Aborto a San Marino, su “Internazionale” le testimonianze delle sammarinesi

Aborto a San Marino, su “Internazionale” le testimonianze delle sammarinesi

Claudia Torrisi, giornalista di “Internazionale”, ha raccolto alcune testimonianze di coloro che stanno lottando nella Repubblica di San Marino a favore della legalizzazione dell’aborto.

Nel febbraio 2021 l’Unione donne sammarinesi ha proposto il referendum, dichiarato poi ammissibile un mese dopo dal Collegio Garante, per rendere legale l’aborto sul Titano.

Le firme a supporto del quesito referendario, 3.028 in totale, sono state raccolte nei mesi successivi dall’Uds e consegnate il 31 maggio scorso alla Reggenza nonché validate dal Collegio Garante l’11 giugno 2021.

“Sono 3.028, molte di più di quelle che ci servivano. Siamo fiduciose”, spiega Elena D’Amelio Mueller del comitato esecutivo dell’Unione donne sammarinesi, alla giornalista di “Internazionale”, Claudia Torrisi.

“Il prezzo da pagare è piuttosto alto – spiega la dottoressa Francesca Nicolini, responsabile del Centro salute di Serravalle -. Per una sammarinese abortire in una struttura sanitaria italiana può costare circa 2mila euro. Ma soprattutto diventa tutto molto complicato”.

Secondo la Nicolini, uno dei motivi per cui finora la cosa è stata trascurata è che “a San Marino c’è sempre stato un certo benessere economico” che ha permesso di affrontare le spese per chi non è a carico del sistema sanitario italiano. “Ora però il problema diventa serio perché non è vero che tutti possono permettersi certe cifre. Questo incentiva gli aborti clandestini, sempre oltreconfine, in strutture in cui magari ti fanno pagare meno”.

Avevo 31 anni, rimasi incinta ed ero felice. Ma mi fecero l’amniocentesi e scoprirono che il bambino aveva la sindrome di Down e forse altre complicazioni. Fu durissima. La dottoressa mi aiutò, mi spiegò che a San Marino l’aborto è illegale e mi consigliò dove andare, ovviamente oltreconfine. Dovetti pagare tutto, anche la visita necessaria dallo psicologo – racconta Martina (nome di fantasia) -. Le spese non furono eccessive. Però sapevo che nel mio Paese la mia scelta era considerata un reato e che quindi non ne potevo parlare con nessuno. Sono passati diversi anni, ora almeno riesco a raccontarlo, ma trovo gravissimo che ancora oggi non ci siano possibilità per chi si dovesse trovare nella mia condizione di allora”.

Valentina, che preferisce non rivelare il suo cognome, ha 35 anni e una bambina piccola, nata dopo una gravidanza durante la quale non ha potuto effettuare esami e diagnosi prenatale per ragioni mediche. Ha firmato con convinzione per il referendum proprio pensando alla sua esperienza recente. “Non ho mai saputo se la mia bambina stesse bene, ho cercato di non pensarci, anche quando c’è stato un rischio per la mia salute. Quando poi è nata ho riflettuto tantissimo: ero stata fortunata, ma se non fosse andata così?”, dice. “Avrei dovuto fare delle scelte sapendo che lo Stato dove vivo mi avrebbe guardata come una criminale. Lo trovo assurdo e colpevolizzante. Oltre che ipocrita: per assecondare chi vuole che San Marino rimanga il baluardo di una cristianità arcaica, si sposta il problema a Rimini”.

Secondo la dottoressa Nicolini, le donne più giovani sanno perfettamente come comportarsi: “Vanno nei consultori italiani, come se fosse normale non poterlo fare nel proprio Paese. Qualche mese fa ho telefonato a una ragazza per comunicarle l’esito positivo del suo tampone per il Covid-19. Mi ha detto candidamente che era un problema perché l’indomani sarebbe dovuta andare ad abortire in Italia”. Il fatto che negli anni i governi sammarinesi abbiano chiuso gli occhi di fronte al problema comporta però una situazione “non sostenibile da un punto di vista di salute pubblica”, afferma la Nicolini. “Non sappiamo niente: non abbiamo dati su quante persone abortiscono, sul perché lo fanno o sul perché sono rimaste incinte, se c’è una percentuale di malformazioni. E dunque non si possono programmare politiche. Ci sono solo statistiche sugli aborti spontanei, il resto del problema non esiste. Siccome nessuno ne parla, allora nessuno abortisce a San Marino”.

Vanessa Muratori, ex consigliere di Sinistra unita, afferma: “Ci sono rimasta male perché c’è stata molta timidezza da parte sia della sinistra sammarinese sia del sindacato. Mi sono chiesta spesso come mai, e credo che oltre alla mentalità chiusa di un piccolo Stato e all’influenza forte della Chiesa, ci sia anche un po’ di diffidenza verso la capacità di scelta delle donne”.

Nonostante la vicinanza con l’Italia, “e nonostante certe battaglie in comune sui diritti, compresi quelli femminili, San Marino è rimasta molto indietro su tanti fronti”, spiega Maria Lea Pedini, che nel 1981 fu la prima donna a essere nominata Capitano Reggente e tre anni prima la terza donna eletta nel Consiglio Grande e Generale. Solo nel 1973 era stata emanata una legge che permetteva alle donne “di assumere cariche, impieghi e funzioni pubbliche”.

“Quando abbiamo provato a sollecitare il governo: ci è stato detto che la Commissione attendeva un parere del Comitato bioetico, che però non è un adempimento previsto per legge”, spiega Rosa Zafferani, un passato da politica nell’area più riformista della Democrazia cristiana di San Marino e oggi attivamente impegnata nella raccolta delle firme per il referendum. “A quel punto abbiamo capito chiaramente che era una scusa e abbiamo deciso di muoverci per sbloccare la situazione”.

Secondo la Muratori, quello sull’aborto è un discorso che ciclicamente viene a galla. “Ma non siamo mai riuscite ad avere spazio o a uscire da un dibattito dai toni apocalittici”, spiega.

Rosa Zafferani ritiene che le forze di maggioranza potrebbero essersi “agitate nel vedere così tante persone sottoscrivere il quesito referendario. Tra loro non ci sono solo quelle notoriamente di sinistra o aperte nei confronti dei diritti civili, ma anche molti elettori democristiani”.

A San Marino “c’è una rappresentanza politica che non rispecchia la società civile, mentre elementi legati all’integralismo cattolico sono sovrarappresentati dai mezzi di informazione”, afferma la Muratori. “Un sacerdote ci ha paragonate ai nazisti della Seconda Guerra Mondiale. Ma molte persone la pensano diversamente, specialmente tra i più giovani”.

La speranza delle promotrici del referendum è che queste persone poi vadano a votare. “Sentiamo che la maggior parte della cittadinanza è con noi. Sono venute persone di ogni età a firmare”, dice D’Amelio Mueller dell’Uds. “Sono state le più giovani e i più giovani a trainare la raccolta. È come se dessero per scontato che le donne devono potersi autodeterminare: quasi non riuscivano a credere che l’aborto fosse ancora illegale a San Marino e per questo hanno firmato in massa”.

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