frequentato nel corso dei tanti anni del mio impegno civile e che ora non sanno più che fare.

Mi sono da sempre definito un politico ruspante, nel senso che ho via via cercato di semplificare le cose per renderle comprensibili e fattibili a costo di passare per semplicista.

I politici di rango al contrario hanno la tendenza a complicarle e renderle più difficili, forse approfittando della buona fede della gente comune, anche per acquisire maggiori meriti nel caso, in vero raro, che raggiungano la soluzione.

La situazione odierna è estremamente intricata; mi assiste solo la fiducia che l’ottimismo della volontà prevalga sul pessimismo della ragione. Per dare un segno logico, mi
sforzo di considerare che siamo
di fronte a due entità-politicoetico
culturali nettamente contrapposte
sulle quali ragionare,
per proporre una alternativa credibile
a quello che continuiamo
a chiamare “sistema di potere
democristiano” (la definizione
non l’ho inventata io) che esiste
e resiste a tutte le intemperie,
anche perché subisce i condizionamenti
dei poteri forti (tutti
sanno a cosa mi riferisco) e a
sua volta influisce pesantemente
sui comportamenti dei gruppi
politici satelliti (indovinate
quali sono), preoccupati solo di
“garantire la governabilità” e quindi la loro sopravvivenza ai
margini del tavolo del convivio.
Il menù proposto è abbastanza
collaudato: una buona dose di
cristianesimo, mica quello genuino
fatto di solidarismo, di
accoglienza, di preoccupazione
per gli ultimi, di unione per la
pace, insomma di tutti quei sogni
che propone il buon Papa
Francesco; no, no, qui si parla
di società concreta, che sa stare
al mondo, che ci sa fare, dove si
contano i soldi e solo chi fa i soldi…
conta. A questo si aggiunge
un pizzico di socialismo, quello
moderno, mica quello vero di
una volta, magari in comodato
d’uso; infine una abbondante
salsa di sammarinesità senza
troppe qualifiche, insomma
quella buona per tutte le stagioni.
E per dessert: “soprattutto
non si venga a contestare il
nome e il simbolo: l’effige del
nostro Santo ce l’ha affidata la
provvidenza e nessuno ce lo
tocchi; garantisce lui per noi!”
Di fronte a questo quadro spietato,
ma neanche troppo, sarebbe
necessaria una compagine abbastanza
coesa capace davvero
di invertire il cammino e di costruire
l’“alternativa democratica”
– a me piacerebbe chiamarla
così – che a mio parere potrebbe
salvare il Paese. Quindi una formazione
che costituisca la confluenza
di espressioni anche di varia provenienza ma impegnate
a perseguire traguardi importanti
quali riformismo e progressismo,
col corredo di valori
forti come onestà, rispetto delle
regole, tensione alla giustizia,
coerenza personale e collettiva
fra ciò che si proclama e ciò che
si fa; anche per dare risposte
al diritto dei cittadini di essere
considerati come persone e
non come massa da ingannare
e manipolare secondo il proprio
tornaconto.

Tutto ciò potrebbe riportare la
politica alla sua nobile funzione
di animatrice della vita democratica
e di garanzia nel complesso
rapporto fra Cittadini e
Stato, rapporto che va responsabilizzato
e non umiliato con
le piccole o grandi beghe, le gelosie,
le rivalse che quotidianamente
si verificano all’interno e
fra i gruppi o gruppuscoli che
in teoria lavorano per obiettivi
comuni ma in pratica fanno il
gioco dei soliti marpioni, i quali,
non paghi di aver rovinato la
Repubblica, manovrano anche
palesemente per interferire sulle
decisioni dei loro allievi. E
spesso ci riescono!

Come nel caso grave del voltafaccia
di parte della Direzione
del Psd che ha sconfessato le
decisioni recentemente assunte
di affrancarsi dalla cappa Dc
per creare una forza di centrosinistra
aperta al concorso di
altre compagini riformiste. Risultato:
la spaccatura del Psd e
le dimissioni della sua Segretaria
Marina Lazzarini; ma anche
una cospicua scorta di ossigeno
alla Dc boccheggiante e una sonora
mazzata al desiderio dei
cittadini di poter finalmente
scegliere tra due opzioni chiaramente
distinte.

Inoltre pesano le ricorrenti polemiche
fra i vari movimenti
civici, alcuni più favorevoli alle
aperture verso altre formazioni del quadro politico, compatibili
per indirizzi e programmi; altri
invece restii alla collaborazione
con chi era in qualche modo
compromesso con le vecchie
alleanze. Anche questo a mio
parere non giova alla causa comune.

Ad esempio la chiusura assoluta
da parte di Rete verso Alleanza
popolare e Unione per la Repubblica,
attualmente confluite
in Repubblica Futura, è forse un
po’ troppo intransigente, anche
se si possono capire le giustificate
riserve verso chi ha governato
con la Dc negli ultimi 10
anni o chi, pur all’opposizione,
proveniva dalla poco raccomandabile
“famiglia Mazzini”.
Dopotutto Ap aveva cercato
di arginare lo strapotere Dc e
aveva ottenuto alcuni risultati
positivi e alla fine ha provocato
la crisi di governo; mentre i
membri di Upr si erano rapidamente
liberati dell’ingombrante
parentela.

Se sostengo queste cose, lo faccio
con le carte in regola, perché
tutti sanno della mia posizione
all’interno di Ap di forte critica
e di dissociazione verso le scelte
errate e i ritardi nel prendere
le distanze da quella coalizione
deleteria.

Un altro episodio preoccupante
è la notizia di questi giorni che
un gruppo di sette aderenti di
Civico10, tra cui alcuni fondatori,
hanno lasciato il movimento
perché non d’accordo con la
linea di apertura ad alleanze
senza veti.

Sarebbe forse più produttivo,
una buona volta, girare la pagina
per prendere atto delle
odierne scelte di campo e dare
prudente credito alle intenzioni
di comportamento espresse per
come procedere da oggi in poi.
Soprattutto perché lo chiede la
pubblica opinione

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