San Marino. Plenario, il parere dei costituzionalisti

San Marino. Plenario, il parere dei costituzionalisti

Il parere dei costituzionalisti inguaia le decisioni del Plenario

Anche le consulenze richieste alimentano dubbi sulla regolarità delle sedute e delle deliberazioni del Plenario oltre che sugli effetti della retroattività

I pareri dei costituzionalisti potrebbero addirittura inguaiare il Consiglio giudiziario plenario e le sue recenti decisioni, perché, se da una parte definiscono un sostrato interpretativo sul quale la maggioranza politica e la minoranza dei giudici hanno potuto poggiare le loro deliberazioni, dall’altro lato acuiscono i dubbi – di legittimità, di validità e di conformità a principi fondamentali – sulle votazioni e sugli effetti retroattivi che si vogliono attribuire alle norme interpretative adottate. Sono diversi i punti che sollevano dubbi sia nel parere di Antonio Baldassarre, sia in quello di Licia Califano.

Il parere di Baldassarre, assunto dalla Reggenza e trasmesso anche all’Ufficio di presidenza e al Congresso di Stato, non è poi così netto come si vorrebbe fare pensare. Anzi. Se da un lato il costituzionalista attesta la possibilità dell’interpretazione autentica e, come tale, la produ- zione retroattiva dei suoi effetti, è esattamente in questi effetti che lo stesso Baldassarre, richia- ma però valutazioni di prudenza e cita la Corte Costituzionale italiana.

Quindi se l’interpretazione autentica, secondo Baldassarre, è da ritenersi legittima perché ragionevolmente rispecchia i contenuti della disposizione interpretata, allo stesso tempo la sua efficacia genera dei distinguo. Quindi sul piano degli effetti e citando la Cassazione Baldassarre dice che le leggi di interpretazione autentica “non possono travolgere o modificare i rapporti giuridici esauriti o decisi in modo definitivo (sentenza passata in giudicata, prescrizione, decadenza, o, comunque, i c.d. diritti quesiti maturati e garantiti dalle leggi). Inoltre, quelle stesse leggi debbono operare sul piano delle disposizioni legislative in modo formalmente e materialmente generale, nel senso che debbono essere orientate a perseguire interessi generali di rilievo costituzionale, senza ingerenze o intromissioni nel regolare svolgimento di specifici processi pendenti con lo scopo di rendere legittimo ciò che era illegittimo. Quest’ultimo limite – aggiunge citando la Cedu – è strettamente connesso al principio democratico della separazione dei poteri, la cui violazione ridonda sempre nell’oppressione delle libertà e dei diritti della persona umana”.

E non si può certo dire che gli effetti dell’interpretazione autentica non riguardino casi particolari.

Ma c’è di più. Perché Baldassarre sostiene che, pur dichiarando che la vecchia Composizione del Consiglio giudiziario, sulla base della norma e dell’interpretazione autentica retroattiva, possa essere dichiarata illegittima, “occorre però precisare – scrive – che, poiché le delibere del Consiglio Giudiziario sono equiparate, sotto il profilo del loro valore giuridico, agli atti amministrativi, la loro invalidità non opera immediatamente ope legis (come qualcuno avrebbe voluto fuori e dentro il plenario, ndr), ma può essere fatta valere esclusivamente con i mezzi d’impugnazione previsti dalla legge, e quindi nei modi e nei termini legislativamente stabiliti per essi. Ciò significa che le decisioni adottate conservano la loro efficacia in tutti i casi in cui non siano state impugnate nei termini perentori previsti per la loro impugnazione o si sia formato sulle stesse un giudicato (res judicata). Allo stesso modo, nel caso che dalle deliberazioni adottate discendessero illeciti civili, le regole sarebbero le medesime, nel senso che le eventuali violazioni della legge dovrebbero farsi valere soltanto nei modi e nei termini previsti per le relative impugnazioni”.

Questo dice il parere di Baldassarre sugli effetti della retroattività, il che non è esattamente in linea con quanto avrebbe pianificato la maggioranza. Retroattività sulla quale, comunque, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, è tuttavia più netta: “I consigli giudiziari sono essenziali per salvaguardare questa indipendenza. Devono essere fermamente previsti dalla legge, in modo da precludere misure che incidano retroattivamente sulla loro composizione”. Esattamente quello che la maggioranza ha fatto, salvo poi cercare un parere per giustificarlo.

Ma c’è di più. Il professor Baldassarre, nel sostenere la legittimità della interpretazione autentica, parla del principio di “pariteticità” del numero dei togati e di quello dei membri politici. Per garantirlo Baldassarre sostiene che è giusto interpretare la norma nel senso che i togati membri dei Plenario, debbano essere quelli che hanno superato il periodo di prova e per questo a tempo indetrminato, in modo che il principio di pariteticità sia salvaguardato anche quando si dovesse votare la conferma di un magistrato in prova membro del plenario, che in quella circostanza si dovrebbe astenere. Il costituzionalista dice che quando questa pariteticità viene meno anche all’atto delle votazioni si finisce “per provocare un vulnus del principio di pariteticità fra componente politica (laica) e componente togata, sul quale si basa fondamentalmente la composizione del Consiglio Giudiziario in adunanza plenaria”. Il che significa, volendo usare lo stesso principio, che in tutte le ultime votazioni, nelle quali il numero dei togati è stato sempre di gran lunga inferiore a quello dei politici, il “vulnus” c’è stato.

Ma sui numeri della composizione del Consiglio giudiziario plenario, aveva già dato, sempre su richiesta della Reggenza, espresso il suo parere la professoressa Licia Califano.

Nel dare appoggio al fatto, sostenuto dalla maggioranza, che gli astenuti non contano nel computo che determina una votazione, la Califano parla di due tipi di quorum per validità di seduta e votazione: “quorum strutturale, espressione con la quale si intende il numero dei componenti di un organo collegiale la cui presenza è necessaria per rendere valida una seduta (c.d. numero legale) e che rappresenta il presupposto logico-giuridico del quorum funzionale e deliberativo

Quest’ultimo è il numero dei voti necessari per adottare una deliberazione valida all’interno di un collegio legittimamente costituito.

Quindi, laddove manchi il “quorum strutturale”, cioè il numero legale, le deliberazioni non sono valide. Così se nelle votazioni solo i favorevoli ed i contrari sono computati ai fini del raggiungimento del “quorum funzionale”, cioè necessario alla adozione della deliberazione, è altrettanto vero che la precondizione è che ci sia il “quorum strutturale”, cioè il numero legale, che è pari alla metà dei membri, e gli astenuti non concorrono a formare questo numero. Ciò significa che le votazioni nelle quali chi si è astenuto ha fatto venir meno il numero legale, non sarebbero valide, stando al parere. Cosa che, a quanto è dato sapere, è accaduta ad esempio in una delle ultime deliberazioni in cui su 22 membri, di cui 12 erano presenti, due si sono astenuti. In 10 hanno partecipato quindi al voto che, per questo, non sarebbe valido mancando il numero legale. La conoscenza dei verbali delle sedute con gli esiti delle votazioni dei presenti e degli astenuti – dati fino ad oggi tenuti nascosti – diventa a questo punto fondamentale per capire anche se vi siano stati abusi.

Leggi il parere pro veritate del prof. avv. Antonio Baldassarre, Presidente emerito della Corte Costituzionale

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