San Marino. Vulcano, condanne confermate in Cassazione

San Marino. Vulcano, condanne confermate in Cassazione

L’informazione di San Marino

Vulcano, Cassazione conferma le condanne “Fu metodo mafioso” 

Giunge alla conclusione il primo caso che fece scoprire la presenza della criminalità organizzata tra San Marino e la riviera

Antonio Fabbri

Il caso Vulcano, il primo che fece scoprire in maniera eclatante l’attività dei clan malavitosi a cavallo tra Rimini e San Marino, arriva al suo epilogo processuale. Infatti, dopo l’udienza davanti alla Corte di Cassazione dello scorso 26 ottobre, in questi giorni è stata depositata la sentenza. Una decisione della Suprema Corte che conferma nella  sostanza le decisioni di primo e secondo grado, pur annullano per tre imputati la sentenza precedente e rinviando alla Corte di Appello di Bologna per un nuovo giudizio.

Nella sostanza, tuttavia, la Cassazione conferma l’impianto delle accuse e delle decisioni, compresa l’aggravante del metodo mafioso. 

La decisione della Corte La condanna viene annullata con rinvio, dunque per Giovanni Formicola (che era stato condannato a 7 anni), Sergio Romano (5 anni e 6 mesi) ed Ernesto Luciano (7 anni), che dovranno nuovamente essere giudicati dalla Corte di Appello di Bologna. Confermate, invece le condanne per nomi ormai noti sul Titano: Francesco Agostinelli (4 anni), Francesco Vallefuoco (4 anni e 6 mesi), Francesco Sinatra (4 anni), Pasquale Maisto (3 anni e 9 mesi), Massimo Venosa (3 anni e 9 mesi) e Giuseppe Mariniello, detto “Zio Peppe” (4 anni).

Quello che è rilevante è come la Corte confermi l’aggravante del metodo mafioso, che era stata contestata da alcuni ricorrenti. “Le sentenze di merito – dice la Cassazione – hanno fornito ampia e adeguata motivazione anche in relazione alla questione in esame”, evidenziando come le vittime, “già nel corso delle operazioni di captazione, apparissero terrorizzate ed avessero poi assunto, per effetto delle pesanti minacce e dei continui soprusi ricevuti, l’atteggiamento omertoso tipico delle vittime della criminalità organizzata, guardandosi bene dal denunciare i fatti delittuosi commessi dagli imputati. Questi ultimi cercarono di fruire di illeciti vantaggi mediante l’adozione di una tipica metodologia mafiosa, avvicendandosi nei singoli episodi, alternando richieste estorsive a simulate offerte di protezione.

L’inchiesta Vulcano Il caso è quello nel quale emerse l’attività del gruppo che faceva capo a Franco Vallefuoco e ai Mariniello. Un caso per il quale San Marino si svegliò con le infiltrazioni mafiose in casa, con l’attività dei clan in territorio, tra il Titano e la Riviera; scoprì il pestaggio in un capannone di Rovereta, le estorsioni a danno di Michel Burgagni e di un altro imprenditore riminese, l’attività con metodi “discutibili” del recupero crediti e la “lavatrice”, così era stata definita dagli inquirenti, di Fincapital; poi l’interesse nel settore immobiliare, le minacce telefoniche le pistole mostrate come intimidazione “a chi si comporta male”, lo sconto degli assegni per ripulire il denaro. E ancora l’amico ministro sammarinese che “sta inguaiato” o il “ciao puttana” di Vallefuoco all’amico del Titano che doveva procurare schede telefoniche “sicure”.

Insomma, tutte le attività documentate nelle intercettazioni telefoniche e nelle ordinanze delle procure italiane che diedero poi vita anche alla commissione di inchiesta sammarinese, appunto, sulle vicende Fincapital.

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