San Marino. “Il riciclaggio altera il sistema, danneggia la concorrenza e lede l’economia pubblica

San Marino. “Il riciclaggio altera il sistema, danneggia la concorrenza e lede l’economia pubblica

L’informazione di San Marino

“Il riciclaggio altera il sistema, danneggia la concorrenza e lede l’economia pubblica” 

In una sentenza sui denari della criminalità organizzata nascosti sul Titano la dimensione sociale del danno che, chi “amministra” denaro sporco, causa alla collettività 

Antonio Fabbri

SAN MARINO. Il caso è quello dei denari dell’azzardo, dell’usura e dei videopoker illegali arrivato a sentenza il 24 marzo scorso. Condannato in primo grado Angelo Di Leo, 59enne di Contursi Terme, in provincia di Salerno. L’inchiesta era scattata su flussi di denaro provenienti dalla Romania e gestiti da alcuni italiani, tra i quali Liberato Marcantuono. Di qui era partita l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Salerno. Marcantuono che, tra l’altro, nel 2010 ha subito una condanna a 4 anni per associazione di stampo camorristico, esercizio del gioco d’azzardo, gestione illegale di videopoker.

Il giudice Gilberto Felici, ha condannato l’imputato a due anni, 500 euro di multa, un anno di interdizione, senza concedere la sospensione della pena. Condanna anche alla confisca per equivalente fino a 203mila euro.
Le motivazioni di questa sentenza sono state depositate dal Giudice Felici il 12 dicembre scorso e, nel richiamare anche decisioni di gradi superiori in altri casi di riciclaggio, spiegano quale sia il disvalore sociale o, meglio, il vero e proprio danno che deriva alla collettività dal reato di riciclaggio.

Apparentemente, spesso, il riciclaggio appare un reato lontano dal sentire comune, in realtà ha ripercussioni dirette sulla vita delle persone, sul proliferare della criminalità, sulla concorrenza in ambito economico e sulla amministrazione della giustizia. E’ anche per questo che le pene per il reato di riciclaggio sono pesanti, se si pensa che prevedono un minimo di 4 anni, salvo i casi in cui le movimentazioni di denaro, come nel caso di Di Leo, si riferiscano a periodi antecedenti all’entrata in vigore della nuova legge. Nel qual caso si applicano le minori pene previste dalle norme precedenti.

Lo spiega lo stesso giudice Felici nella sentenza sul caso di Angelo Di Leo, nella quale mette in evidenza che il danno alla collettività derivante dall’occultamento del denaro di provenienza illecita, tanto più quando deriva da attività della criminalità organizzata, viene dunque esplicitato nella sentenza depositata lo scorso 12 dicembre: “La ragione di politica criminale sottesa alla normativa antiriciclaggio, tra cui le fattispecie penali, si ritrova nella volontà di colpire la criminalità a movente
economico, rendendo inutilizzabile il profitto che si trae dal reato, anche attraverso azioni preventive, di segnalazione obbligatoria, e sanzioni civili, tentando così di eliminare in nuce ogni prospettiva di guadagno derivante dalla commissione dello stesso.
Il bene tutelato dalla fattispecie vigente nell’ambito della complessiva evoluzione normativa – spiega il giudice Felici – non è più ravvisabile nel solo patrimonio, ma deve riconoscersi il carattere della plurioffensitivà: l’ostacolo alla identificazione della provenienza illecita dei beni, parte della fattispecie, porta a reputare lesa anche l’amministrazione della giustizia (“giustizia pubblica”); ma la transnazionalità e la sofisticatezza delle tecniche di riciclaggio – valutate dal legislatore nella redazione dell’intero apparato normativo – che determinano una alterazione delle regole del sistema economico e della concorrenza, inducono a dover valutare lesa – e, corrispondentemente, protetta – altresì l’economia pubblica”.

Lesione dell’economia pubblica si traduce, quindi, in un danno ingente per la collettività. Collettività che a volte, quando i casi di riciclaggio, di movimentazione e occultamento di denaro sporco vengono scoperti, trova il suo ristoro nella confisca diretta e per equivalente del denaro riciclato.

Non è un caso, quindi, che le confische giudiziarie vengano annoverate nelle poste di bilancio come una entrata per l’erario e, quindi, per la collettività, che beneficia così di una sorta di risarcimento, quanto meno parziale, per i danni all’economia e allo Stato che hanno generato i reati presupposti, prima, l’impiego del denaro sporco frutto di quei reati, poi.

 

 

Condividi


Per rimanere aggiornato su tutte le novità iscriviti alla newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy