Abbiamo più paura delle medicine che delle malattie!

Abbiamo più paura delle medicine che delle malattie!

Abbiamo più paura delle medicine che delle malattie!

Capita a volte di imbattersi in affermazioni e riflessioni che spalancano il pensiero e fanno leggere, per la situazione nella quale ci si trova, delle prospettive illuminanti. È accaduto leggendo questo breve testo di S. Kierkegaard, dal suo Diario: “Succede col cristianesimo o col divenire cristiani, come di una cura radicale, che si cerca di rimandare quanto più si può”.

Questo non vale solo per la nostra mentalità contemporanea, così segnata dall’urgenza di trovare soluzioni ai gravi problemi che la attanagliano, ma insieme così distante dal riprendere in seria considerazione le proprie origini (basti pensare al rifiuto di riconoscere il cristianesimo come parte essenziale delle proprie radici), ma vale soprattutto per la nostra Repubblica che ha nel suo Dna storico un santo come fondatore. Quante volte abbiamo sentito il richiamo alla Europa come ad un faro di modernità, contro l’oscurità “medievale” delle nostre tradizioni!

Quello che mi pare indiscutibile è che i principi che la nostra storia e tradizione ci hanno tramandato non sono effimeri, sorpassati e inadeguati a rendere migliore la convivenza sociale e umana contemporanea, ma possono ridare nuova linfa a tutti gli aspetti della vita. Il valore della persona, dal primo istante del concepimento al termine naturale, con le conseguenze nel sostegno alla sofferenza, il bene della famiglia come “seminarium civitatis”, il lavoro come bene per la persona, evitando ogni forma di sfruttamento e strumentalizzazione, l’educazione come possibilità di autorealizzazione e la libertà come valore ultimo per definire la vita in particolare dei giovani… ma non si finirebbe di ricordare quanto la tradizione cristiana che ci caratterizza sia capace di impostare una vita personale e sociale che salvaguardi tutte le dimensioni che la rendono degna di essere vissuta.

Anche Collodi ci ha ricordato che abbiamo più paura delle medicine che della malattia, o, se vogliamo dirlo in altri termini, ci è più facile lamentarci che cambiare.

Ritengo giusto ritornare a scoprire la bellezza e la convenienza umana del cristianesimo, anche se questo può portare a rivedere alcuni giudizi che ci hanno accompagnato e caratterizzato, e così facendo nostro il suggerimento di Papa Benedetto: “Nei nostri tempi si è verificato un fenomeno particolarmente pericoloso per la fede: c’è infatti una forma di ateismo che definiamo, appunto, ‘pratico’, nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili. Spesso, allora, si crede in Dio in modo superficiale, e si vive ‘come se Dio non esistesse’ (etsi Deus non daretur). Alla fine, però, questo modo di vivere risulta ancora più distruttivo, perché porta all’indifferenza verso la fede e verso la questione di Dio. In realtà, l’uomo, separato da Dio, è ridotto a una sola dimensione, quella orizzontale, e proprio questo riduzionismo è una delle cause fondamentali dei totalitarismi che hanno avuto conseguenze tragiche nel secolo scorso, come pure della crisi di valori che vediamo nella realtà attuale. Oscurando il riferimento a Dio, si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo e ad una concezione ambigua della libertà, che invece di essere liberante finisce per legare l’uomo a degli idoli…” e ancora ritroviamo la pertinenza del suo pensiero: “Dovremmo … capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita ‘veluti si Deus daretur’, come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno”.

Ci appresteremmo così a vedere rifiorire la nostra vita comune, in questo tempo in cui anche per la cattiveria dell’uomo assistiamo a minacce per la stessa sopravvivenza che neppure le pestilenze del Medioevo ci hanno consegnato.

 

Don Gabriele Mangiarotti

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