Intervento in comma comunicazioni del Consigliere Roberto Ciavatta (Rete). Consiglio G. e G. 18 gennaio

Intervento in comma comunicazioni del Consigliere Roberto Ciavatta (Rete). Consiglio G. e G. 18 gennaio

Il 17 ottobre Gabriele Gatti è stato arrestato.

A 3 mesi da questo evento, che seguiva l’arresto di Claudio Podeschi e Fiorenzo Stolfi, vanno svolte alcune considerazioni.

Ci sono date che rimangono nella storia per il semplice fatto che cambiano, volenti o nolenti, le cose.

Ad esempio il 28 luglio si festeggia la caduta del fascismo, il 25 marzo l’Arengo.

Sono date che, per quanto a volte non percepite immediatamente come discriminanti, segnano un prima e un dopo: il prima sono stati i 30 anni di golpe morbido che ha devastato la Repubblica, in cui le persone peggiori avevano la strada spianata, in cui la politica faceva solo interessi personali dei capibastone, corrompendo, riciclando, facendo clientelismo sfrenato e insomma devastando culturalmente un interno paese.

Il dopo è il paese che verrà, quello del risveglio dopo l’incubo in cui in tantissimi si erano assopiti, quello in cui i delinquenti, invece di venir sostenuti e coperti, invece di venir considerati furbi, scaltri, “gente che ha capito come si fa”, vengono considerati dei poveracci, sbeffeggiati, additati come esempio di lerciume, considerati giustamente come zecche, come sanguisughe responsabili dei problemi e dei disagi che nel frattempo sono sorti.

C’è un prima e un dopo, e lo spartiacque è il 17 ottobre 2015, un sabato mattina in cui giustamente un nutrito gruppo di cittadini ha percorso le strade del paese suonando i clacson e festeggiando una liberazione.

La storia non cambia tutti i giorni, e la storia non è lineare e continua. La storia è punteggiata di eventi che segnano cambiamenti radicali, ma questo non significa che quando accadono i cambiamenti si realizzano immediatamente.

C’è sempre chi accoglie il cambiamento da subito, e c’è chi il cambiamento cerca di frenarlo, o di limitarne la portata, magari pensando di poter semplicemente sostituire il passato con se stesso, non cogliendone la portata storica e considerando che nulla possa cambiare in un sistema oliato di cui è parte integrante.

Le resistenze ai cambiamenti partono da qui dentro, dei vertici della politica, dell’amministrazione, delle associazioni di categoria, dell’economia.

Vengono da chi in quei trent’anni ha beneficiato del sistema capitanato e rappresentato da Gabriele Gatti.

Come dopo la caduta del fascismo furono ancora in tanti a parteggiare per il fascio tra i repubblichini, come dopo l’Arengo gli oligarchi cercarono in ogni modo di mantenere ben saldo il potere nelle loro mani, arrivando a falsare la storia con la loro lapide buonista, allo stesso modo oggi abbiamo il vertice della nostra società che si dispiace intimamente della fine di Gatti ma lo considera un piccolo inciampo, un incidente di percorso, che però non deve modificare il senso di marcia.

Le logiche che hanno governato il modo di fare politica nel trentennio sono tutt’altro che relegate alla storia.

Si deve ancora fare i conti con quello che è stato, e quei conti li si potrà fare solo quando quest’aula riuscirà a riconoscere il giusto peso di quanto accaduto il 17 ottobre.

Per ora si è minimizzato, si è sorvolato, e la politica continua a destreggiarsi tra nomine di parte nelle banche come in PA, perseverando nella logica della lottizzazione.

Continueranno ancora, cari concittadini, cercheranno di difendere l’indifendibile, cercheranno di fingere che nulla sia accaduto, ma perderanno.

Perderanno perché il 17 ottobre 2015 non è un incidente di percorso ma una data spartiacque, di quelle che cambia la storia, e chi resiste ai cambiamenti della storia viene semplicemente cancellato dagli eventi, reso superfluo, un residuo che si spegne lentamente.

Ci vorranno ancora anni, forse vedremo la luce nella nuova decade, come gli studi macroeconomici basati sui cicli lunghi di Kondratiev e di Shumpeter ci dicono.

Mancano gli ultimi 3-4 anni, quelli del cambiamento più radicale.

Non fate caso a chi vi dice che siamo fuori dal tunnel: ahimé non è così! Ci piacerebbe lo fosse, ma chi ve lo dice sono gli stessi che non avevano minimamente previsto lo scossone del 2008.

O gli stessi che, una volta arrestati, confessano che “non se l’aspettavano”.

Si può solo favorire, velocizzare il cambiamento radicale che la storia ci richiede, oppure rallentarlo, giocando una battaglia in retroguardia destinata a fallire.

Per velocizzare la fine di questa nera e critica fase della nostra storia dobbiamo fare i conti con la storia degli ultimi decenni, condannare energicamente non solo i reati ma anche le prassi del tempo, perché non si può vincere un nemico se non prima riconoscendolo chiaramente.

Per questo motivo, dentro un consiglio in cui il governo non c’è più, in cui i Segretari di Stato si ostacolano facendo fuoriuscire nomine segrete per bruciare i colleghi, in cui ogni gruppo rema per creare le condizioni per il suo collocamento del dopo legislatura, quando finalmente si riconoscerà che il paziente è morto, e a nulla serve tentare di rianimarlo… per questo motivo, dicevo, presentiamo alcuni ordini del giorno che riteniamo necessari per riconoscere il passato e porre dei rimedi per lasciarcelo finalmente alle spalle. Probabilmente non verranno nemmeno discussi prima della fine della legislatura, e se verranno discussi non abbiamo dubbi che verranno bocciati, perché questo Consiglio, eletto prima dell’inizio del terremoto giudiziario, vede ancora al suo interno una maggioranza di consiglieri che, trasversalmente, hanno tutto l’interesse di non lasciarsi definitivamente alle spalle quanto accaduto.

Lo facciamo a memoria di chi verrà.

Il primo ordine del giorno propone di istituire la data del 17 ottobre come festa della rinascita, affinché non ci si dimentichi dell’importanza della stessa.

Il secondo ordine del giorno propone di introdurre il divieto di usare, in simboli e loghi di partiti e movimenti sammarinesi, icone, simboli, ritratti del patrimonio culturale comune del paese. Abbiamo purtroppo dovuto constatare come l’immagine del Santo Marino sia stata utilizzata da personaggi senza scrupoli, che se ne sono impossessati, per ingannare tanti concittadini in buona fede.

Il terzo ordine del giorno propone l’istituzione di una commissione che valuti le posizioni dei singoli dirigenti della Pubblica Amministrazione e di tutte le società partecipate dallo Stato, affinché si possa individuare chi nel corso degli anni è stato introdotto in posizioni di rilievo con il solo scopo di garantire l’impunità dei membri dell’associazione a delinquere (come conferma la magistratura proprio nel mandato di arresto di Gatti), facilitare e rendere possibili aggiramenti delle norme, fungere da collettori del voto di scambio.

Come dopo il fascismo, nel 1944, una simile commissione venne realizzata, allo stesso modo oggi dobbiamo prevederla se non vogliamo che il cambiamento necessario per ripartire venga frenato da chi rimane pur sempre servo di qualcuno.

Il quarto ordine del giorno impegna il governo e l’aula a legiferare urgentemente per introdurre una modifica ai termini di prescrizione per i reati contro il patrimonio e contro lo Stato, affinché il periodo attualmente previsto per le prescrizioni abbia inizio solo dal momento in cui il reato viene scoperto, e non più dal momento in cui il reato è stato commesso.

E’ infatti indispensabile, perché si chiudano i conti con la storia, che quanto successo non venga condonato ma punito in maniera esemplare: il nostro obiettivo è capovolgere il sentimento comune secondo cui è addirittura conveniente e sintomo di scaltrezza aggirare le norme e usarle a proprio vantaggio. Chi si è volontariamente macchiato di condotte odiose deve pagare i suoi debiti col paese.

Il quinto e ultimo ordine del giorno, richiede che venga finalmente introdotta una definizione chiara di cosa sia il conflitto d’interesse. Assistiamo oggi, infatti, a consiglieri che da una parte sono costituiti parte civile, come membri delle Istituzioni, contro i rinviati a giudizio per i processi in corso, e dall’altra difendono gli stessi imputati, magari attaccando le istituzioni stesse. Come siamo di fronte a chi da una parte afferma di volere svoltare in un paese più giusto, e dall’altra difende chi quel paese ha contribuito a renderlo talmente iniquo da aver distrutto ogni sentimento di appartenenza.

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