Quando Tito Masi si avventura nella spiegazione dei motivi che hanno ritardato la nomina del Presidente di Banca Centrale sfodera, ad essere generosi, un mix di xenofilia e di demagogia tanto ardito quanto emblematico della coerenza sua e di Alleanza Popolare. Il leader (in scadenza?) di quel Movimento interpreta e indica come una colpa la richiesta dei Democratici di Centro di privilegiare, per la guida di Banca Centrale, un cittadino della Repubblica. Una colpa, se tale è, che ci assumiamo volentieri perché siamo tuttora convinti che un incarico di quella natura e di quella rilevanza andrebbe ricoperto da un sammarinese e non da un estemporaneo “podestà” forense, che, in quanto tale, è normalmente estraneo e inesperto della nostra realtà. Sta di fatto che le ipotesi circolate all’interno della maggioranza riguardavano tre professionisti (?), guarda caso tutti rigorosamente italiani, uno dei quali avrebbe dovuto quindi insediarsi al vertice di un’istituzione che già si avvale di una Direzione, di un Coordinamento della vigilanza e di funzionari responsabili di settore in gran parte italiani e in molti casi provenienti da Banca d’Italia. I Democratici di Centro hanno, dal canto loro, fatto rilevare che la nomina di un Presidente italiano non avrebbe contribuito a migliorare i rapporti con l’autorità di settore di riferimento, non sarebbe stata in grado di sostenere il comparto finanziario in questa delicata fase congiunturale e avrebbe rappresentato un ulteriore segnale di subordinazione e di fragilità di un Paese che, da troppo tempo e in ambiti vitali, sembra incapace di contare sulle proprie forze. Le quali invece ci sono e non sono da meno di altre! Va anche aggiunto che Masi – volontariamente? – trascura di dire che due dei tre candidati proposti avrebbero presentato oggettive incompatibilità, derivanti da rapporti indiretti con alcuni soggetti vigilati, di importanza prioritaria nel panorama finanziario del nostro Paese; che uno dei prescelti era un rispettabile ultrasettantenne; che un altro ancora è stato Sindaco di un Comune italiano. Per cui, con buona pace di Masi, oggi come allora, non ci pare questo il modo per dare risposte adeguate ad affrontare e risolvere la crisi di credibilità del nostro sistema bancario e finanziario, il quale ha invece necessità di una classe politica seria, che metta al centro l’interesse del Paese ed esalti le capacità dei sammarinesi, a cominciare dalle principali istituzioni finanziarie, la cui guida va affidata a concittadini possibilmente refrattari agli umori e alla mobilità, ancorché legittima, degli uomini politici e ai comportamenti ballerini che Ap in particolare ha tenuto e sta tenendo sulle vicende bancarie finanziarie di questi ultimi mesi. Senza dimenticare che, se il Masi-pensiero fosse stato o diventasse la regola, egli stesso troverebbe difficoltà ad esibire nel suo personale curriculum l’incarico di ex Presidente del principale istituto di credito sammarinese, la cui mancata conferma produsse, all’inizio degli anni ’90, reazioni un tantino scomposte e qualche sconvolgimento – oggi inopinatamente, se non miracolosamente superato – nel percorso politico di un Tito Masi troppo spesso collerico e imprudente.
25.08.08
Democratici di Centro