San Marino. L’assassino in Congresso: 1985, anonimo per liquidare Emilio Della Balda

San Marino. L’assassino in Congresso: 1985, anonimo per liquidare Emilio Della Balda

LA REPUBBLICA MONITORATA

L’ASSASSINO IN CONGRESSO
1985, ANONIMO PER LIQUIDARE EMILIO DELLA BALDA

“Fu una lettera anonima inviata al giudice istruttore di Rimini a scatenare il caso: l’estensore dello scritto raccontava con dovizia di particolari che ero stato io ad assassinare qualche mese prima Maria Teresa Zavoli, una prostituta originaria di San Giovanni in Marignano, figlia di un autotrasportatore di Chiesanuova, che incontrava i clienti in luoghi appartati tra il lungomare e lo stadio di Rimini”.
E’ Emilio Della Balda a raccontare quell’insidiosa avventura che lo coinvolse nel 1985, una storia rimasta fino ad oggi segreta ma che all’epoca rischiò di trasformarlo in sensazionale protagonista di uno scandalo internazionale.
Emilio Della Balda ricopriva dal 1978 la carica di segretario di Stato alle Finanze, politico di punta del Partito socialista unitario che governava il paese assieme a Partito comunista e Partito socialista.
“Le votazioni del 1983 avevano riconfermato l’esecutivo delle sinistre – ricorda Della Balda – io ero considerato molto rappresentativo nella coalizione, quindi un bersaglio prioritario degli antagonisti. Ma non credevo si potesse arrivare a tanto per sopraffare un avversario politico”.
Come andarono i fatti?
“I giornali avevano pubblicato pochi dettagli del delitto: la donna, una 31enne che abitava in un appartamentino di Misano Brasile, era stata uccisa di sera, attorno alle 22, dorso e torace letteralmente squarciati da un coltellaccio da macellaio, in uno spiazzo buio dietro allo stadio Romeo Neri, questi almeno erano stati gli unici elementi forniti dagli investigatori alla stampa – continua Della Balda – Nella missiva anonima inviata al magistrato si faceva invece riferimento ad altri particolari non divulgati: il coltellaccio in realtà era un punteruolo di 50 centimetri e nella lettera si menzionava la mia passione per la ricerca dei funghi e che con quell’arnese io abitualmente scovavo porcini e prataioli. Lo scritto anonimo forniva poi ragguagli precisi relativi al referto dell’anatomopatologo secondo cui la donna era stata colpita alle spalle con forza dall’alto in basso, pertanto da un uomo di statura elevata: io svetto sopra il metro e ottanta. Inoltre la poveretta aveva lasciato una sorta di diario – un particolare taciuto ai media – in cui raccontava di aver conosciuto ed essersi innamorata di un personaggio importante che le aveva promesso un impiego decoroso, così da consentirle di cambiar vita. Una complessiva descrizione insomma che sembrava pennellata su di me. Con qualche forzatura, obiettò il procuratore della Repubblica di Rimini: lui che amava come me i prodotti del sottobosco disse che l’arma del delitto a tutto poteva servire tranne che per andare a funghi”.
Fu quella competenza da buongustaio a risparmiarle un’imputazione di omicidio?
“No di certo. I magistrati comprendevano la delicatezza del caso: ipotizzare provvedimenti restrittivi per il ministro di uno Stato estero o soltanto accusarlo di un reato così grave e spregevole imponeva cautela. Pertanto furono avviate indagini a tappeto per scoprire innanzitutto se avevo un alibi per la sera del delitto”.
E l’alibi si dimostrò solido?
“Altroché, direi granitico. La sera del delitto ero stato il principale conferenziere in un dibattito pubblico: con manifesti, un centinaio di presenti, il servizio d’ordine della gendarmeria. Per me un risolutivo colpo di fortuna. Se quella povera donna fosse stata assassinata 24 ore prima o 24 ore dopo avrei penato parecchio per dimostrare la mia innocenza. Con immaginabili conseguenze: un governo non può sopportare che uno dei suoi ministri più rappresentativi sia imputato di un tale fatto di sangue”.
L’assassino di Maria Teresa Zavoli è rimasto senza nome, ma quell’efferato omicidio ebbe invece un seguito, una scia di delitti passionali, con vittime dedite alla prostituzione. I giornali scrissero di “tratta delle bianche”, senza scartare l’ipotesi del serial killer.
Lei pensò subito a una spregiudicata manovra politica per far cadere il governo.
“Chi aveva confezionato quella lettera anonima era riuscito ad accedere a documenti destinati a investigatori e inquirenti – continua Della Balda – Alcuni amici romani erano pronti a giurare che si era trattato di un’operazione da servizi segreti. E che pertanto dovevamo aspettarci di tutto: l’obiettivo surrettizio era provocare uno scandalo capace di mettere in crisi la maggioranza”.
Servizi segreti agli ordini di chi?
“Non lo so e oggi non mi sento di escludere alcuna ipotesi. Sta di fatto che poco meno di un anno dopo esplose la nebulosa questione morale su società dietro alle quali esordirono, come amministratori o tecnici, individui mai incrociati in precedenza a San Marino. La maggioranza si frantumò e sul Titano prese vita il compromesso storico, un esperimento pilota che poteva interessare compagini disparate, non soltanto sammarinesi e italiane”.
Dunque servizi segreti stranieri?
“Ripeto, non mi sento di escludere alcuna ipotesi. Mi limito a rammentare che nel periodo appena precedente alla creazione del governo tra democristiani e comunisti fu visto a San Marino addirittura Vadim Zagladin, in quel momento consigliere di Gorbaciov, ma con trascorsi importanti presso gli apparati sovietici d’informazione”.
Lei era ritenuto il più lungimirante dell’Esecutivo. Eppure non intraprese le iniziative politiche adeguate a contrastare quei fermenti che portarono alla crisi di governo.
“E’ vero, riconosco il deplorevole errore. Non credetti a Gabriele Gatti quando mi propose di mollare i comunisti per schierarmi con i democristiani: se non accetti, disse, i comunisti diventeranno i nostri alleati. Pensai a un bluff, invece aveva già una bozza d’intesa in tasca”.
Fu l’unico errore?
“No, ne commisi un altro, politicamente più grave. Quello di non cedere alle pressioni di Alvaro Selva, all’epoca segretario agli Interni comunista, nell’accettare la trattativa per il casinò. Va detto che anche i socialisti, il segretario agli Esteri Giordano Bruno Reffi e persino mio fratello Peppino, deputato al Lavoro, erano d’accordo per un confronto possibilista. Io giocai la carta dell’intransigenza. Rifiutai persino una cifra esorbitante – diciamo pure un esplicito tentativo di corruzione – che vennero a propormi due avvocati di Roma accompagnati da un loro collega sammarinese. Si presentarono a nome di una personalità politica dominante nel panorama italiano. Il mio diniego fu il combustibile della crisi”.
Esecutivo in brandelli per colpa del casinò? Una versione che non convince alla luce di quanto avvenuto successivamente, ovvero neanche il governo del compromesso storico realizzò l’opera. Chi frenò l’iniziativa dopo Emilio Della Balda?
“Questo è una domanda per altri interlocutori. Suggerisco di chiederlo ad Alvaro Selva o a Gabriele Gatti”.

[Pubblicata sul n. 4 di SUPER]

 

 

 

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