Antonio Fabbri, L’Informazione di San Marino: ‘Piove governo ladro’

Antonio Fabbri, L’Informazione di San Marino: ‘Piove governo ladro’

L’Informazione di San Marino

“Piove, governo
ladro”

Antonio Fabbri

“Piove, governo ladro”. Attenti,
non si può dire più. C’è il rischio
che qualcuno che fa parte dell’esecutivo,
che fra l’altro adesso è pure
nel limbo, quereli. E c’è il rischio
che il tribunale gli dia pure ragione.
“Che mafia che c’è in politica!”.
Quante volte nei bar in questi giorni,
soprattutto dopo la pubblicazione
della relazione dell’antimafia,
si sarà sentita questa frase? Se ne
saranno sentite pure di peggio. Attenzione, però, a non dirla a voce troppo alta. C’è il
rischio che, passando, qualcuno che è nelle seconde o
terze linee di un partito o magari non è neppure consigliere
e neanche ha la volontà di candidarsi, decida di
denunciare. A quel punto in tribunale, visto il precedente,
sarebbe fatta. Condanna. Potrebbe anche succedere
di peggio. Considerato che, aristotelicamente
parlando, l’uomo è un animale politico, non è escluso
che l’intera popolazione si costituisca parte civile.
Ora, già lascia perplessi che si siano raccolte adesioni
in Consiglio per denunciare un articolo. Desta ancor
più perplessità che di firme se ne siano raccolte solo
nove, più la disponiblità del consigliere-avvocato che
ha patrocinato i querelanti. Che poi si accampi in giudizio
che è stata lesa l’istituzione, pare troppo, quando
gli altri 48 consiglieri non hanno denunciato. Non facevano
parte dell’istituzione anche loro? A conti fatti
la maggioranza non ha voluto procedere a questo atto.
Allora hanno agito personalmente. Ma personalmente
non è stato chiamato in causa nessuno da quell’articolo,
dato che non c’erano nomi.
Viene da pensare che se dovessimo metterci a denunciare
noi tutte le volte che nei comunicati dei vari
partiti si dice genericamente che “i giornali” scrivono
bugie o notizie “false e tendenziose”, staremmo freschi!
Altro che tribunale ingolfato!
Ma il motivo del contendere qual è? Un articolo sul
sito libertas, scritto da Marino Cecchetti, che criticava
il fatto che, pur avendo approvato la legge di abolizione
delle società anonime, restava, come paravento per
i furbi e in certi casi anche per i delinquenti, l’interposizione
fiduciaria. Una cosa che, francamente, non
ha scoperto Cecchetti. Certo, lui l’ha rilevata in modo
indignato, da sammarinese che tiene al suo Paese, ma
la stessa anomalia l’ha indicata anche il Moneyval e
ad ogni piè sospinto lo dicono le procure e i ministeri
di oltre confine.

Ma ciò che ha fatto così arrabbiare i
consiglieri, però, cos’è?

E’ che la responsabilità di non
avere avuto sufficiente coraggio per una trasparenza
totale interna ed esterna al Titano, Cecchetti l’abbia
addebitata alla politica.

E a chi la doveva addebitare?
Mica le leggi si fanno fuori dal Palazzo! Non solo.
L’articolo diceva anche che questo anonimato ha favorito
negli anni il “sottobosco politico-affaristico” che
è “per gli uomini della cupola essenziale come l’acqua
per i pesci”.

Ma non sono le stesse parole e deduzioni
che ha fissato la relazione dell’antimafia di questi
giorni? Peraltro i commissari hanno usato proprio le
parole “sottobosco politico-affaristico”, almeno 4 volte.
E pensare che tra i denuncianti c’è anche chi quella
relazione ha contribuito a scriverla, e pure qualcuno
che ci è finito dentro. Come la giri questa faccenda
non sta in piedi.

Alla fine, sembrerà strano ai più, ma i politici hanno
denunciato, un giudice ha rinviato a giudizio e un
altro ha condannato. In tutto questo, però, credo che
Cecchetti abbia mostrato a questi dieci consiglieri che
cosa significhi la dignità, dichiarando in aula di voler
rinunciare ai benefici di legge, anche se il giudice non
gli ha dato retta e gli ha concesso il perdono giudiziale.

Ha dimostrato che lottare per le proprie idee e per
quello in cui si crede non prevede compromessi. Neppure
quei compromessi ai quali molti, in sede politica,
sono stati disposti a scendere, sapendo benissimo – e
anche prima della relazione antimafia – che gli alleati
con cui si accordavano, assieme ai quali firmavano
provvedimenti, con cui condividevano le cerimonie,
non erano poi così specchiati. E il fatto che sulla dignità
delle proprie idee ci sia chi non transige neppure
in un’aula di tribunale, per i dieci che lo hanno
denunciato, penso peserà più del dispositivo e delle
motivazioni di qualsiasi sentenza che dà loro ragione.
E la gente questo lo sa.

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