Editoria e professione giornalistica, Luca Lazzari replica a Franco Cavalli

Editoria e professione giornalistica, Luca Lazzari replica a Franco Cavalli

Dopo che Franco Cavalli ha voluto farmi le pulci per aver praticato il «silenzio» sul progetto di legge in materia di editoria e professione giornalistica, alcuni amici e conoscenti si sono voluti sincerare che non fossi passato col governo. Ad ogni modo: nonostante l’umoristica conseguenza sono certo che il suo proposito non fosse quello del “calunnia, calunnia, qualcosa resterà”. La particolare attenzione che Franco Cavalli riserva a ciò che dico o che non dico sembra più che altro riguardare un’aspettativa nei miei confronti, che mi lusinga. E allora: quale migliore occasione per un politico d’opposizione che infuriare contro i «nemici della libertà» e intanto segnare un debito di riconoscenza verso chi può aiutarlo a influenzare l’opinione pubblica e a indirizzare le scelte degli elettori?

Mi spiace deluderlo, non ho attitudine al populismo. Ma ciò non significa che abbia deciso di sostenere l’affermazione di un principio illiberale e assolutistico che vorrebbe assoggettare l’informazione alla politica. Tant’è che anche se ho mancato di oppormi al provvedimento con gli emendamenti, non ho mancato di oppormi col voto.

Devo anche rivelare, però, che le obiezioni avanzate dalla categoria di cui fa parte Franco Cavalli, benché tutte condivisibilissime, rimangono – a mio parere – lontane da un’analisi critica dell’esistente e dalla volontà di creare nuovi spazi di libertà. C’è un argomento, in modo particolare che, seppur importantissimo, è rimasto fuori dal dibattito: il mondo dell’informazione sammarinese, a parte l‘eccezione di qualche editore sparuto e di qualche penna coraggiosa, già da tempo è assoggettato alla politica e agli interessi economici (nella maggioranza dei casi malvolentieri, in altri con grande agio). Vogliamo davvero sottrarlo all’influenza di questo o quel potere? Prima di tutto si tratterebbe di codificare e di portare allo scoperto la battaglia per la sua spartizione, rendendola così democratica. Dopodiché bisognerebbe individuare degli strumenti che garantiscano alle realtà editoriali i mezzi finanziari necessari per sostenersi da sé.

Facciamo l’esempio dei quotidiani locali. Possono fare conto su delle provvidenze irrisorie e le vendite medie giornaliere (alcune centinaia) non bastano certo a far quadrare i conti. È ovvio che in questo stato di cose editori e redattori rischiano di essere alla mercé dei maggiori inserzionisti pubblicitari (ovvero le banche) o di ridursi a fare le marchette a qualche avventore milionario. Per una ragione molto semplice: “non si morde la mano che ti sfama”.

Checché se ne dica la democrazia costa, per sostenerla bisognerebbe essere disposti ad abbandonare la «politica dei tagli», oggi tanto in voga. Diversamente ci si deve far bastare il «pluralismo della faziosità», dove le voci possono essere anche più d’una, ma tutte segnate dagli interessi dei pochi che detengono la proprietà delle testate.

Molto ci sarebbe da dire poi sulla San Marino RTV, l’ansiolitico sociale distribuito a piene mani dai governi di tutti i colori sotto forma di pillole di propaganda. Grazie al privilegio monopolistico e all’importante finanziamento pubblico è riuscita ad attribuirsi il primato dell’ufficialità pur continuando a rimanere un’azienda improduttiva che svilisce le professionalità e premia le complicità. Prova ne è che in tanti anni di servizio pubblico non è mai stata capace di condurre una vera inchiesta.

Si potrebbe continuare a lungo nell’elencare storture e piccolezza del settore. L’unico modo per superarle – a mio parere – sarebbe quello di mettere da parte soggetto narrato e narrante e porre come riferimento di ogni possibile riforma i lettori e i telespettarori: permettere loro di scegliere le notizie, di confrontarle con le altre, cessando dunque di subirle, chiamarli a partecipare e a criticare, cioè a essere coautori, anziché essere solo dei numeri che vedono e ascoltano. In questo senso le nuove tecnologie e la comunicazione digitale potrebbero rappresentare una grande opportunità.

Insomma, la riflessione è vasta e difficile e non la si può certo affrontare in un articolo di giornale. In definitiva, per rispondere a Franco Cavalli, fin qui ho praticato il «silenzio» perché scoraggiato e preoccupato che le mie idee potessero essere fuori dallo spirito dei tempi (e probabilmente lo sono). Per ringraziarlo di avermi spronato a esprimerle intendo offrirgli la mia disponibilità a promuovere e organizzare un incontro pubblico sull’importantissimo rapporto tra informazione e democrazia.

Luca Lazzari

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