San Marino. Lettera ad Arlotti dall’eterna quarantena

San Marino. Lettera ad Arlotti dall’eterna quarantena

Riceviamo e pubblichiamo

Egregio dottor Arlotti, volevo innanzitutto complimentarmi per la dedizione e le capacità dimostrate durante questa difficile emergenza sanitaria. La seguo con una certa assiduità e ho avuto modo di apprezzare la determinazione con cui affronta i problemi, lo stile chiaro ed autorevole, le capacità relazionali con le controparti che dopo i malati sono i rappresentanti istituzionali e l’opinione pubblica.
Tuttavia sono rimasto piuttosto deluso dalla risposta che ha dato quando le è stata richiesta un’opinione su che fine debbano fare gli asintomatici Covid positivi da oltre due mesi, come mia moglie e me, condannati ai domiciliari assieme ai nostri due figli minorenni, di 12 e 7 anni da quasi 70 giorni.
In buona sostanza ne ha fatto una questione “procedurale”: finché protocollo sanitario e conseguente normativa (penale) prevedono che un infettato non superi il test del doppio tampone negativo, non lo si potrà considerare guarito, presumibilmente non contagioso, e quindi la misura di isolamento permane.
Portate pazienza e restate chiusi in casa che per voi la Fase 1 non è finita ancora.
Ecco, abbiamo portato pazienza ma è giunto il momento di fare per noi qualche previsione più accurata e prendersi un impegno più preciso sui tempi. 

A scanso di equivoci ci tengo a chiarire che siamo una famiglia di grande senso civico, come i gendarmi con cui siamo in contatto quotidiano potranno confermare, che si è sottoposta di buon grado ad ogni indicazione impartita e che nonostante sia stata oggetto, soprattutto nelle prime settimane, di valutazioni e protocolli poi rivelatisi errati (sarò lieto di illustrarle privatamente quanto affermo), non ha sollevato nessuna polemica, comprendendo l’enorme stress a cui era sottoposto tutto il sistema che lei dirige.

Però adesso basta, vogliamo delle risposte meno elusive del naturale richiamo alla Legge, che ben conosciamo anche noi.
Sentiamo parlare di test che misurano la carica virale non secondo la semplice logica binaria del negativo SI/NO; giungono voci sull’opportunità di eseguire dei lavaggi con soluzione fisiologica prima di fare il tampone, perché potrebbero permanere residui di muco infetto; vediamo che in Italia le quarantene durano 15gg e non i 25 previsti dal nostro protocollo più recente; leggiamo che si parla di “immunità” molto probabile ma non sicura al 100% per i guariti, elemento che  porta me e mia moglie a sospettare di essere uno l’untore dell’altro, vicendevolmente, e per un lasso di tempo che nessun avverbio potrà mai descrivere, ma che allo stato attuale delle conoscenze sul virus potrebbe anche essere “per mesi” o “sempre”.
E quindi? Se rimanessimo positivi per 6 mesi, dovremmo pazientare ancora 6 mesi? E se diventassimo “portatori sani” (perdoni la sicura inesattezza) con il virus sempre in corpo ma con poca o nulla capacità di contagio cosa ci aspetta, l’ergastolo?
A cittadini come noi, che siamo la punta di un iceberg ben più vasto ancorché non certificato statisticamente, è riservata solo la segregazione domestica fintanto che non peschiamo il jolly del doppio tampone negativo. Ecco, ci servono risposte a questi quesiti.

Infine, tralasciando l’aspetto lavorativo e retributivo, le segnalo che noi adulti cominciamo ad avere dei problemi di ansia, uno strano e per me nuovissimo senso di claustrofobia senza parlare dei bambini che oltretutto sono sani ma che non ci sentiamo di affidare neppure agli amici più cari, che non escono dal giardino da più di 2 mesi che a sera hanno delle esplosioni di vitalità repressa che prima non avevano.
Ai vicini che ci fanno la spesa da mesi ma che ora hanno ripreso a lavorare ambedue, hanno due figli piccoli da gestire a scuole chiuse, cosa diciamo? Che c’è il penale se andiamo a far spesa per conto nostro? Per quanto ancora dovremo fare affidamento per tutto sulla benevolenza e disponibilità di altri?

Grazie per l’attenzione

Gabriele Vitali

 

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