Milano Finanza, Andrea Di Biase. Marbert – Dmc, Fernando Di Filippo, Massimo Faenza, Enrico Fadani

Milano Finanza, Andrea Di Biase. Marbert – Dmc, Fernando Di Filippo, Massimo Faenza, Enrico Fadani

Milano Finanza

Storie tese. Cosa c’è dietro il crack dell’azienda cosmetica tedesca
Marbert? Un businessman americano, un avvocato d’affari e l’ex ad di Banca
Italease si rimpallano le responsabilità. Deciderà il giudice. Salvo accordi in
extremis

 Creme, profumi e veleni

Di Filippo sostiene di essere stato ingannato da Fadani e Faenza.
Il legale. Dm sapeva che Marbert era decotta

Andrea Di Biase 

 In Italia il nome Marbert
dice poco. Forse nulla. In
Germania, invece, Marbert
è un marchio molto conosciuto
del settore della cosmetica.
Fondata a Düsseldorf nel 1936 da
Margarethe Sendler e Bertha
Roeber (di qui il nome Mar-Bert),
dal 1950 ai primi anni 2000 la
Marbert Cosmetic è stata tra i leader
del mercato tedesco dei prodotti
di bellezza. Assorbita nel tempo dal
gruppo farmaceutico Hoechst (oggi
parte del colosso Sanofi-Aventis),
nel 1995 è stata acquistata da
Piofrancesco Borghetti, l’imprenditore
modenese che nel 1998 ha
rilevato anche il Gruppo Limoni
e nei confronti del quale, lo scorso
giugno, la Procura di Como ha
chiesto l’arresto proprio per truffa
ai danni della storica catena di
profumerie. Sul finire del 2009, l’imprenditore
italiano, cui faceva capo
il 90% circa della Marbert, mentre
il restante 10% era scambiato alla
borsa di Francoforte, decise di
mettere in vendita la società. Il 5
maggio 2010 Borghetti firmò un
contratto che prevedeva la cessione
del 90% di Marbert al controvalore
di 2,5 milioni di euro a Laura
Caravante-Beucke, una manager
tedesca del settore, che in quel momento
ricopriva la carica di ceo
della società. Il contratto prevedeva
che Caravante cedesse contestualmente
il 45% di Marbert per un
controvalore di 1,25 milioni alla
Dmc Holding, una società con sede
a Lugano controllata dall’imprenditore
Fernando Di Filippo Jr, cui
fa capo la Dmc Spa di San Marino
(operante in Europa nel settore del
B2C). Gli accordi prevedevano anche
un ulteriore investimento sotto
forma di working capital di circa 2,5
milioni interamente a carico della
Dmc Holding.

Qui inizia la parte più interessante
della storia
. Una storia che
vede tra i suoi protagonisti anche
l’ex ad di Banca Italease, Massimo
Faenza, e alcuni dei suoi più stretti
collaboratori, tra cui l’ex vicedirettore
generale dell’istituto, Roberto
Fabbri, e che si è conclusa il 18
maggio 2011 con il fallimento della
Marbert. Fallimento che ha causato
pesanti danni patrimoniali alla
stessa Dmc. Anche per questo motivo
la vicenda ha ancora pesanti
strascichi giudiziari sia di natura
civile che di natura penale. Il
10 febbraio 2012 la società elvetica
ha infatti chiamato in giudizio
davanti al Tribunale di Milano l’avvocato
Enrico Fadani, quale partner
di Camozzi Bonissoni-Varrenti &
Associati, e lo stesso studio legale
Cba, ovvero i professionisti cui
Di Filippo si era rivolto per essere
assistito nell’acquisizione della
Marbert. Nell’atto di citazione Dmc
sostiene che Fadani, che faceva parte,
assieme a Faenza e Fabbri, del
team incaricato di svolgere la due
diligence su Marbert, pur essendo
stato perfettamente a conoscenza
che l’azienda tedesca si trovava
a un passo dal default, avrebbe
ugualmente raccomandato l’investimento
a Di Filippo. Secondo
Dmc, Fadani, quale partner dello
studio Cba, avrebbe anche agito in
conflitto di interessi, avendo assistito
nell’operazione Marbert non
solo la società elvetica, che era la
parte acquirente (mandato firmato
il 15 gennaio 2010), ma anche
la Caravante, che era la parte
venditrice (mandato firmato il 18
gennaio 2010). Per questo Dmc
ha avanzato una richiesta di risarcimento
danni nei confronti di
Fadani e dello studio Cba per 13
milioni, successivamente innalzata
fino a 20 milioni.

Faenza e Fabbri, assieme allo
stesso Fadani
, sono stati invece
chiamati in causa in sede penale. Il
16 marzo 2012 la società elvetica ha
sporto denuncia presso la Procura
della Repubblica di Milano nei confronti
dell’avvocato dello studio Cba
e dei due ex manager di Italease.
La tesi sostenuta dalla società
di Di Filippo è la medesima portata
avanti in sede civile: Fadani
avrebbe sottaciuto il reale stato di
salute di Marbert spingendo Dmc
a procedere comunque nell’acquisizione,
essendosi reso disponibile
con la precedente proprietà e con
la stessa Caravante a trovare un
cavaliere bianco pronto a salvare
la società e a investire almeno 10
milioni nel rilancio. Per questo servizio,
sostiene Dmc, Fadani avrebbe
preteso un compenso non ufficiale
di 300 mila euro, che Marbert
avrebbe dovuto pagare a una società
austriaca di cui l’avvocato era
il liquidatore e dei cui beni poteva
dunque disporre liberamente.

Anche Faenza e Fabbri, sostiene
Dmc
nella denuncia penale,
sarebbero stati pienamente consapevoli
dello stato pre-fallimentare
dell’azienda tedesca. Ciononostante
avrebbero evitato di ragguagliare
Di Filippo, che li aveva espressamente
incaricati di revisionare e
verificare le condizioni finanziarie
della società, sul reale esito della
due diligence. Perché? Secondo la
tesi di Dmc, in cambio del loro silenzio,
Fadani avrebbe promesso
ai due ex manager di Italease che,
una volta concluso il passaggio di
proprietà, Marbert avrebbe firmato
con loro un contratto di servizi
dell’importo complessivo di 1,5 milioni
in 5 anni: 200 mila euro annui
per Faenza e 100 mila euro annui
per Fabbri. Un pagamento che Di
Filippo sostiene di non aver mai
autorizzato, ma di cui sarebbe invece
stata al corrente la Caravante.
Secondo la ricostruzione di Dmc, infatti,
Fadani avrebbe fatto pressione
sull’allora ceo di Marbert affinché
si spendesse per procedere nel pagamento
a Faenza e Fabbri. In caso
contrario Dmc si sarebbe ritirata e
il salvataggio di Marbert sarebbe
naufragato. E in effetti il pagamento
ai due manager fu approvato il
18 maggio 2010, pochi giorni dopo il
closing dell’operazione, dal supervisory
board di Marbert, dove ancora
non si erano insediati i consiglieri
espressione della nuova proprietà.

Ma cosa c’entra Faenza
con Marbert
e quali erano
i suoi rapporti con
Di Filippo e la Dmc?
Per rispondere a questa
domanda bisogna tornare un momento
all’agosto del 2008, quando
all’ex manager di Italease vengono
revocati gli arresti domiciliari.
In quei giorni Faenza si trova
nel suo paese natale, Amatrice,
in provincia di Rieti. Paese di
cui è originario anche Di Filippo.
L’uomo d’affari americano, nato in
Florida a Palm Beach, ma che ha
da tempo trasferito i suoi interessi
in Europa, è anche lontano parente
di Faenza. Così quando l’ex ad
della banca per il leasing torna
a piede libero si mette in contatto
tramite una propria zia con Di
Filippo. La Procura di Milano gli
ha congelato tutti i beni, almeno
quelli conosciuti, e Faenza, almeno
in apparenza, ha necessità di
lavorare. Chi meglio del lontano
parente americano potrebbe dargli
una mano? Di Filippo decide
dunque di dare una seconda opportunità
a Faenza e gli offre un
contratto di consulenza. In poco
tempo Faenza riesce a conquistare
la fiducia del businessman italoamericano,
tanto che l’ex squadra
di vertice di Italease, nel frattempo
travolta dalle inchieste giudiziarie,
si ricompone a San Marino,
dove c’è la sede operativa del gruppo
Dmc. Faenza chiama accanto a
sé Fabbri, che sarà nominato cfo
di Dmc, e Francesco Trogu, che
assume il ruolo di responsabile
amministrazione, legale e
societario. Ma anche il
mediatore creditizio
Leonardo Gresele
viene assoldato da
Faenza. Quando Di
Filippo mette in
cantiere l’acquisto
della Marbert,
Faenza e Fabbri
fanno parte del comitato
esecutivo di
Dmc ed è a loro
che
Di Filippo si rivolge per affiancare
l’avvocato Fadani nella due
diligence su Marbert.

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