San Marino. “Roberto Ciavatta di Rete testimonia a favore di Gatti”

San Marino. “Roberto Ciavatta di Rete testimonia a favore di Gatti”

“Roberto Ciavatta di Rete testimonia a favore di Gatti”

Gabriele Gatti sostiente: “…posso intervenire su qualcuno di Rete…”, difficile dire se direttamente o indirettamente. Evidentemente, però, lo dice scientemente perché sa che qualcuno di Rete in suo favore è già intervenuto. Roberto Ciavatta e altri esponenti di Rete hanno infatti testimoniato a favore di Gabriele Gatti. Intervenuti in sede giudiziaria praticamente a supporto di una denuncia dell’ex Segretario agli Esteri,

almeno due di loro hanno formulato illazioni e insinuazioni, che possono essere sopportabili seppure deprecabili in sede politica, ma sono assolutamente inaccettabili quando vengono riversate in atti giudiziari. Ed è quello che è accaduto a inizio del 2019. Infatti nelle loro testimonianze gli esponenti di Rete non si sono limitati a parlare di fatti, come dovrebbero fare dei testimoni, ma sono andati oltre, esprimendo opinioni, quando non addirittura insinuazioni e illazioni. Con tutta evidenza a sostegno e supporto della tesi del denunciante, Gabriele Gatti appunto.

Se le loro testimonianze abbiano contribuito alla riabilitazione dell’ex leader Dc che spera di tornare in auge – lo dice ai suoi interlocutori privatamente salvo smentire pubblicamente – è difficile da dire. Di certo “l’aiutino” del movimento, in sede di battaglia legale, ha contribuito a tenere aperta una denuncia che non aveva probabilmente elementi per stare in piedi. Ma ecco che cosa è accaduto. Gabriele Gatti tramite i suoi legali ha deciso a inizio del 2018 di sporgere denuncia per la pubblicazione “Gabriele Gatti in carcere”, libro uscito nel 2015, anni prima dunque, quando l’ex Segretario agli Esteri venne posto sotto custodia cautelare. Denuncia, tra le altre cose, per rivelazione di segreti d’ufficio e divieto di pubblicazione.

A fine 2018 – anni dopo dunque – Roberto Ciavatta, probabilmente irritato per la pubblicazione dei verbali della Commissione affari di Giustizia da  parte de “L’informazione” – tra l’altro pubblicazione legittima come confermato dal Collegio Garante – , è andato a riferire spontaneamente – e fuori contesto – che 4 anni prima aveva ricevuto una e-mail da Antonio Fabbri con il documento relativo all’arresto di Gabriele Gatti. Chissà come mai – ma in una convergenza di coincidenze che fa pensare che tanto coincidenze non siano – quelle affermazioni vengono utili per il procedimento aperto con la denuncia di Gabriele Gatti, difeso dagli avvocati Gian Nicola Berti e Filippo Cocco. Roberto Ciavatta, quello di Rete, a gennaio del 2019 viene, in funzione delle sue affermazioni fuori contesto in altro fascicolo, chiamato a testimoniare nel fascicolo della denuncia di Gatti.

Insomma, la serietà – si fa per dire – di Roberto Ciavatta, che nel 2015 aveva fatto caroselli e voleva addirittura istituire un giorno di festa nazionale per l’arresto di Gatti, è stata tale da decidere di diventare testimone chiave a favore di Gatti stesso. Così prima ha tirato fuori spontaneamente lo scambio privato di e-mail con il giornalista, del quale egli soltanto poteva essere al corrente visto che non è stato oggetto di perquisizioni, poi ha testimoniato riversando in atti illazioni e non fatti. Dunque Ciavatta, quello di Rete, con una virata degna di chi farebbe di tutto per i propri scopi, diventa il principale fautore e testimone a sostegno del riscatto di Gabriele Gatti, puntellandone la denuncia.

Anche perché la sua testimonianza, resa il 31 gennaio 2019, oltre ad essere contraddittoria, non risulta basata su dati di fatto, ma su illazioni e opinioni. Roberto Ciavatta – quello di Rete – si spinge in insinuazioni che non hanno riscontro né fondamento. Non si può dire che in questo non sia stato aiutato dalle domande ambigue formulate dall’agente di polizia giudiziaria, il tenente Stefano Bernacchia, che a sua volta non gli chiede di riferire solo su fatti, ma si spinge a domandare al testimone le sue opinioni. Opinioni che si traducono in insinuazioni non provate e in considerazioni perniciose. E quali sono queste insinuazioni? Chiede Bernacchia: “Secondo lei (…) come può essere…” che il giornalista fosse in possesso dell’ordinanza? E già qui ci sarebbe da opinare molto sul fatto che un agente di Polizia giudiziaria chieda a un testimone di riferire le sue opinioni e non i fatti.

La risposta del Ciavatta è un capolavoro di insinuazione: “Penso che Antonio Fabbri, avesse ed abbia, un canale diretto con il Commissario della legge Alberto Buriani e che tramite la predetta autorità sia venuto in possesso dell’ordinanza in questione”. Saputo quello che si voleva sentire, l’audizione finisce lì. Non si chiede al testimone come faccia a dirlo, se abbia delle prove di questo, ma si verbalizza e si dà credito ad una pura illazione.

E allora, per queste insinuazioni, il giornalista finisce indagato in concorso con il magistrato e per quella denuncia il giornale subisce un paio di sequestri. Un dettaglio, certo, di fronte a quello che appare un utilizzo politico della giustizia che in tale modo viene anche depistata attraverso testimonianze fatte di opinioni e illazioni che hanno finalità di destabilizzazione, oltre che di bramosia di potere, ed evidentemente mirate a colpire quelli che si ritengono ostili, aprendo la strada ad una palese restaurazione.

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