San Marino. Mazzette nei cantieri, la Cedu conferma la decisione del Titano. Antonio Fabbri

San Marino. Mazzette nei cantieri, la Cedu conferma la decisione del Titano. Antonio Fabbri

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Mazzette nei cantieri, la Cedu conferma la decisione del Titano 

La Corte di Strasburgo dà ancora ragione al Titano: “Non c’è stata violazione dell’articolo 7” il ricorso era stato presentato dai legali dei due ex funzionari del Servizio igiene ambientale

Antonio Fabbri 

Caso delle mazzette nei cantieri, si chiude anche il ricorso sovranazionale che era stato presentato alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Si chiude confermando la decisione del tribunale del Titano e attestando che non ci sono state violazioni della Convenzione da parte di San Marino. La sentenza della prima sezione della Corte di Strasburgo è stata pubblicata giovedì 10 gennaio 2019.

La ricostruzione del fatto e dell’iter giudiziario Il ricorso era stato presentato dall’avvocato Alessandro Francesco Petrillo per conto degli ex funzionari del Servizio igiene ambientale – oggi Uoc sicurezza sul lavoro – Paolo Berardi e Davide Mularoni. In rappresentanza della Repubblica di San Marino è intervenuto presso la Corte l’avvocato Lucio Daniele. Il caso, si ricorderà, è il primo di corruzione che sia mai giunto a sentenza definitiva a San Marino e riguardava le cosiddette “mazzette nei cantieri”. Una vicenda per la quale i due funzionari erano stati condannati in via definitiva, pena in parte scontata e oggi in regime di sospensione condizionale. Il caso scaturì dalla Commissione di inchiesta cosiddetta “Fincapital” i cui atti furono trasmessi al tribunale e si innescò una indagine penale sui fatti che erano stati raccolti scandagliati dalla Commissione stessa. Al termine della fase istruttoria ci fu il rinvio a giudizio e, poi, il processo. La Corte di Strasburgo ha ricostruito sinteticamente l’accusa che ha portato alla condanna. “In particolare i ricorrenti sono stati accusati di ricevere periodicamente somme di denaro in contanti al fine di omettere di svolgere i propri compiti, non ispezionando i cantieri delle società” della cosiddetta “galassia Bacciocchi” e astenendosi “dal sanzionare le violazioni e le irregolarità riscontrate in tali società”. La condanna di primo grado a cinque anni e mezzo per i ricorrenti, arrivò il 19 settembre 2014. Condanna che venne confermata in Appello, seppure ridotta a 5 anni, con sentenza del 12 gennaio 2016.

Il ricorso alla Cedu Secondo i ricorrenti la condotta contestata sarebbe stata una corruzione impropria. I funzionari, insomma, avevano omesso dei controlli e non avrebbero tenuto una condotta attiva a fronte delle dazioni di denaro. Questo, a parere della difesa, non rientrava nella fattispecie di reato in vigore all’epoca dei fatti, che non prevedeva questa condotta specifica.

Per questo i ricorrenti hanno sostenuto a Strasburgo che la legge “era stata applicata retroattivamente a loro svantaggio, in quanto erano stati giudicati colpevoli di corruzione in conformità con la formulazione di una disposizione penale che non era ancora in vigore al momento dei fatti”.

Il ricorso è stato ritenuto meritevole di essere esaminato da parte della Corte, che quindi ha ammesso le domande formulate dai ricorrenti.

La Corte ha tuttavia sottolineato che la stessa eccezione era stata presentata dagli accusati anche al Giudice delle Appellazioni interno il quale aveva però respinto la ricostruzione sottolieando che “i ricorrenti non solo erano stati giudicati colpevoli di omissione di atti derivanti dal loro ufficio – riporta la Corte – ma anche di avere un atteggiamento generale di favoritismo nei confronti delle società di fatto controllato da Bacciocchi, a volte non effettuando i necessari controlli di sicurezza, facendo meno del necessario o ignorando eventuali irregolarità. In tal modo, avevano agito in modo contrario ai doveri legati al loro ufficio nell’interesse di un privato corruttore”.

Le valutazioni della Corte Ora, la questione sollevata è di diritto e ruota attorno all’articolo 373 del codice penale, vecchia e nuova formulazione, che punisce appunto la corruzione. Secondo i ricorrenti il vulnus riguadrebbe la vecchia formulazione, ritenendo che questa non prevedesse la fattispecie dell’omissione. Ma il punto per la Corte di Strasburgo, che in così conferma le decisioini dei giudici interni di primo grado e appello che pure per alcuni aspetti erano divergenti, è sostanzialmente un altro.

La Corte deve infatti valutare, alla luce della Convenzione, se la formulazione delle norme ponesse in grado gli accusati di comprendere l’illiceità della condotta posta in essere, principio che è alla base della non applicazione retroattiva della norma penale: non si può cioè essere condannati per una condotta che non era prevista come reato e quindi non riconoscibile come illecita da chi la poneva in essere. Scrive quindi la Corte: “Nel valutare se l’interpretazione dei tribunali interni del reato di corruzione nel caso di specie, potesse ragionevolmente essere stata prevista dalle ricorrenti nel momento dei fatti, la Corte nota che sia la vecchia versione che la nuova versione dell’articolo 373 del codice penale di San Marino hanno definito il concetto di “corruzione” in termini simili. Tali disposizioni si riferivano esplicitamente alla percezione di un profitto indebito o di una promessa di tali atti al fine di compiere un atto contrario agli obblighi derivanti dalle funzioni di un pubblico ufficiale. La Corte non ha dubbi sul fatto che le parti ricorrenti erano consapevoli del fatto che il pagamento per evitare di svolgere le loro funzioni non ispezionando i cantieri e astenendosi dal sanzionare le violazioni e le irregolarità era un comportamento che equivaleva ad azioni contrarie ai loro doveri e quindi che avrebbe integrato il reato di corruzione, qualunque sia la sua qualificazione. Pertanto, la Corte ritiene che le conseguenze del mancato rispetto della legge penale pertinente fossero adeguatamente prevedibili, non solo con l’assistenza di pareri legali, ma anche secondo buon senso. L’interpretazione dei tribunali nazionali è quindi coerente con l’essenza di tale reato”.

Non solo. La Cedu evidenzia anche che “il reato di corruzione (anche nella vecchia formulazione della legge pertinente) comprendeva sia gli atti di omissione che gli atti di commissione. Il fatto che uno o entrambi i tipi di atti siano stati commessi nel presente caso non ha avuto alcun impatto sulla caratterizzazione attribuita a tali atti, dato che la caratterizzazione giuridica era identica in entrambe le situazioni, la Corte non rileva alcuna base giuridica per supporre che in entrambi i casi verrebbe inflitta una sanzione più pesante”.

Così, all’unanimità, la Corte di Strasburgo non rileva alcuna violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo, di fatto confermando quanto deciso dal Tribunale di San Marino.

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