In occasione
della visita a San Marino dei Cavalieri di Santo Stefano, 22/5/1998
Al Direttore dell’Ente Turismo, quando mi preavvisò
dell’incontro, feci presente che a me risultava che fra i Cavalieri di Santo
Stefano figuravano dei sammarinesi e, a mo’ d’esempio, citai Melchiorre
Maggio, un personaggio nel quale mi ero imbattuto recentemente.
Convenimmo, sentito il parere di un comune amico, il prof.
Verter Casali, di parlarne un momento, in occasione della visita a San Marino
dei rappresentanti attuali di detto ordine.
Melchiorre Maggio è un personaggio importante della storia
sammarinese. A lui è dedicata una lapide nel Palazzo Pubblico. Vi si legge:
Vindex acerrimus patriae. La lapide proviene dal vecchio Palazzo. La
posa è stata deliberata dal Consiglio Grande e Generale nel 1741, cioè a
ridosso dell’episodio alberoniano.
Durante la occupazione alberoniana Melchiorre Maggio si
trovava a Roma, vicino al papa. Anzi vicinissimo alla persona del papa.
Era, papa, Clemente XII, un quasi novantenne, cieco.
Insomma malmesso. E non solo nel fisico. Veniva da Firenze. Un Corsini. Fin
dall’inizio del suo pontificato si era circondato di fiorentini. Il peso di
questi fiorentini divenne via via più grande nel suo pontificato col
peggiorare delle sue condizioni di salute. Ebbene fra questi fiorentini che
guidavano l’azione del papa e – si dice – talvolta la mano del papa nella
firma dei documenti, c’è Melchiorre Maggio. Appunto un fiorentino.
Melchiorre Maggio è sicuramente fiorentino. Fiorentino doc. Lo
vediamo dal documento relativo alla sua persona conservato nell’Archivio di
Stato di Pisa. Egli risulta nato “adì’ 24 di Luglio à hore una di notte in
Mercoledì, 1669” da “Sig. Pier Matteo del Sig. Capitano Melchior Maggio e dalla
Sig.ra Maria Crizia del Sig. Cav. Francesco Staccoli, popolo di Santo Stefano”.
E’ stato battezzato in San Giovanni, iscritto nel registro dell’”Arte de’
Mercatanti”. Nobile per quattro quarti, già a 7 anni, veste l’“Abito di Cav.
Milite per giustizia al Sacro, e Militare Ordine di S. Stefano”.
Melchiorre Maggio però è anche sammarinese. Il padre, Pier
Matteo, indicato nel citato documento come “Auditore”, era stabilmente in
servizio presso il granducato, ma continuava pure a svolgere incarichi a favore
della Repubblica (unitamente, ad esempio, ad Alessandro Belluzzi pure lui
sammarinese trasferitosi a Firenze). Analogamente Melchiorre, in ogni fase
della sua carriera che svilupperà in massima parte nello Stato della Chiesa, si
porrà costantemente a disposizione della Repubblica.
Quando il card. Alberoni sale sul Titano, nell’ottobre 1739,
Melchiorre Maggio è già da tempo stabilmente a Roma, accanto al papa, dove
ricopre almeno due cariche: canonico della Basilica Vaticana e Chierico della
Camera. L’Alberoni, per averla di vinta coi sammarinesi, è costretto ad
adoperare i soldati, infrangendo vistosamente le disposizioni papali che
parlavano di libera dedizione.
Il testo delle disposizioni papali era segreto. Rigorosamente
segreto. Eppure dopo un paio di giorni dall’invasione i sammarinesi già ne
vennero in possesso e poterono stilare una puntuale denuncia delle violazioni a
tali disposizioni perpetrate dall’Alberoni. L’esposto-denuncia attraverso mons.
Maggio arrivò direttamente al papa. Il papa senza nemmeno aspettare il rapporto
dell’Alberoni ne sconfessò l’operato, e lo fece pubblicamente con una
comunicazione alle corti europee attraverso i nunzi. Per l’Alberoni è l’inizio
della fine.
Insomma i sammarinesi riescono a liberarsi dai soldati del papa,
giocando sulle divisioni della corte romana. Quindi senza chiedere
l’intervento dell’impero, cioè degli Asburgo. L’impero è una presenza reale in
zona. Coi suoi soldati. Già da due anni gli Asburgo, attraverso i Lorena, sono
subentrati ai Medici a Firenze. Da un anno truppe tosco-imperiali hanno
invaso e tengono occupati i due feudi dei Carpegna.
Liberarsi dai soldati del papa chiedendo aiuto all’imperatore
sarebbe stato cadere dalla padella nella brace. Un errore da evitare. A evitare
tale errore, cioè a diffidare dell’impero, a vedere l’impero come un pericolo
non meno temibile della Santa Sede, concorsero proprio i sammarinesi della
Toscana, che avevano visto finire sotto gli Asburgo il loro granducato.
Questo collegamento Firenze-Titano della prima metà del Settecento non
è un evento estemporaneo. La cultura politica toscana in molte altre occasioni
in precedenza aveva già esercitato il suo influsso in questa zona,
specialmente a partire dalla guerra degli Otto Santi. Lo stesso appellativo di
repubblica (che avrà un peso decisivo nel cammino di questo cucuzzolo verso la
piena sovranità), ebbene quell’appellativo, probabilmente, ha una origine
toscana. E’ una materia da approfondire. Che vale la pena approfondire. Questo
incontro ci è di stimolo a proseguire nel nostro impegno, avendo appreso
dell’attenzione riservata dalla Istituzione dei Cavalieri di S. Stefano alla
ricerca storica.
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