San Marino. “Blitz” in Carisp. Santi e Ciavatta assolti

San Marino. “Blitz” in Carisp. Santi e Ciavatta assolti

Per il giudice il “blitz” in Carisp non fu “blitz”, Santi e Ciavatta assolti. Il Segretario alla Sanità condannato invece per ingiuria

Dopo il ritiro della querela da parte del nuovo Ad di Cassa, caduti tre capi di imputazione La volontà della parte lesa non fu coartata dagli insulti e il “manganello” non fu una istigazione

Antonio Fabbri

Condanna per ingiuria e assoluzione per il cosiddetto “blitz” in Carisp. Questo in estrema sintesi l’esito del processo che vedeva imputati, per l’ingiuria nei confronti dell’ex Consigliere Stefano Spadoni, il solo Segretario di Stato Roberto Ciavatta, e per le imputazioni legate all’episodio in Cassa di Risparmio, lo stesso Ciavatta assieme a Emanuele Santi, oggi segretario di Rete. Ieri era il giorno delle conclusioni e della sentenza.

La parte civile Spadoni Il primo a intervenire l’avvocato Enrico Carattoni. L’avvocato Carattoni, dopo avere evidenziato la “potenzialità diffusiva e offensiva del social network, non solo per le persone che hanno interagito con il commento, ma visto anche da tante altre persone che non hanno interagito, ha richiamato il post di Ciavatta, pubblicato a commento della condivisione da parte di Spadoni del comunicato di Cassa di Risparmio relativo al blitz. Un post che fu tanto eloquente quanto offensivo. “Quel commento ad oggi non è stato ancora rimosso dal suo autore. Sul punto – ha proseguito l’avvocato Carattoni – non si può invocare né il diritto di informazione né diritto di critica. Questi parametri sono stati tutti violati, il commento non era critico, ma il suo contenuto aveva esclusivamente la volontà di offendere”. E l’avvocato riporta quello che scrisse Ciavatta: “Stefano Spadoni, sai cosa penso? Penso che sei un uomo di m…”. “Non è possibile invocare alcun diritto di informazione – ha aggiunto – Le esimenti non possono trovare ragione di esistere in questo procedimento”.

Poi citando una pronuncia del professor Gualtieri, l’avvocato Carattoni ha rimarcato che Ciavatta “ha ucciso il vivere civile, infiammando il dibattito non solo con questo commento, ma anche con altri post”. Quindi ha chiesto il risarcimento del danno da liquidare in sede civile chiedendo tuttavia al giudice di fissare una provvisionale di 2500 euro, oltre alle spese di costituzione di parte civile.

La parte civile Rosa E’ stata quindi la volta dell’avvocato di Andrea Rosa, Gloria Giardi. Il legale ha evidenziato i capi di imputazione rimasti in piedi dopo che il nuovo Amministratore delegato di Cassa, Ginfranco Antonio Vento, nominato dalla attuale maggioranza e in quota Rete, ha ritirato nella prima udienza la denuncia per diffamazione, facendo decadere così l prime tre contestazioni, dopo che anche l’ex presidente di Carisp Fabio Zanotti ha manifestato di non essere interessato a portare avanti la propria azione in giudizio a livello personale. “Seppure i due imputati non possano essere puniti per diffamazione o minaccia, è innegabile tuttavia che questi comportamenti siano stati commessi, ancorché non punibili. E nonostante siano stati condonati, vanno tenuti presenti perché hanno generato quella cornice di intimidazione nella quale si sono svolti i fatti”, ha detto l’avvocato Gloria Giardi.

“I fatti dei primi tre capi di imputazione riguardano diffamazioni, minacce e ingiurie che tuttavia non sono punibili. Bene ha fatto Rosa a ricordare che era stato additato come criminale nella serata pubblica dalla Tonnini. Nasce da lì il clima di intimidazione. Le offese contro Andrea Rosa sono ancora in bella mostra sul web e sono lì a propalare affermazioni false e dannose verso Rosa. Dopo tre anni sono ancora lì”. Poi ha ricostruito i fatti dalla “sfuriata” di Pedini Amati in Consiglio, fino alla decisione di Ciavatta e Santi di andare in Cassa di Risparmio “con l’intento di fare rinunciare Rosa alla tutela legale accordata del Cda di Carisp”. Alla fine così sono andate le cose. “A confermarlo è proprio un comunicato di Rete che suggella un quadro probatorio già stringente. Questo comunicato – dice l’avvocato Giardi – conferma e dimostra gli elementi fondamentali del reato”. Quindi l’avvocato mette in evidenza che “Rosa è persona ovunque apprezzata per la sua compostezza e onestà. Ed ha risposto con compostezza anche all’azione dei due. Ciavatta ha precedenti penali, mentre Rosa non è stato mai sfiorato da azioni giudiziarie di nessun tipo. Le reazioni di Rosa sono coerenti e lineari e la sua totale e piena attendibilità è fuori discussione”.

Nella sostanza, l’azione di Ciavatta e Santi era mirata, per l’avvocato di parte civile, ad uno scopo preciso: “Rosa non ha diritto di tutelarsi contro chi lo ha definito criminale, deve subire il linciaggio e abbassare la testa. L’azione anche solo annunciata verso la Tonnini, è un delitto di lesa maestà che non si deve perdonare. Quindi bisogna intimidire Rosa sperando che desista dall’intento. E allora Santi batte i pugni sul tavolo e Ciavatta accusa Rosa di voler spendere soldi pubblici per denunciare la Tonnini”. L’avvocato ripercorre la serie di offese note all’indirizzo dei membri del Cda di Cassa.

“Il mio assistito – aggiunge – ha rinunciato forzatamente per sol- levare Cassa dagli attacchi che ne infangavano la reputazione e perché lo lasciassero in pace nella speranza che finisse il linciaggio infinito di cui è stato oggetto. E’ innegabile che fu creato un clima di intimidazione e violenza che ha costretto Rosa e il Cda a rinunciare alla tutela richiesta e concessa. Violenza e minaccia furono usate per quello scopo ampiamente raggiunto”. L’avvocato ha poi citato alcuni post che erano seguiti all’azione di Ciavatta e Santi che, assieme a Pedini Amati, venivano indicati come “uomini veri” e dicevano che seppure legittimamente Rosa avesse chiesto la tutela legale, “se non l’ha usata forse la violenza serve a qualcosa”. Post che per l’avvocato descrivono “le condotte di Ciavatta e Santi allo stesso modo con cui il nostro codice descrive la violenza privata”. Richiamato poi il famigerato post che inneggiava all’uso del manganello e le ripetute occasioni in cui Ciavatta ha usato l’offesa “uomo di m…”

L’avvocato ha quindi bollato come “stupefacenti” alcune testimonianze che hanno cercato di mettere in discussione i verbali del Cda. “Certe testimonianze nelle quali non ci si ricorda perché i due si erano recati in Cassa, vogliono solo giustificare l’imbarazzo di Vento, oggi Amministratore delegato di Carisp che, come primo atto dopo la nomina decide per Cassa, e quindi per tutti noi, di rinunciare a chiedere dei potenziali danni agli imputati. Vento è molto vicino agli imputati, ha rapporti specifici con il consigliere Ciavatta e anche con Santi. Vento è indicato da Rete, dalla maggioranza e in particolare da questi suoi amici, per il ruolo di Amministratore delegato. Poi c’è Marcello Forcellini, e qui naturalmente ci ha dovuto dire che lavora tutti i giorni gomito a gomito con il Segretario Ciavatta, perché ha un ruolo importante come Direttore amministrativo dell’Iss… e oggi non ricorda cose determinanti, mentre ci dà conto di aspetti folcloristici che hanno suscitato l’ilarità in quest’aula. Poi c’è Filippo Francini, anche lui è distratto nella sua testimonianza, e oggi è a capo del Dipartimento della Segreteria guidata da Federico Pedini Amati. L’ex direttore Dario Mancini, che oggi non ricorda, fu rimosso successivamente dal Cda cui apparteneva Rosa. Per questi motivi credo che l’attendibilità di questi testimoni distratti e smemorati sia gravemente compromessa”.

Quindi l’avvocato Giardi ha richiamato i precedenti di Ciavatta. “In diverse altre occasioni ha scatenato la sua indole aggressiva e spiccata attitudine ad aggressività e violenza. Figurano una condanna per rissa e una indagine per lesioni personali. Sui giornali leggiamo episodi di violenza verbale, tenuti nelle istituzioni, in Commissione sanità, e nel giugno 2019 il consigliere Fiorini fu aggredito verbalmente, circostanza che ne provocò le dimissioni”. Anche l’istigazione a delinquere per l’avvocato Giardi trova conferma nei post pubblicati su facebook. “Pensavo si scusasse per il post del manganello – ha detto l’avvocato rivolgendosi a Ciavatta – invece la presa in giro della figura retorica è stata peggio di quello che lei scrisse quella volta”.

Il legale ha chiesto quindi la condanna e il risarcimento del danno, chiedendo una provvisionale per la violenza privata e l’istigazione a delinquere di 25mila euro complessivamente.

La procura fiscale Il Procuratore del Fisco, Roberto Cesarini, è partito da una premessa. “Qui non c’è Segretario di Stato e non c’è membro del Consiglio, qui ci sono imputati parti civile, il Procuratore del fisco, il giudice e gli avvocati e parliamo di comportamenti che, in base alla legge, integrano o meno delle fattispecie di reato. Questo dobbiamo valutare”.

Alla premessa ha fatto seguito l’analisi dei primi tre capi di imputazione che integravano la diffamazione, le offese e le minacce. “Sono frasi significative, e il merito dei primi tre capi di imputazione è chiaro. C’è stata remissione di querela e di questo non si può che prendere atto. Remissione da cui consegue l’estinzione dei reati, ma i fatti lì contenuti sono evidenti e potevano avere una conseguenza diversa. Però dobbiamo applicare la legge che prevede l’estinzione dei reati”. Ha detto il Pf, che ha di fatto attestando come sia stato determinate l’atto del nuovo Amministratore delegato di Carisp che ha ritirato la querela e così il ritiro di costituzione di parte civile da parte dell’ex presidente di Carisp Zanotti, che ha comunicato di non avere interesse a portare avanti la denuncia sul piano personale. “Questo ci porta a dover valutare le previsioni degli altri due reati rimasti – ha detto il Pf – Per quanto riguarda dunque gli altri due capi di imputazione, violenza privata e istigazione a delinquere, non ritiene la Procura fiscale che emerga la prova della coartazione della volontà di Rosa, per quello che è stato fatto e scritto. Non fu una decisione costretta”. Di qui la richiesta di assoluzione perché il fatto non sussiste. Quanto all’istigazione a delinquere, il Pf non ha riscontrato in quello che ha definito “uno scambio di considerazioni”, con “esagerazioni che lasciano il tempo che trovano”, gli estremi di un comportamento idoneo “all’istigazione a commettere reati. Non c’era intenzione che altri compissero atti di reato, compiendo gesti di impulso”. Anche per questo capo, quindi, la richiesta di assoluzione.

Diversa la posizione sull’ingiuria di Ciavatta ai danni di Stefano Spadoni. “Qui parliamo di pura e semplice offesa, ed è tale quella che è contenuta nel riconosciuto post su Facebook dove si fa riferimento, come lo si era fatto con Zanotti, a frasi del tipo ‘sei un uomo di m…, anzi uomo non sei’. E’ con tutta evidenza un’offesa. Che ci si trovasse in un momento concitato di quel periodo, non ha giustificazione nell’uso dell’ingiuria. La portata di epiteti idonei ad offendere, risulta intrinseca”, ha detto il Pf. Di qui la richiesta di condanna per Ciavatta ad una multa a giorni 30 pari ad euro 900, più le spese di giustizia. Le difese di Santi e Ciavatta “Analizzando i fatti di quel 30 maggio 2018 – ha esordito l’avvocato Gian Luca Micheloni – e richiamando quanto sostenuto dai testimoni, emerge che non c’è stata alcuna irruzione. Ciavatta e Santi hanno suonato il campanello, c’è stato inizialmente un confronto aspro poi finito in modo cordiale; per quanto possibile cordiale. Non furono perpetrate né violenze, né minacce nei confronti di nessuno”, ha detto l’avvocato Micheloni. “Vento non rimase nel colloquio a quattro perché amico di Ciavatta, ma perché glielo chiese Rosa”, ha aggiunto. “C’è l’insussistenza della condotta materiale del reato contestato – ha detto l’avvocato – Non viene detto niente con riferimento a Rosa nel verbale del Cda. Perciò questa difesa chiede l’assoluzione per non aver commesso il fatto”, ha concluso l’avvocato Micheloni.

Ha fatto seguito l’arringa dell’avvocato Maria Luisa Berti che, richiamando l’estinzione dei tre primi capi di imputazione per la remissione di querela, sulla violenza privata ha rimarcato le conclusioni del collega e della Procura fiscale ed ha aggiunto: “Non c’è stato alcun atto finalizzato a minare la capacità di autodeterminazione del signor Rosa nell’arrivare alla scelta autonoma di rinunciare alla tutela legale”. Poi sulla istigazione a delinquere, ha richiamato il clima di quel periodo in ambito sociale e politico. “Clima contraddistinto da una grandissima conflittualità. Il partito Rete aveva ruolo di opposizione. Ricordo le denunce sporte nei confronti del consigliere Tonnini, non solo da parte di Rosa, ma anche la persecuzione subita da Tonnini come consigliere della Repubblica per avere espresso considerazioni in aula parlamentare”. Poi ha contestato all’inquirente di avere estrapolato solo alcuni elementi da una più ampia conversazione fatta di tanti post. “E’ stata imbastita una causa ingiustificata. Mancano gli elementi dell’istigazione a delinquere, manca volontà soggettiva di voler fare commettere dei reati per turbare l’ordine pubblico. Non è pertinente il fatto di collegare le lettere anonime alla vicenda. Questo procedimento è nato più per rivalse politiche che per esigenze di vera giustizia”, ha sostenuto l’avvocato Maria Luisa Berti chiedendo, anche per questo capo di imputazione, l’assoluzione piena perché i fatti non sussistono. Ha poi addirittura chiesto che venisse condannata la parte civile al pagamento degli onorari e delle spese processuali.

Ha concluso le arringhe dei difensori l’avvocato Tania Ercolani che si è focalizzata sulla difesa di Roberto Ciavatta per la denuncia di Stefano Spadoni. “Occorre partire dal contesto storico in cui ci troviamo, un periodo nel quale c’è stata una vera e propria persecuzione giudiziaria nei confronti degli esponenti del partito Rete. Se non capiamo il contesto storico, non capiamo queste affermazioni e il valore che gli va dato”.

L’avvocato Ercolani ha sostenuto che l’inquirente ha spacchettato il post e il dibattito che si era creato. “Possiamo parlare di insulti reciproci che si annullano fra di loro. Inoltre a livello dello scontro politico si abbassa la soglia di offensività. Ritengo – ha detto l’avvocato Ercolani – ci sia stata una evidente provocazione nei riguardi di Ciavatta. Deve essere quindi considerata l’esimente trattandosi di un unico contesto di azione, circostanza che fa decadere la punibilità. Per questo chiedo assoluzione piena di Roberto Ciavatta, perché il fatto non sussiste ed opera l’esimente”.

La sentenza Attorno alle 14 il giudice Roberto Battaglino ha pronunciato la sentenza. Per il caso del cosiddetto “blitz” in Carisp, Ciavatta e Santi hanno visto il non doversi procedere per estinzione del reato in funzione della remissione di querela per le contestazioni di diffamazione, diffamazione tramite le comunicazioni sociali e minaccia di cui ai primi tre capi di imputazione. Assolti perché il fatto non sussiste, per la violenza privata e per l’istigazione a delinquere. Roberto Ciavatta è stato invece condannato per le ingiurie nei confronti di Stefano Spadoni alla multa a giorni 30, pari a 500 euro, al risarcimento del danno da liquidare in sede civile a favore di Spadoni. Il giudice ha fissato intanto una provvisionale di 2000 euro. Lo ha inoltre condannato a pagare le spese processuali e di costituzione di parte civile.

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