San Marino. Lo screening registra 13 nuovi positivi, conferenza stampa

San Marino. Lo screening registra 13 nuovi positivi, conferenza stampa

Nessun decesso e un guarito, lo screening registra 13 nuovi positivi

Il dottor Morri: “Ora siamo ottimisti, ma di fronte al nuovo virus la sanità mondiale si è trovata nuda e impreparata. Senza indicazioni neppure dall’Oms”

La conferenza stampa del Gruppo di coordinamento ha visto ieri la dottoressa Stefania Stefanelli fornire i dati al 22 aprile. I casi COVID-19 (positivi a test molecolare) registrati complessivamente dall’inizio della infezione ad oggi sono 501 (conteggio dal 27 febbraio). I casi attualmente positivi in osservazione sanitaria sono 398; i deceduti 40; i guariti 63. L’andamento riferito all’infezione nella giornata del 22 aprile evidenzia quindi:

• 13 nuovi positivi, deceduti 0, guariti 1 Tra le persone positive, 15 sono ricoverate all’Ospedale di San Marino, di cui:

• 3 in Terapia Intensiva (1 femmine e 2 maschi);• 12 nelle degenze di isolamento (7 femmine e 5 maschi) Sono invece 383 le persone positive al test molecolare (tampone) in isolamento al proprio domicilio (202 femmine e 181 maschi). I dimessi dall’Ospedale per migliorate condizioni (clinicamente guariti) sono 123 (+1)

Per quanto riguarda le quarantene sono:

• 681 le quarantene domiciliari sui contatti stretti (612 laici, 55 sanitari, 14 Forze dell’Ordine)

• 1.020 le quarantene terminate Totale quarantene attivate: 1.701 Il totale dei tamponi effettuati è di 1.929; 57 i tamponi refertati nella giornata di ieri.

Viene sempre ricordato dal Comitato per l’emergenza che dal 7 aprile, con l’esecuzione di test sierologici e dei tamponi analizzati direttamente dal Laboratorio Analisi di San Marino, è iniziata l’indagine specifica della ricerca del virus Sars Cov 2 nella rete dei contatti stretti delle persone già positive, anche su individui asintomatici. Risulta quindi da tali ambiti la quasi totalità dei nuovi casi positivi registrati da allora.

Presente ieri alla conferenza stampa il Direttore del Pronto Soccorso, Antonio Morri, che e partito dalla ricostruzione delle tappe che hanno portato fino all’attuale situazione:

“Il 25 febbraio quanto un equipaggio del pronto soccorso è intervenuto su un paziente con sospetto di polmonite, utilizzando i dispositivi di protezione personale, perché già in casi di questo tipo il protocollo era quello di intervenire in sicurezza. In quella data arrivò, quindi, quello che potremmo definire il ‘paziente 1’. Di lì in poi San Marino con il suo ospedale e con tutte le sue forze si è messo ad operare rivedendo in pochi giorni organizzazione e logistica dell’ospedale”. Il dottor Morri ha quindi descritto le modifiche che hanno portato alla nascita di un’area dedicata la Covid e a una nuova e rivoluzionata organizzazione del nosocomio di Stato.

“Nel pronto soccorso è stata creata ‘l’area Covid’ all’interno della camera calda, nella quale ogni paziente che entra in pronto soccorso viene valutato, visitato, studiato e viene indirizzato se del caso nelle aree di cura del Covid”. Quindi ha aggiunto: “Se da un lato devo ringraziare il personale del pronto soccorso, non posso esimermi dal ringraziare nel complesso tutto il personale dell’ospedale”.

Le preoccupazioni del lavoro dei sanitari sono state portate anche a casa, dato che nelle relazioni familiari, chi lavora nell’ospedale, si è trovato a vivere in casa propria situazioni si isolamento con precauzioni particolari, essendo persona esposta al rischio. Poi il dottor Morri spiega: “Ci siamo trovati di fronte, riferendomi a tutto il personale sanitario di tutto il mondo, ad una malattia nuova che ci ha trovato nudi e impreparati. Anche perché dalla Cina e dalla comunità scientifica, non sono arrivati protocolli di azione, né l’Oms si è impegnata a dare indirizzi, ma giorno dopo giorno ci siamo fatti forza condividendo tutte le comunicazioni scientifiche che si potevano trovare nell’ambito medico. Molti di noi hanno passato serate a studiare per cercare nuove evidenze scientifiche, strategie terapeutiche, diagnostiche e di capacità gestionale”.

Poi il riferimento, non senza commozione, alle persone che non ce l’hanno fatta. “Il fatto di perdere pazienti per strada – ha detto il dottor Morri – è stata cosa molto pesante da sopportare. Oggi siamo in una fase che ci dà ottimismo, nonostante tutto. Perché? Perché stiamo facendo un lavoro importante sul territorio per andare a individuare i pazienti contagiati e questa azione è stata intrapresa perché all’interno dell’ospedale abbiamo ottimi risultati. Si è switchato da quella situazione iniziale con molti ricoverati a una decina. Questo ci fa ben sperare soprattutto perché ci troveremo impegnati per vigilare su possibili focolai e intervenire rapidamente in una fase in cui il Paese sta ragionando di ripartire. Una necessità altamente condivisibile, perché anche il lato economico, pur se secondario rispetto a quello della salute delle persone, ha una sua importanza in una struttura sociale. Ma questa ripartenza andrà condotta con discernimento e con massima vigilanza, perché quello che potrà accadere sarà una possibile ricaduta di situazioni problematiche che possono coinvolgere l’ospedale”.

Negli ultimi dieci giorni “in Pronto soccorso abbiamo proceduto a 4 ricoveri da Covid su 15 pazienti che sono venuti per patologia infettiva. In tutto il periodo il Ps ha continuato a lavorare anche sulla patologia classica. Si contano 17mila accessi annui al Pronto soccorso. In un mese nel quale, in condizioni normali, avremmo avuto 1.200 accessi, siamo scesi a 500, quasi esclusivamente dedicati al Covid. In mezzo a questi, l’ospedale e il pronto soccorso, con i colleghi delle varie specialistiche, ha gestito anche altre patologie varie e gravi: infarti, ischemie, patologie cardiovascolari, addominali e quant’altro di rilevante si è presentato nella nostra struttura. Se il nostro ottimismo nasce dai dati e dall’impegno sul territorio per gestire possibili fonti di contagio asintomatiche – ha aggiunto il dottor Morri – dall’altro lato abbiamo un ospedale che si va via via riallineando, tornando a gestire le patologie con le quali siamo abituati a misurarci tutti i giorni, che non sono sparite. Siamo in una fase abbastanza favorevole che ci richiede di continuare a vigilare e intervenire, grazie al fatto che San Marino ha un’ottima legge sulla sicurezza sociale, appoggiata a suo tempo da tutti i parlamentari. San Marino ha un ospedale, e fortuna che ce l’ha al di là di tante frasi fatte che di tanto in tanto si ascoltano anche nella comunicazione politica, perché altrimenti non avemmo potuto fare fronte a questa situazione e non saremmo così ottimisti in questo momento”. Ad oggi operativamente il pronto soccorso mantiene la sua strutturazione di ingresso. “Il paziente – ha spiegato il dottor Morri rispondendo a domanda specifica – si ferma in un box dedicato all’interno della camera calda, dove c’è la possibilità di visitare il paziente, di fare attività diagnostica, di gestire in tutta sicurezza un paziente fino a quando non ci sia una codificazione della diagnosi covid o non-covid”.

Anche chi si rivolge al pronto soccorso deve avere un determinato comportamento. “Cosa chiediamo a chi si serve del pronto soccorso e anche a chi invia i pazienti in pronto soccorso? Di riservare l’invio al Ps al paziente sintomatico, che ha cioè sintomi in quel preciso momento. Sintomi che devono essere, appunto, da pronto soccorso per la patologia classica, o da sospetto covid per i sintomi specifici”.

Alla domanda su come l’ospedale veda la possibilità di prognosi del decorso della malattia – in funzione della ospedalizzazione o meno del paziente – attraverso la diagnostica Tac, recentemente richiamata da uno studio dell’ospedale di Piacenza pubblicato sulla rivista specializzata Radiology, il dottor Morri ha chiarito: “Nella nostra esperienza sulla diagnostica stiamo applicando da circa un mese l’esame tramite Tac. Perché? Perché il lavoro fatto dai medici giapponesi sui passeggeri della Diamond Prince, ha portato alla luce la difficoltà di identificare il quadro clinico di un paziente attraverso la semplice radiografia al torace.

Quindi dall’inizio abbiamo sfruttato tantissimo la diagnostica Tac, che ci ha permesso di poter avere un quadro polmonare radiografico da valutare in termini di gravità, che associato all’esame dell’emogas, ci dava un quadro clinico abbastanza sicuro, anche in assenza di tampone. Perché, ricordiamo, abbiamo avuto giorni di difficoltà anche nel poter fare tamponi. Grazie alla collaborazione dei radiologi a all’utilizzo di quella metodica, noi dai primi di marzo siamo riusciti ad indirizzare i pazienti verso il ricovero o verso la gestione domiciliare con l’utilizzo della Tac. E’ chiaro che questo è uno strumento di diagnostica che comporta delle sue problematiche se si pensa che un Tac al torace corrisponde a 190 radiografie, ma in una situazione come questa abbiamo ritenuto di utilizzarla. Oggi siamo confortati nelle scelte compiute anche dai dati di altre realtà”.

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