San Marino. Blitz in Carisp, rinviati a giudizio Ciavatta e Santi. Antonio Fabbri

San Marino. Blitz in Carisp, rinviati a giudizio Ciavatta e Santi. Antonio Fabbri

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Blitz in Carisp, rinviati a giudizio Ciavatta e Santi

Antonio Fabbri

Sono cinque i capi di imputazione per i quali, a vario titolo, sono stati rinviati a giudizio il consigliere di Rete, Roberto Ciavatta, e l’esponente di MdSi, Emanuele Santi, per il cosiddetto “blitz” in Cassa di Risparmio durante la riunione del Cda del 30 maggio scorso. Ciavatta e Santi devono rispondere, assieme, delle accuse di diffamazione semplice e di violenza privata. Al solo Ciavatta sono invece contestate anche le accuse di minaccia, diffamazione a mezzo facebook e istigazione a delinquere. I fatti di cui dovranno rispondere in udienza i due esponenti politici, contestazione che gli interessati rigettano sono tutti legati a quanto accaduto il 30 maggio 2018 e descritti nel decreto di rinvio a giudizio disposto dal Commissario della legge Alberto Buriani.

La diffamazione La prima accusa è la diffamazione semplice per le offese nei confronti del Presidente, dei membri del Consiglio Amministrazione e del Direttore Generale della Cassa di Risparmio. Come noto i due si erano recati in Carisp pretendendo di parlare con gli esponenti del Cda che era in riunione. Ottenuta udienza, secondo le ricostruzioni dell’accusa, avevano preso a maleparole sia il Presidente, sia il Cda pronunciando frasi del tenore eloquente: «Siete dei coglioni e avete rotto il cazzo», riferendosi ai membri del Cda; e al Presidente: «hai rotto il cazzo, tu sei il cancro di questa banca, tornatene a Bologna, perché tu sei qua solo perché nominato dalla politica, ma non sai fare un cazzo». Due frasi pronunciate alla presenza di Presidente e direttore di Carisp. Altre affermazioni offensive sono state pronunciate alla presenza dell’intero Cda: “dichiaravano, riferendosi al Presidente Zanotti, «di sentire le tue supercazzole non abbiamo nessuna voglia, perché tanto non hai alcuna competenza, sei un nominato di AP e non fai altro che eseguire gli ordini politici, perché non sei neppure in grado di fare l’avvocato, sennò saresti rimasto a Bologna a fare l’avvocato». Dichiaravano che i membri del Consiglio di Amministrazione percepivano un compenso di 40mila euro annui per «non fare un cazzo e venire qua una volta alla settimana» e che il Presidente faceva gravare sulla banca le spese di vitto e trasporto: «spendi più tu per la benzina e il mangiare al ritrovo del mio stipendio». Frasi per le quali viene contestata la diffamazione semplice.

La minaccia A Ciavatta viene contestato di aver minacciato il Presidente di Carisp Fabio  Zanotti, alla presenza del Direttore Generale Dario Mancini e di Emanuele Santi, con la frase: «io non vado più per le vie legali, ma ti aspetto qua sotto».

Diffamazione su facebook A Roberto Ciavatta è poi contesta anche la diffamazione attraverso facebook. Questo perché la sera dell’increscioso episodio scriveva sul social network: «in cassa i fascisti danno il mandato al loro uomo di merda di denunciare ancora una volta la Tonnini? Il dialogo non lo si vuole, forse gli idioti non capiscono che dopo la mancanza di dialogo con noi c’è solo il confronto con il manganello. Andate a fanculo tutti, il buonismo è la premessa del lassismo che conduce al fascismo!». L’accusa è quella di avere offeso con questo post i membri del Cda di Carisp.

Violenza privata L’accusa di violenza privata è contestata nei confronti di Ciavatta e Santi, perché con la loro aggressione verbale, secondo il rinvio a giudizio, “con insulti e accuse inerenti la gestione della banca e la determinazione del Consiglio di Amministrazione di accordare “tutela legale” (ossia di sostenere le spese per l’assistenza difensiva di un membro del Consiglio di Amministrazione che aveva querelato il Consigliere Elena Tonnini perché “diffamato” da quest’ultima) ad Andrea Rosa, provocavano in quest’ultimo timore e preoccupazione, inducendolo a non avvalersi della “tutela legale”, già deliberata dal Consiglio di Amministrazione”. Per l’accusa i due “inducevano Andrea Rosa, al fine di porre termine all’aggressione in atto, ad offrire loro l’impegno a rinunciare alla “tutela legale”. La “decisione” assunta da Andrea Rosa era immediatamente verbalizzata dal Consiglio di Amministrazione e diffusa tramite un comunicato stampa, così come “concordato” tra lo stesso Rosa, Ciavatta e Santi”.

L’istigazione a delinquere Ciavatta deve rispondere anche di istigazione a delinquere perché nel post su fecebook aveva indicato “che la violenza (letteralmente: il «confronto col manganello»), era l’unico strumento idoneo a costringere al “dialogo” gli «idioti che non capiscono», ossia coloro che avevano assunto iniziative volte a «denunciare ancora una volta la Tonnini». Il post suscitava la condivisione di altrui utenti di Facebook che ne approvavano il contenuto violento, interpretato come legittima reazione nei confronti di quanti «il dialogo […] non lo vogliono» (Maria Luisa Berti). La “violenza” usata poco prima contro il Consiglio di Amministrazione di Cassa di Risparmio, e rivendicata nel post, veniva approvata e giustificata da altri utenti di Facebook come «l’unico modo con il quale si ottiene un atteggiamento sensato». (Alessandro Rossi). Fatto aggravato perché compiuto attraverso commenti pubblicati su un social network e visibili ad un numero indeterminato di utenti”. La data del processo è da fissare.                   

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