Come riparare il mondo?

Come riparare il mondo?

Come riparare il mondo?

Come riparare il mondo? Questa la domanda che si sono posti i relatori dell’incontro del 23 febbraio scorso, a cura di Isabella Bordoni e della Compagnia Quotidianacom, al Centro Sociale di Poggio Torriana. Ospite d’onore Tonino Perna, professore ordinario, economista ed esperto nei processi di costruzione della sostenibilità economica e della moneta locale, attivo nel settore del volontariato e delle Ong, collaboratore dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano e già presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Al suo fianco, Karen Venturini, docente dell’Università di San Marino, esperta di “Gestione dell’Innovazione”, e Andrea Zanzini, collaboratore in diversi enti no-profit per la promozione della responsabilità sociale d’impresa.

Innanzitutto occorre prendere coscienza che il capitalismo ha dimostrato di non esser riuscito a mantenere le promesse: la fine della povertà, la lotta alla fame nel mondo, l’occupazione per tutti. I dati, oggi, dimostrano che il divario tra ricchi e poveri è sempre più marcato, che i livelli di disoccupazione non calano, anzi potrebbero salire a seguito dell’automazione e robotizzazione dell’industria, che la mancata crescita dei salari provoca sacche di povertà soprattutto tra i giovani, la cui precarietà lavorativa e i bassi redditi, sono deterrenti alla concessione di prestiti da parte delle banche. Per non parlare dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici che stiamo subendo. E le guerre, le crisi e l’insicurezza, come condizione umana permanente.

In nome del Dio denaro abbiamo sacrificato legami sociali, affetti: questo dio si è trasformato, incarnato nella Finanza, nei mercati finanziari che decidono ogni giorno, in base ai loro capricci, chi deve vivere e chi deve morire. Come scrive Tonino Perna in “Monete locali e moneta globale. La rivoluzione monetaria del XXI secolo”, abbiamo sempre più assistito alla trasformazione del denaro, da “valore d’uso”, strumento per lo scambio di merci e servizi, a “riserva di valore” e quindi di accumulazione di potere. Il possesso del denaro causa la gerarchizzazione degli agenti economici; e così le grandi imprese possono accedere facilmente al credito e indebitarsi in modo esponenziale con gli istituti finanziari mentre le piccole e medie imprese soffrono di liquidità.  Dalla parte della domanda di moneta, l’evoluzione del capitalismo ha portato a produrre e moltiplicare i debitori. Siamo continuamente indotti a spendere denaro in beni e servizi, per accumulare detersivi, alimenti (ne è un esempio lo svuotamento dei supermercati in questi giorni per il coronavirus), vestiti, mobili, tecnologie, per placare nuovi bisogni creati dalla pubblicità e siamo perennemente sotto pressione per indebitarci. La finanza ha inventato ogni tipo di diavoleria per provocare l’indebitamento dei singoli, delle imprese fino a quello degli Stati. E non è un caso che i termini “crediti” e “debiti” siano entrati nei più svariati linguaggi, anche in quello universitario. Se sommiamo il debito delle famiglie, delle imprese e dello Stato arriviamo negli Usa a 3,5 volte il Pil, e in Italia a 2,6 volte. Ogni nascituro in Italia ha 40.000 euro di debito, che pagherà in minore istruzione, minore sanità, più bassi salari. D’altro canto liberarsi dalla schiavitù del debito non è facile. Spendere senza limiti crea consenso politico, per ciascun governo! Per non considerare il debito ecologico, scaturito dall’inquinamento del Pianeta… Come riparare allora il mondo?

Se non riusciamo ad intervenire a livello macro economico, ad ottenere il potere per modificare i gangli del sistema, occorre partire dalla micro scala, da territori circoscritti nei quali sperimentare nuove forme di economia, nuovi modi di essere, che privilegino le relazioni rispetto all’accumulazione di merci, che favoriscano la solidarietà, l’accoglienza dell’altro diverso da me, che propongano forme organizzative non gerarchiche, che agevolino processi di de-mercificazione della terra, del lavoro e della moneta. 

In questa prospettiva la terra, il lavoro e la moneta potrebbero essere riconsiderati come beni comuni, un genere terzo rispetto alla proprietà privata e alla proprietà pubblica – trattandosi di “beni” essenziali per la sopravvivenza (il patrimonio ambientale con gli elementi costitutivi dell’aria, dell’acqua, della terra e del cibo) e per la tutela dell’eguaglianza e del libero sviluppo della personalità (il lavoro). 

In quest’ottica di riappropriazione e gestione condivisa dei principali elementi economici; le monete locali rappresentano strumenti per il recupero della funzione sociale del denaro e della sovranità monetaria. La moneta complementare non sostituisce quella ufficiale, ma innesca un sistema di compensazione fra crediti da parte di operatori e consumatori all’interno di una comunità o di un territorio. Queste monete si caratterizzano per la loro capacità di rivitalizzare le economie locali, rafforzare le identità territoriali e per la loro indiscussa funzione di contrasto alle economie illegali e/o criminali. Numerosi sono gli esempi di territori che si sono salvati da crisi economiche grazie all’utilizzo di queste monete, una fra queste il Brixton Pound, inglesee la Sardex, appunto sarda.

Nella speranza che possa esistere un altro uomo, rispetto all’uomo economico di Vilfredo Pareto, che persegua un piacere individuale attraverso un piacere collettivo e che elegga la solidarietà come principio cardine di una nuova economia, una soluzione per riparare il mondo è alzare la faccia dal bancomat, da una cassa automatica, dal monitor di un computer, dal cellulare, e guardare davanti, perché “ciò che salva è lo sguardo” come diceva Simon Weil.

 

Karen Venturini

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