Anis sui crediti ‘inesigibili’

Anis sui crediti ‘inesigibili’

Fixing: In Italia il dramma dei pagamenti pubblici, sul Titano le parti sono invertite /
I crediti inesigibili:
recuperare il possibile
/
Quanto denaro potrà davvero rientrare? E la politica dov’è stata finora?

 Così va il mondo. Mentre in
Italia il dramma che tiene
banco in queste settimane riguarda
i crediti che le imprese
private vantano dallo Stato e
che non riescono a recuperare,
a San Marino la polemica
va in una direzione diametralmente
opposta. Il problema
è quello dei crediti “inesigibili”
vantati dallo Stato nei
confronti delle aziende.
Aziende che sono sparite in
maniera più o meno rocambolesca
in questi anni di crisi,
lasciandosi dietro (oltre ad un
numero di disoccupati sempre
crescente) anche tutta una
serie di debiti con la pubblica
amministrazione, soprattutto
Monofase non versata.
Il problema è emerso quando
gli inviati del Fondo Monetario
Internazionale hanno fatto
sapere al Governo del Titano
che un Bilancio dello Stato
scritto in quella maniera, con
la riga dei residui di bilancio
gravata da crediti pregressi
addirittura di anni prima, trascinati
di esercizio in esercizio,
non poteva essere accettato.
Ci sono regole chiare da rispettare
se ci si vuole adeguare
alle prassi internazionali, e
questa è una di quelle su cui
non si può transigere.
La richiesta – sacrosanta – del
FMI ha ricevuto pronta risposta
positiva dall’esecutivo. E
fin qui stiamo raccontando la
notizia di un paio di mesi fa,
per offrire un quadro ampio e
corretto della questione. Ma a
quel punto apriti cielo: si è
scoperto infatti che questi
“crediti inesigibili” ammontano
infatti a 156 milioni di
euro, banconota più banconota
meno, che lo Stato conta seriamente
di non recuperare
mai più.
A questo punto è – più o meno
giustamente, per non prendere
posizione diciamo naturalmente
– scoppiata la polemica.
Dal piano meramente contabile
siamo scesi, o saliti, in
quello politico.
Il Governo vuole chiudere un
occhio – su una cifra così consistente
– chissà per quale motivo,
affermano i detrattori,
aggiungendo una buona dose
di veleno e lasciando intendere
che si tratterebbe del solito
regalo ai soliti amici. Begli
amici, poi, verrebbe da dire,
amici che sono scappati nel
momento del bisogno lasciando
solo macerie alle proprie
spalle.
Il tutto mentre sta nascendo la
patrimoniale, e mentre è
giunto il momento di altre
scadenze da pagare tra cui la
minimum tax che tanti imprenditori
fanno davvero fatica
a mandare giù.
La posizione di un po’ tutte le
parti sociali è univoca, sia pure
con qualche sfumatura: lo
Stato deve fare di tutto per riuscire
a rientrare in possesso
di quel denaro che oggi come
oggi farebbe assolutamente
la differenza. Denaro pubblico,
di tutti, a cui è stato lasciato
prendere il volo senza far
nulla per trattenerlo.
È proprio questo il nocciolo
della questione. La tradizione
popolare a questo punto ci
mette di fronte all’immagine
di una stalla aperta, con i buoi
che se ne sono scappati tutti
quanti a zampe levate nei prati.
A cosa serve chiudere la
porta adesso? Non vi bastano
le banali allegorie e ne volete
un’altra? Sempre a tema “bovino”
la recuperiamo dal testo
biblico, ed è quella che ci
parla dei (bei vecchi) tempi
delle vacche grasse. Quando i
soldi entravano senza far fatica
nei forzieri pubblici sammarinesi
e non ci si doveva
preoccupare di mettere a
punto un sistema che garantisse
la sicurezza del pagamento
della monofase da parte
delle aziende, o di qualsiasi
altra entrata. Tutto era certo,
facile, scontato.
Peccato che oggi non sia più
così. Peccato che di ogni centesimo
ci sia un disperato bisogno
per far quadrare i conti.
Così oggi diciamo che non ci
si deve interrogare se sia il caso
di fare tutto il possibile per
recuperare quei supposti
“crediti inesigibili”. Non ci si
deve interrogare, semplicemente,
perché tutto quello
che si può fare deve essere fatto.
Però nello stesso tempo non
possiamo fare a meno di temere
di essere di fronte al più
classico dei bicchieri di latte
versati sul pavimento. Di temere
che quei milioni di euro
non li rivedremo mai più.
Il grosso dell’ammontare infatti
riguarda imprese che
hanno cessato la propria attività,
imprenditori che hanno
preso il volo e che non metteranno
verosimilmente più
piede a San Marino.
Assodato che va fatto tutto il
possibile per salvare il salvabile,
a questo punto ci si deve
chiedere che cosa non ha funzionato,
cosa non sta funzionando,
perché lo Stato che avanza
crediti nei confronti dei privati
non riesce proprio a rientrare.
Non sono sufficientemente
efficaci i controlli, va
posto uno sbarramento di fidejussioni
o garanzie all’apertura
delle imprese, va mantenuto
un monitoraggio attento
e capillare sul sistema economico
in modo da poter affrontare
le singole emergenze
man mano che incominciano
ad insorgere?
Tutto questo per il futuro, per
evitare che il problema si riproponga.
Ma accanto a questo
ci si deve chiedere se c’è
qualche elemento della macchina
pubblica che ha sbagliato,
che ha una qualche responsabilità
in tutto questo. E
allora sarebbe il caso di intervenire.
Ma il discorso vale anche
per la classe politica, tutta.
Non ci si può svegliare un
giorno e rendersi conto che
dal salvadanaio mancano 156
milioni di euro. Se c’è per caso
qualche responsabilità diretta,
non si può non dire che tutto
il sistema non ha funzionato
nel controllo.
Tracciare una riga e fare finta
che niente di grave sia successo,
ecco, questa è l’unica opzione
che San Marino non
può proprio prendere in considerazione.
Resta poi la questione da cui
eravamo partiti. Quei crediti
più o meno inesigibili, tra i
numeri del Bilancio pubblico
di San Marino, non ci possono
più stare. Inquinano i dati,
rendono il Bilancio meno leggibile
(e quindi meno attraente
per i potenziali investitori).
Semplicemente, sotto il profilo
meramente contabile, vanno
cancellati.
Tutto il resto ce lo siamo detto
finora.

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