Capitani Reggenti. Di sei mesi in sei mesi

Capitani Reggenti. Di sei mesi in sei mesi

Capitani Reggenti

 1° aprile  1° ottobre 2020

 

S.E. Alessandro Mancini

S.E. Grazia Zafferani

Di sei mesi in sei mesi: dal 2019 al 1243

© Copyright © Copyright by V.E. Pizzulin & M. Cecchetti

Oggi (solo simbolicamente, a causa della epidemia coronavirus)  le campane chiamano ancora una volta i sammarinesi a partecipare alla cerimonia d’insediamento dei nuovi Capitani Reggenti,   Alessandro Mancini  e Grazia Zafferani. I nuovi Capitani ricevono i pieni poteri dai due loro predecessori, Luca Boschi  e Mariella Mularoni, i quali li avevano ricevuti a loro volta il 1°  ottobre 2019 dai due loro predecessori, Nicola Selva   e  Michele Muratori e questi a loro volta il 1° aprile  2019 dai due loro predecessori Mirco Tomassoni  Luca Santolini e così a ritroso di sei mesi in sei mesi fin dal 1243, quando sappiamo essere consules Filippo da Sterpeto e Oddone Scarito.

   Di fronte al singolare cerimoniale di questa giornata, il giurista Pietro Ellero, nella seconda metà dell’Ottocento, non ha esitato ad affermare che a San Marino l’autorità reggenziale gode il prestigio di un culto. I Reggenti uscenti, secondo un verbale del 1643, consegnano ai nuovi: Vessillo, e Sigilli della Repubblica assieme con le chiavi dell’una, e l’altra Rocca, dell’una e l’altra porta, e prima di ogni altra cosa le Chiavi dell’Arca, ove riposano l’Ossa del nostro Gloriosissimo Protetore S. Marino, e finalmente la Repubblica tutta nel medesimo stato e forma, che fu consegnata a Loro.

Almeno 1500 volte si è ripetuta sul Titano la cerimonia della consegna dei pieni poteri, identica, nella sostanza, a questa di oggi. Almeno 2500 persone diverse si sono avvicendate semestre dopo semestre sul trono del potere. A due a due. Mai è capitato che una tentasse di eliminare l’altra per prendersi tutto il potere e fare della Guaita un suo privato castello. Qui sul Titano niun capitano fu mai traditore, né alcun capitano o privato che tentasse mai farsi tiranno.

Gli specialisti della storia finora non si sono cimentati in una spiegazione. Il caso San Marino è fuori dagli schemi. Riesce difficile capire anche fatti relativamente recenti come l’Arengo del 1906, in cui si scelse di introdurre la democrazia rappresentativa come ritorno alle democrazie comunali anziché facendo riferimento ai principi delle rivoluzioni borghesi. È bastato modificare un passo dell’antico Statuto. Già perché la Repubblica – altra singolarità – non ha una costituzione scritta.

Nell’antica Roma le regole fondamentali della comunità venivano fuse col bronzo. Negli Stati moderni è invalso l’uso di fissarle con l’inchiostro dei testi speciali delle carte costituzionali. Carta o metallo non sono che un supporto materiale da cui poi vanno trasfuse nelle menti degli individui.

Qui, su questo monte, gli individui, generazione dopo generazione, si sono comportati come se le regole fondamentali facessero parte del loro DNA, fossero assorbite col latte materno, entrassero direttamente nelle menti per osmosi dalla comunità.

Come si sono originate, nella comunità del Titano, le regole fondamentali?

Scrive Matteo Valli che il Santo Marino quand’era in vita tenne come fratelli, non come sudditi gli habitatori del Titano. Insomma si fece uguale fra uguali. Proprio per instillare nella comunità i principi della uguaglianza. Per educare all’uguaglianza. E, in punto di morte, a coronamento del suo insegnamento e del suo esempio, nel lasciare in eredità agli habitatori del Titano la Libertas da ogni autorità esterna, impose loro un vincolo: che essi ne usufruissero e ne godessero i frutti comunemente. Tutti assieme.

Gli habitatori del Titano – continua Valli – diedero esecuzione alla volontà testamentaria del Santo ponendo la comunità in Stato di Repubblica, per rendere pubblica, e comune à tutti l’heredità ricevuta dal Santo.

Nella comunità sammarinese tanto gli homini civili quanto i rustici senza distintione e differenza alcuna, hanno parte nel governo e nell’amministrazione delle cose pubbliche, perché di tutti i capi delle Case, tanto de gli uni quanto de gli altri,si forma una unica Assemblea, Arengo, di cui il governo è la emanazione.

L’Arengo, che è l’espressione prima della Libertas interna, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, quando tutto il mondo della politica subisce una involuzione in senso assolutistico, sarà sostituito in toto dal Consiglio che comincerà a rinnovarsi per cooptazione. Per osmosi del mondo circostante, anche nella comunità sammarinese farà la sua comparsa la nobiltà. Tuttavia né la sospensione delle convocazioni dell’Arengo né la presenza della nobiltà stravolgono l’impianto strutturale originario della comunità.

Il potere di governo a San Marino non finisce mai nella mani di uno solo né in quelle di un gruppo di nobili preoccupati solo di perpetuare se stessi, come avviene ovunque altrove, anche nei luoghi che si amministrano a repubblica (Lucca Genova, Venezia). I nobili sammarinesi, diversamente da altrove, si dedicano oltre che al governo dello Stato, anche all’esercizio dei mestieri intellettuali necessari alla collettività. In sostanza è la cultura l’elemento che legittima il potere della nobiltà sammarinese rispetto al resto della popolazione. Non altro. Per il resto anche i nobili si comportano come gli altri, anch’essi sotto la vigilanza severa del Santo.

Il Santo impedisce ai singoli sammarinesi – nobili compresi – di qualsiasi tempo non solo di realizzare un qualche progetto di ‘signorizzazione’, ma anche solo di concepirlo, tenendo controllate le loro coscienze. Esiste un modo più efficace e sicuro per far rispettare una norma a un individuo, che fargliela imporre dalla sua stessa coscienza?

Ogni sammarinese sa che anche il solo pensiero di appropriarsi di tutto il potere equivale ad una sfida, una sfida direttamente lanciata al Santo. Troppo pericoloso. A detta di un erudito feretrano, Orazio Olivieri, è risaputo che quando sul Titano un membro della comunità si lascia prendere dalla cupidigia del potere, non ha scampo. Prima o poi ne paga le conseguenze. Su questo il Santo non perdona, secondo l’Olivieri.

Un fatto è certo: i vantaggi che derivano alla comunità dall’essere libera da autorità esterne, non sono mai finiti nelle mani di uno solo. Da quando esiste memoria storica, cioè dal 1243, il potere, nella comunità del Titano, è sempre stato in mano a due persone che dopo sei mesi lo hanno passato ad altre due persone e così fino ad oggi. Oggi all’estremo di questa catena che ha attraversato i secoli, salutiamo e festeggiamo le LL. EE. Alessandro Mancini  e Grazia Zafferani.

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