Antonio Fabbri – L’informazione di San Marino: Nei processi per riciclaggio emerge l’imbarazzante ruolo avuto dalle banche

Antonio Fabbri – L’informazione di San Marino: Nei processi per riciclaggio emerge l’imbarazzante ruolo avuto dalle banche

 L’informazione di San Marino

Oggi nuove norme hanno
adeguato il sistema agli standard, ma l’attualità della cronaca giudiziaria fa
emergere una prassi che non lascia indifferenti

Nei processi
per riciclaggio emerge l’imbarazzante ruolo avuto dalle banche

Antonio Fabbri

C’è un dato che sta emergendo con ricorrente imbarazzo nei processi che
si stanno svolgendo in questo periodo per riciclaggio, ed è il ruolo che hanno
avuto le banche sammarinesi nel contribuire ad una finanza opaca e a un sistema
capace di nascondere i denari di dubbia provenienza. Sistema che oggi pare
superato con l’adeguamento agli standard che hanno consentito anche il recente
ingresso nella white list fiscale Italiana.

Non c’è praticamente processo, per riciclaggio o per reati legati ad
attività bancaria, nel quale, quando viene sentito un rappresentate degli
istituti di credito, non emerga la superficialità con la quale venivano
incamerati denari contanti di sospetta provenienza, non foss’altro per le
modalità con cui i soldi venivano portati alla cassa: in borsoni, in contanti di
pezzatura dai 100 euro in su e per importi complessivi quasi mai inferiori ai
50mila euro.

Al centro, dunque, non ci sono gli specifici casi e gli specifici
imputati per riciclaggio, ma le modalità con cui le banche operavano e, si
spera, oggi non operano più.

Ma già all’epoca,
come minimo, il modus operandi
degli istituti di credito
violava il principio di necessaria
prudenza che i bancari
erano già tenuti ad osservare,
assieme alle normative in tema
di riciclaggio che, nonostante
si vogliano fare passare come
estremamente recenti, fin dal
1998 hanno iniziato a diventare
esplicite. Esplicite, ma non
rispettate senza che, da parte
di chi ancora oggi si trova ai
vertici di banche e soggetti
finanziari, sia mai stato fatto
un esame di coscienza.
Il caso Staiano
Nella vicenda di Daniela Staiano,
la moglie di Damaso Grassi,
ritenuto narcotrafficante
internazionale, è stato descritto
in maniera tanto chiara quanto
imbarazzante il modo in cui la donna faceva le sue operazioni
in banca a San Marino, nella
filiale di Dogana della Cassa
di Risparmio. Oltre a un conto
corrente e due libretti al portatore,
aveva anche in uso delle
casette di sicurezza.
Ogni volta che saliva sul Titano,
scendeva nel caveau dove
si trovavano le cassette. Poi
tornava al piano superiore dove
si trovavano le casse e versava
contanti. Ora 50, ora 100, ora
200mila euro a botta in pezzatura
da cinquanta e cento euro.
La donna era accompagnata
sempre dal marito. Qualche
volta dalle figlie. “Arrivava
sempre con delle grosse borse
voluminose”, ha dichiarato il
responsabile dei cassieri. Un
“pellegrinaggio” continuato
anche nel 2009 dopo l’arresto
dei vertici Carisp che aveva
creato scalpore mediatico e
anche nel 2010, quando lo
scudo fiscale vedeva migrazione
di capitali in uscita. “Periodi
in cui i soldi uscivano più
che entrare”, ha constatato il
giudice Gilberto Felici, che poi
ha chiesto: “Non le è sembrato
anomalo che Staiano portasse
ancora liquidità?” Questa era
la prassi. Normalità, è stata
la risposta. Come “normale”
pare fosse non segnalare, anche
dopo l’entrata in vigore della attuale legge antiriciclaggio.
Il caso Balsamo
Anomalie anche nel caso delle
sorelle Balsamo, Valentina e
Chiara, il cui padre ha precedenti
per colossali furti di
metalli e fortune che, secondo
le accuse, sono state accumulate
grazie alla ricettazione
di questi materiali. Pure qui
ci sono cassette di sicurezza
e conti correnti con familiari
titolari del rapporto interposti
al reale beneficiario.
Le motivazioni con le quali
spesso viene giustificato il
deposito di contante, sono le
operazioni immobiliari oltre
confine. Il problema è che,
senza approfondire, la banca
che accettava il versamento milionario
di contante, si accontentava
della provenienza da
operazione immobiliare, senza
verificare se l’immobile potesse
essere stato acquistato con
denaro sporco. Tanto più che
la accettazione del contante,
anche dopo il 2008, avveniva
con una naturalezza disarmante.
Così hanno lasciato allibiti,
nell’ambito del processo Balsamo,
le dichiarazione di Paolo
Droghini, interrogato in aula
come teste e all’epoca funzionario
della Bcs dove sono stati
movimentati i soldi di Balsamo.
“Nel 99% dei casi il versamento
Italia-San Marino si faceva
in contanti, altrimenti si doveva
dichiarare, essendo tracciabile,
tramite modello Rw. Si voleva
mettere al sicuro il patrimonio
per i figli. Si verificava così che
imprenditori italiani trasferissero
capitali, intestando a moglie
e figlie, per evitare la dichiarazione
dei redditi e l’aggressione
del proprio patrimonio”. Come
dire che, nel migliore dei casi,
le banche sammarinesi si rendevano
complici dell’evasione
fiscale italiana. Una verità che
il settore bancario e finanziario,
nei suoi ruoli apicali, non ha
mai ammesso, salvo poi trovare
chi candidamente lo dichiara in
un’aula di tribunale.
In questo caso le due sorelle
sono state condannate del giudice
Gilberto Felici. Condanna
anche alla confisca per oltre 2
milioni di euro. Già annunciato
appello.
Il caso Corona
Nel caso dei denari della
bancarotta di Corona, nel
quale cinque persone sono state
condannate in primo grado e
sono ora in attesa di giudizio in
appello, la finanziaria legata al
Credito sammarinese, la Polis,
si è fatta parte attiva, secondo
quanto emerso nel processo,
interessandosi essa stessa della
costituzione della società di diritto inglese sulla quale, dopo
lo schermo dei prestanome
e delle società sammarinesi,
dovevano passare i soldi della
bancarotta per poi ritornare a
Corona. Anche qui consapevole
la banca, consapevole la finanziaria,
consapevoli i prestanome
e le società interposte.
Il direttore di filiale
come un fratello
Nel processo a carico di Michelangelo
Fedele per possesso
ingiustificato di valori provenienti,
secondo l’accusa, da
reati di estorsione e usura. Il
procedimento è ancora pendente
in primo grado davanti al
giudice Gilberto Felici. L’uomo,
al quale recentemente l’autorità
italiano ha posto sosto sequestro
conti e immobili per oltre
4 milioni, ha per anni movimentato
milioni sul suo conto
presso una filiale della Banca
di San Marino. Nel processo ha
reso delle dichiarazioni emblematiche.
“San Marino per me
era il paradiso – ha detto – Mi
sono trovato sempre bene sono
sempre stati gentili. Per me il
direttore era come un fratello,
una persona per bene. In Italia
quei soldi non mi servivano.
Qualora non fosse intervenuto
questo procedimento penale
avrei mantenuto sicuramente
il deposito egli investimenti a
San Marino”. Ed è risultato che
nel 2010 Fedele di soldi ne ha
portati via parecchi in contanti.
Li ha elencati il procuratore del
fisco Roberto Cesarini, prelievi
da 359mila, 330mila poi altri
150mila, fino anche a fine 2010.
“Alla banca non ha dovuto
giustificare il prelievo di tutti
questi contanti?”, ha chiesto il
Procuratore del Fisco. “Investimenti
immobiliari. Tanti italiani
in quel periodo erano venuti a
prelevare…”, ha risposto Fedele.
“Davano via i contanti così?”,
ha chiesto allora il Pf. “Un
giorno c’era parecchia gente in
fila. Tutti prelevavano contanti.
Uno di quelli che prelevavano
ero io”.

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