08/10/1999 Verso una nuova intellighenzia

08/10/1999 Verso una nuova intellighenzia

Verso una
nuova intellighenzia

 

(Convegno Mappe, percorsi,
saperi, scelte per i giovani
sammarinesi della nuova Europa, 8-9 ottobre 1999, organizzato
dal Segretario di Stato al Lavoro, dr. Romeo Morri)

 

     E’ la
prima volta che mi capita di prendere la parola in un convegno dedicato
all’economia, invitato come preside.

Chiedo scusa in anticipo per la
modestia del mio contributo a un dibattito così importante che ha, fra i
partecipanti, i massimi esponenti e protagonisti del settore.

Quando venne Nomisma (la famosa
società di ricerca di Bologna) a San Marino alcuni anni fa, nel corso di alcuni
incontri tenuti con i dirigenti della pubblica amministrazione sollecitati ad
avanzare iniziative di ordine economico, ho proposto Scientiae Park.
Ce n’è traccia nel rapporto della stessa Nomisma, Traiettorie di sviluppo,
pubblicato dalla Segreteria
di Stato per l’Industria e l’Artigianato,  ed una
sintesi è stata pubblicata nell’Annuario della Scuola Secondaria Superiore,
anno scolastico 1993-94.

Scientiae Park è un’iniziativa
economica legata a filo doppio all’istruzione. La proposta che presento oggi, Verso
una nuova intellighenzia, è incentrata sull’istruzione, intesa come supporto o
motore della nuova economia.

Siccome il rapporto tra
istruzione, economia – e conduzione dello Stato – nel nostro Paese non è dato
per scontato, ho bisogno di dimostrarlo. Lo farò ricorrendo alla storia.

 

Siamo a metà gennaio del 1537.
Gian Battista Belluzzi parte per Bologna perché deve portare cinquanta scudi al
fratello Annibale che sta per addottorarsi. Laurearsi in legge diremmo oggi.
Bologna per il diritto è il top. Come dire, per l’economia, ai nostri tempi,
qualche università d’oltralpe o d’oltreoceano.

Ovviamente Annibale non ha speso
solo quei cinquanta scudi per addottorarsi. Bensì quattrocento. Scudi
quattrocento d’oro in oro e più, annota Gian Battista nel suo Diario (un
cavallo – paragonabile, forse, a un’automobile di cilindrata medio alta –
costava, in quegli anni, venti scudi circa, come del resto un buon trattato di diritto).

Per addottorarsi nel Cinquecento
si spende veramente molto. Eppure Annibale, a San Marino, non è il solo ad aver
raggiunto tale traguardo. Secondo uno storico, verso la metà del Cinquecento,
San Marino poteva contare su quaranta cittadini fra Dottori e Notai.
E, forse, su altrettanti cittadini che avevano percorso l’iter degli studi
ecclesiastici. Insomma erano tanti i sammarinesi che avevano compiuto dei buoni
studi a metà Cinquecento, pur contando l’intera Repubblica non più di 3500
abitanti.

Ovviamente questi cittadini che
hanno studiato, laici o ecclesiastici, costituiscono il fiore all’occhiello
della comunità, la quale se ne serve in continuazione. Ad essi affida, in
genere, le missioni all’esterno. Anche quelle più difficili e delicate. Li manda,
quando occorre, anche a Roma, a trattare coi papi. I papi del Rinascimento che
sono, come è noto, maestri di diplomazia e di spregiudicatezza.

Vediamo come se la cavano questi
rappresentanti della comunità sammarinese a Roma, in una trattativa su una
materia, in quel periodo storico, di grande rilevanza sia in ordine alla
economia che alla politica: il rifornimento del sale. Dieci anni di impegno:
dal 1539 al 1549.

 

Nel Cinquecento il sale è
importante. Come il petrolio nella seconda metà del Novecento. E’ il volano
dell’economia. Ad esempio, se ne fa un larghissimo uso per la conservazione dei
cibi. In particolare della carne. Nel Cinquecento il consumo della carne sotto
sale raggiunge quello della carne fresca. Per ogni Stato il sale (merce di
monopolio) costituisce la principale fonte di entrata erariale. E fra gli Stati
ci sono guerre per il controllo dei luoghi di produzione e delle vie di
trasporto, come oggi per il petrolio. E come oggi avviene per il petrolio, gli
Stati, nei momenti di emergenza, per racimolare in fretta risorse, sono usi a
imporre addizionali sul prezzo del sale.

Il 21 aprile 1539 il papa, Paolo
III, per fronteggiare il pericolo dei Turchi, impone su tutto il territorio dello Stato
della Chiesa una addizionale sul sale di quelle robustissime: il prezzo del
sale, in Romagna, passa da 30 a
210 bolognini il sacco. Ogni comunità ne deve comperare un quantitativo
prefissato entro un termine prefissato e, ovviamente, al nuovo prezzo. Sul
Titano pure arriva l’ordine di comprarne: per 250 sacchi. Altrimenti
rappresaglie.

Non c’è luogo dello Stato della
Chiesa che non cerchi di opporsi, di sottrarsi a quella sconsiderata
imposizione. Le ribellioni vengono domate coi soldati (la ribellione più
importante è quella di Perugia. Il papa, per domarla, impiega 10 mila soldati,
fra cui 1000 lanzichenecchi, i quali, nel viaggio di trasferimento, sostano
proprio a San Marino). I reclami vengono respinti. Le delegazioni inviate a
Roma, non vengono nemmeno ricevute.

I sammarinesi? Hanno amici potenti
a Roma. Addirittura tre cardinali. Ma questa volta la questione è così grossa
che per schiantarla non basta nemmeno l’intervento congiunto di quei tre
cardinali presso la
Camera Apostolica, l’ufficio-tribunale avente competenza in
materia. Allora? Risolvemmo per noi stessi, narrare i nostri bisogni a Sua
Santità
, dicono i due sammarinesi, un Corbelli ed un Belluzzi, inviati a
Roma per la bisogna. I
due si accostano alla persona del papa mentre questi cavalca per Roma alla
volta della Magliana, dove usa andare a caccia con figli e nipoti. Il papa
autorizza i funzionari della Camera Apostolica ad occuparsi del caso. Inizia la trattativa. I
sammarinesi sostengono di non essere tenuti a pagare il sale col sovrapprezzo
perché il sovrapprezzo è per i sudditi del papa. Loro, pur abitando un luogo
geograficamente situato dentro lo Stato del papa, non si ritengono sudditi del
papa. Loro non sono sudditi di nessuno. Non hanno superiore. Per cui chiedono
non solo l’esenzione dal sovrapprezzo del sale, ma addirittura che il papa
firmi un documento da cui risulti, nero su bianco, ed una volta per tutte, che
i sammarinesi non hanno superiore.

Dopo dieci anni di duro impegno
(nel corso dei quali, fra l’altro, neutralizzano due tentativi militari di
prenderli di sorpresa) i sammarinesi ottengono da Paolo III un documento che
riconosce che essi, effettivamente, non hanno superiore.

Come sono arrivati i sammarinesi
a tanto? Perché arrivano là dove le altre comunità falliscono?

I sammarinesi vincono perché
trattano in proprio. Antonio Orafo (agli inizi del Cinquecento) afferma che
anche il più incolto dei sammarinesi, quando tratta per il suo paese, rende più
di un forestiero preparato e ben retribuito.

I sammarinesi vincono in quanto
possono contare su rappresentanti  (concittadini)  culturalmente e
professionalmente  preparati. Dicono i funzionari della curia romana che
quando incontrano i sammarinesi devono stare attenti come quando trattano coi
veneziani.

I sammarinesi vincono perché sono
determinati. Tanto determinati che nei funzionari curiali, in genere
ecclesiastici, sorge un sospetto: che oltre all’indipendenza in campo politico,
i sammarinesi – sono
gli anni dello scisma anglicano –  perseguano anche l’indipendenza in
campo religioso, come il re d’Inghilterra.

Il successo è merito di chi
tratta a Roma in quei dieci anni: Gian Antonio Belluzzi, Giuliano Corbelli,
Gian Giacomo Pinti, Pier
Paolo Bonelli, Francesco Pellizzari …… Ma è merito anche di
quelli che lavorano sul Titano, che preparano i documenti, che studiano volta
per volta la migliore strategia e la traducono in abili, spregiudicate,
coraggiose mosse tattiche.

Insomma la Repubblica può
contare, a metà Cinquecento, su una cerchia di concittadini vasta e preparata:
una intellighenzia quale solo paesi di ben altra dimensione e ricchezza sono in
grado di produrre e tenere costantemente in servizio per mettere in campo nel
momento del bisogno.

 

Come si è formata sul Titano
questa intellighenzia? Perché proprio su questo cucuzzolo, uno dei tanti della
Valmarecchia?

San Marino già nei primi decenni
del Duecento non è (o non è più) un luogo isolato: si trova su una strada
importante, quella  che collega Rimini, Urbino e Montefeltro, e dal 1228 ha un mercato
importante, sorto per volontà delle famiglie che controllano i monti
(Montefeltro e Carpegna) e del Comune di Rimini che controlla per un vasto
circondario il piano.

Sul mercato sammarinese, sito in
Borgo, la merce di base è il sale proveniente da Rimini.

Dunque San Marino, già a metà del
Duecento, ha un fortilizio, è piazza di mercato, ospita un convento: è una civitas,
cioè una realtà urbana. Dal mercato ricava le risorse per l’erario pubblico:
per le fortificazioni, per le armi, per gli armati, per i funzionari del
comune. Attorno al mercato gravita la intellighenzia sammarinese: uomini che
hanno studiato legge e fatto pratica appunto sulla piazza del mercato (luogo di
scambio di merci, ma anche di idee, e palestra di formazione). E’ un mercato
fortunato quello di San Marino, perché San Marino è un luogo di mezzo in un
contesto frammentato sia geograficamente che politicamente.

San Marino è certamente luogo di
mezzo quando, nel 1228, sorge il mercato: di mezzo fra diverse diocesi. Ed è
poi ancora luogo di mezzo, dalla seconda metà del Trecento, fra le Signorie dei
Malatesta e del Montefeltro, fino al 1463, quando i Malatesta vengono
sconfitti. Ed è  ancora luogo di mezzo dopo il 1463 quando alle spalle
continua ad avere il ducato d’Urbino e a Rimini si succedono funzionari
pontifici, veneziani, Malatesta. Ciò fino al 1509. Dopo il 1509 Rimini passa al
diretto dominio della Chiesa.  San Marino deve cominciare a comperare il
sale presso i magazzini del papa in Romagna. Sorgono le prime grosse difficoltà
nei rifornimenti del sale. Difficoltà che sfoceranno nella trattativa 1539-1549, a Roma. Però San
Marino rimane luogo di mezzo fra il ducato d’Urbino e la Romagna governata
direttamente dal papa.

Nel 1631 crolla il Ducato
d’Urbino. San Marino non sarebbe più luogo di mezzo, in quanto ormai enclave
dello Stato della Chiesa. In effetti continua, almeno in parte, ad esserlo
ancora perché al confine di due diverse zone amministrative (provincie o
legazioni): quella di Romagna e quella dell’ex Ducato di Urbino. E siccome lo
Stato della Chiesa è molto disarticolato all’interno, ci sono, spesso, norme
diverse nei territori delle due legazioni. San Marino insomma è enclave e, al
contempo, un po’ luogo di mezzo.

Nel 1861, Unità d’Italia. San
Marino diventa enclave dello Stato Italiano. Il mercato ne risente.

 

Dal 1971 la Repubblica di San
Marino, pur rimanendo enclave dell’Italia, ritorna, per certi aspetti, ad
essere luogo di mezzo. Va guadagnando molte posizioni sulla scena
internazionale: Consiglio d’Europa, Conferenza Europea per la Sicurezza e la
Cooperazione, ONU. E proprio quando i nuovi mezzi di comunicazione riducono le
distanze geografiche. E proprio quando nell’economia diventano via via più
rilevanti le tecnologie e le merci immateriali (cui, per viaggiare, come è
noto, sono sufficienti le vie dell’etere).

Così che ora il nostro
paese-Stato, per effetto del nuovo contesto creato e dalla politica e dalla
scienza, sta progressivamente superando l’effetto enclave, cioè di isola
politica all’interno di un altro Stato. Si sta progressivamente interfacciando
con realtà anche lontane: teoricamente con tutti gli Stati del mondo, quasi
confinasse geograficamente con tutti gli Stati del Mondo.

Adesso per San Marino si profila
una nuova prospettiva di mercato, nella nuova società, la cosiddetta società
dell’informazione.

La società dell’informazione è
molto diversa da quella del sale. Non basta più per uno Stato, come nella
società del sale, avere una classe dirigente preparata. Una ristretta
intellighenzia non è più sufficiente ad assicurare il successo di uno Stato.
Per vincere la sfida dei tempi, è necessaria una istruzione diffusa il più
possibile ed al massimo livello possibile. Anche le potenzialità economiche di
uno Stato, nella società dell’informazione, sono strettamente correlate con il
livello di istruzione dei suoi cittadini.

Nella società del sale il mercato
si svolgeva in un preciso luogo fisico, la piazza. Ora la piazza
si è dilatata. Sino, in pratica, a non avere quasi più confini. E le merci,
ormai immateriali, possono viaggiare anche senza  strade.

La formazione dei professionisti
per il mercato della società del sale avveniva a Bologna, a Perugia, cioè nei
centri culturali di massimo livello di quella società. Adesso la formazione va
per lo meno completata  oltralpe, oltreoceano perché lì sono i centri culturali
e di potere della  società dell’informazione.

     Alla
intellighenzia sammarinese, nella società del sale, si chiedeva di svolgere
incarichi per la comunità a Roma. Di qui in avanti  anche  a
Bruxelles, a New York.

 

La intellighenzia sammarinese, in
antico, veniva alimentata dai rampolli delle famiglie predominanti le quali
erano sì benestanti, ma non tanto da poter vivere di rendita. Per cui era loro
necessario un introito economico aggiuntivo per mantenere uno standard di vita
decoroso e per alimentare una prospettiva di crescita. Queste famiglie
predominanti  trovavano questa integrazione economica nell’esercizio delle
professioni liberali dentro e fuori territorio. Professioni, per accedere alle
quali,  conditio sine qua non, come sempre, era lo studio.

Nella nuova società
dell’informazione è tutta la comunità che deve porsi l’obiettivo di allargare
il più possibile la base della intellighenzia e portarla al più alto livello
possibile per vincere la sfida dei nuovi tempi (sfida che è, come sempre,
politica ed economica al contempo). Di qui la necessità di programmare lo
sviluppo di questa nuova intellighenzia.

Ecco una via per arrivarci:

§         estendere
l’obbligo scolastico fino al diciottesimo anno;

§         spingere verso
lo studio universitario il maggior numero di ragazzi possibile, con l’incentivo
di un adeguato presalario;

§         favorire la
specializzazione post laurea in un’università d’oltralpe o d’oltreoceano,
coprendo le spese per almeno una cinquantina di ragazzi ogni anno.

La proposta tiene conto di
riforme che sono in atto. In particolare tiene conto della riforma della
istruzione pubblica (cui ha accennato il Segretario di Stato per la Pubblica Istruzione,
dr. Sante Canducci) che, salvo imprevisti, fra qualche anno, entrerà in vigore
in Italia: le scuole medie superiori termineranno al diciottesimo anno (anziché
al diciannovesimo come oggi) e tutti i corsi di laurea dureranno tre anni
(laurea di primo livello). Inoltre la proposta tiene conto della riforma della
pubblica amministrazione sammarinese (di cui parla spesso il Segretario di
Stato per il Lavoro, dr. Romeo Morri). Tale riforma mira a ridurre i
costi  senza pregiudicare la qualità dei servizi erogati, attraverso una
più razionale ed efficiente organizzazione del lavoro pubblico (per il sistema
scolastico vorrà dire, ad esempio, riportare il numero degli alunni per classe
a quelli usuali nei paesi più avanzati e,  fra l’altro, suggeriti dalla
pedagogia).

Tenendo conto delle riforme in
corso, è possibile, realisticamente,  ipotizzare che la proposta qui
avanzata, Verso una nuova intellighenzia, possa attuarsi  senza
che lo Stato sammarinese debba accrescere la spesa correntemente stanziata per
l’istruzione pubblica.

Altri punti della proposta:
revisione degli insegnamenti e potenziamento di alcuni specifici. Ad esempio:
più matematica ed informatica, più inglese e più storia sammarinese. La
matematica-informatica  sta alla base della società dell’informazione. La
lingua inglese  va posseduta  come una seconda lingua naturale nel
nuovo contesto mondiale e in quello particolare in cui si trova –
fortunatamente –  San Marino. La storia sammarinese serve a rafforzare la
nostra identità, cioè a dare più colore a questo puntino, proprio nel momento in
cui il colore degli stati nazionali va scemando.

Concludo. San Marino non è un
prodotto casuale della storia. E’ il frutto della conquista collettiva di una
comunità. In particolare dell’intellighenzia, che in ogni tempo la comunità
sammarinese ha saputo esprimere. E proprio questa intellighenzia ora è da
rafforzare ed estendere, col potenziamento dell’istruzione, come impone la
politica, ma come impone anche l’economia dei nuovi tempi.

Grazie al dr. Romeo Morri per l’invito. Grazie a tutti per la cortesissima attenzione

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