Federico Fubini, Corriere della Sera: Capitali in nero La breccia di San Marino

Federico Fubini, Corriere della Sera: Capitali in nero La breccia di San Marino

Corriere della Sera

L’ultimo deal è quello proposto dal saudita Ali Ismail Turki per la banca Cis. E prima di lui panamensi e nigeriani ..

Capitali in nero La breccia di San Marino

La Repubblica del Titano nel cuore dell’euro ma senza i vincoli di controllo sulla finanza applicati da Italia o Germania, attira sempre più offerte da parte di discutibili investitori internazionali pronti a salvare le sue banche in dissesto

Federico Fubini

Mohamed Ali Ismail Turki: segnatevi questo nome, perché in grado di spendere centinaia di milioni di euro con la facilità con cui altri bevono un thè. Segnatevelo, sì. Ma non tentate una ricerca in rete per capire chi sia questo ingegnere saudita, perché al di fuori della Repubblica di San Marino sembrerebbe sconosciuto. Non esistono o quasi su Internet riferimenti al suo nome, almeno non al di fuori dell’alfabeto arabo.
Eppure nella rocca del Titano Ali Turki si prepara a comprare una banca, la Cis, al cuore di un sistema ormai considerato al collasso. Ora alla stampa locale l’ingegnere saudita promette molto di più: altre centinaia di milioni per un aeroporto internazionale della Repubblica di San Marino (ma a Rimini), la costruzione di hotel a cinque stelle e un nuovo ospedale.
«Ho scelto di investire qui – ha dichiarato a un giornalista del posto – perché affascinato dalla storia e dalla tradizioni del vostro splendido Paese».
Il colpo di fulmine di questo investitore dev’essere stato intenso. Va detto che nulla suggerisce che il suo denaro sia di origine illecita e il suo nome non è legato a scandali. Ma Mohamed Ali Turki, che prima d’ora non sembra essersi mai affacciato in avventure all’estero, promette di versare risorse pari a metà del prodotto interno lordo nazionale proprio in un posto dove il fabbisogno di capitale degli istituti è stato stimato dalla banca centrale a 900 milioni di euro: una somma pari al Pil del Paese, che resta tutta da reperire e nessuno sa dire in che modo in quel sistema bancario con evidenti problemi di liquidità e di solvibilità delle sue aziende principali. Neanche a Ali Turki sfuggirà che esistono opzioni più prudenti per investire centinaia di milioni.
San Marino, oggettivamente, ha però una particolarità: fa parte dell’euro e dell’unione doganale europea- senza barriere di sorta a nessuna transazione conl’Europa :– eppure non è soggetto a nessuno dei vincoli di controllo e trasparenza dell’Italia o della Germania. Per qualcuno questa doppia qualità dev’essere molto attraente. Per correttezza verso Ali Turki, va detto però che non è il solo. Di recente la banca centrale di San Marino è stata avvicinata da una successione di figure che si dicevano disposte a investire molto denaro nella minuscola repubblica.
C’è stata una società di riassicurazione panamense che, subito dopo l’esplodere dello scandalo fiscale dei Panama Papers, sosteneva di volersi trasferire proprio nella rocca del Titano. Si è presentato poi un operatore nigeriano in rappresentanza di una società olandese con sede a Dubai – non la più trasparente di tutte le giurisdizioni – deciso a scegliere proprio San Marino per creare una finanziaria nel settore degli aeromobili.
Inutile chiedersi perché.
Del resto entrambi questi soggetti si sono volatilizzati non appena la banca centrale – all’epoca sotto la guida di figure di livello internazionale, in seguito allontanate dal governo – ha iniziato a chiedere i piani industriali e soprattutto le garanzie anti-riciclaggio fornite da questi potenziali investitori esteri. Invece di rispondere alle domande, sono scomparsi. Ma l’attrazione per San Marino da parte dei capitali esteri non finisce qui.
Dopo una pesante condanna in primo grado, proprio venerdì scorso sono stati assolti in appello ( «perché il fatto non sussiste») l’ex direttore generale della banca centrale di San Marino Mario
Giannini e l’ex responsabile della Vigilanza Andrea Vivoli per un altro caso legato a operazioni da Paesi di seconda o terza fascia: i due erano accusati di non aver comunicato all’Agenzia di informazione finanziaria del Paese il trasferimento di sei miliardi di dollari da Banca del Giappone alla banca sanmarinese Asset Bank, oggi in profondo dissesto, per conto dell’ungherese Gyiorgiy Zoltan Matrai. Anche questo trasferimento, una volta scoppiato il caso non è mai avvenuto.
Se fosse stato fatto veramente, per San Marino sarebbe stata una rivoluzione e un’importante inversione di tendenza.
Una rivoluzione perché con quell’unico trasferimento il livello dei depositi bancari a San Marino sarebbe raddoppiato e anche più. Un’inversione di tendenza perché negli ultimi anni la liquidità depositata sui conti bancari del Titano è crollata dai livelli pre-crisi, da circa 25 a cinque miliardi di euro: hanno contribuito la fuga di capitali avviata dalla crisi e soprattutto la voluntary disclosure per il rientro dei capitali operata dal governo italiano, che ha fatto uscire dalla Rocca molti fondi italiani un tempo nascosti al Fisco.
Quel prosciugarsi della liquidità nel sistema sanmarinese, come è ormai noto, ha fatto emergere scogli, relitti e cadaveri di ogni tipo. Una recente relazione sulla cassa di Risparmio di San Marino a firma di Mirella Sommella, un’avvocatessa che siede nella vigilanza della banca centrale, si legge come un catalogo degli orrori: sul conto della prima banca del Paese il rapporto di vigilanza parla di «assetto di governance «assolutamente inadeguato»; «dovere istituzionale e morale di intervenire immediatamente per arginare gli effetti devastanti che possono scaturire dalla grave crisi di Cassa di risparmio»; «fatti gravi occultati». E questo è solo uno dei dissesti al cuore di un buco bancario da 900 milioni, pari al Pil del Paese.
Il problema del governo del Titano, è che non riconosce il problema e non accetta aiuto dalle istituzioni internazionali o da operatori trasparenti di mercato. Così il problema diventa ogni giorno più grave.
E San Marino rischia di diventare una breccia nel cuore dell’Italia per l’ingresso di capitali opachi ( o peggio) da tutto il mondo, ai quali qualcuno alla fine stenderà tappeti rossi in cambio di una ciambella finanziaria di salvataggio.

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