20/04/02 XV Congresso della Democrazia Cristiana IL CORAGGIO DELLE SCELTE Intervento di Marino Cecchetti

20/04/02 XV Congresso della Democrazia Cristiana IL CORAGGIO DELLE SCELTE     Intervento di Marino Cecchetti

Intervento al congresso della Democrazia
Cristiana

XV Congresso
della Democrazia Cristiana

IL
CORAGGIO DELLE SCELTE
  

Intervento di Marino Cecchetti

 

Ringrazio per l’opportunità che mi è data di intervenire nel
dibattito del congresso. Ne condivido il tema. Mette ben in evidenza che il
paese ha bisogno di una forte guida politica. E ne ha bisogno urgentemente.

Anche l’Italia ha avuto per anni al vertice dei politici che
anziché affrontare i problemi li rimandavano. E tenevano buono il paese
illudendo la gente coi folli rendimenti dei titoli del debito pubblico, lasciato
crescere a dismisura proprio dagli stessi politici. Ci sono voluti poi uomini
coraggiosi come Amato, Ciampi, Prodi per salvare l’Italia. Altrimenti oggi
anziché in Europa, sarebbe in Africa.

Da noi non si è creato un debito pubblico grave come in Italia.
Eppure ci troviamo in una situazione che richiede interventi non meno
coraggiosi. E non per non finire in Africa. Noi non abbiamo alternativa: noi
rischiamo di sparire come Stato.

 

Tutto è cominciato a metà degli anni Settanta, con gli accordi
italo-sammarinesi sull’IVA. Tanto danaro ha cominciato ad arrivarci. Danaro che
nelle nostre mani, purtroppo, si è trasformato in un regalo avvelenato, anziché
in una eccezionale opportunità.

Avremmo potuto impiegarlo quel danaro per ammodernare il paese,
creare infrastrutture e – perché no? – metterne un po’ a riserva.

Invece i nostri governanti, dopo qualche anno di comportamento
virtuoso, hanno cominciato a spenderlo nell’ordinario. Per guadagnare il
consenso a breve. In pratica si sono messi a erogarlo a pioggia. È cresciuta la
ricchezza individuale, ma non ne è derivato un bene allo Stato.

Fra l’altro ha finito per danneggiare – questo è il punto – ha
finito per  pregiudicare la qualità della politica.

 

La qualità della politica negli altri Stati può incidere su  un
maggiore o minore  tenore di vita, sul ritardo o l’accelerazione dello sviluppo.
Per noi, per il nostro Stato, è questione di sopravvivenza. Da sempre.

La nostra sopravvivenza come Stato la dobbiamo certamente al
Santo. Ma anche il nostro Santo, come tutti i santi, per fare i miracoli ha
bisogno degli uomini. E il miracolo più importante che ha fatto il nostro Santo,
 è stato quello di assicurarci sempre ai vertici della comunità,
ininterrottamente, uomini di qualità. Ininterrottamente. Altrimenti, così
piccoli, saremmo stati subito travolti dai  pericoli sempre incombenti.

Sono stati proprio i pericoli esterni e le difficoltà interne
(che pur’esse  non sono mai mancate), a selezionare lungo i secoli i nostri
dirigenti, a temprarli, a forgiarne il carattere, sino a farli della qualità
necessaria per governare un San Marino sempre sotto minaccia esterna, un San
Marino sempre con scarse risorse.

 

Governare San Marino, invece, dopo gli anni Settanta è divenuto
facile: paese sicuro dall’esterno, perché ormai presente sulla scena
internazionale, e … cassetto pieno. Le punte di eccellenza fra i politici,
paiono diventare, dopo gli anni Settanta,  un ingombro. Un prodotto residuale.
Insomma da marginalizzare.

Ha preso sopravvento la mediocrità.

Sono entrate a dirigere lo Stato anche persone impreparate, cioè
incapaci di cogliere le esigenze vere del paese, interpretarle, ricavarne una
proposta politica ed  elaborare  un progetto. Sono prevalse persone intente a
stare in sella  per gestire il potere per il potere, affiancate,  spesso,
anziché da collaboratori veri, da complici con la loro stessa mentalità e
levatura, e da suggeritori di spregiudicatezze a scapito del bene pubblico.

Così che i nostri guai, col decadere della qualità della
politica, non sono rimasti limitati allo spreco del danaro arrivato con l’IVA.
 Ci è successo di peggio.

 

Si sa che, da sempre  e in tutti gli  Stati, attorno ai poteri
pubblici si aggira un sottobosco politico-affaristico pronto a sfruttare ogni
occasione di tornaconto.

Ebbene qui da noi, dopo gli anni Settanta, quel sottobosco ha
trovato le condizioni per crescere più che altrove e assai più che in passato.
Si è sviluppato in modo abnorme. Fino a determinare apertamente, sfacciatamente
le scelte dei politici. Basta pensare a cosa è divenuto lo sfruttamento della
sovranità con la cosiddetta industria delle fatture. Si è arrivati a modificare
il codice penale per proteggere quelle attività non certo onorevoli.

Le conseguenze sono state il blocco della Finanza e l’assunzione
di impegni presso l’OCSE, che ancora pesano sul nostro avvenire.

 

Come se non bastasse, quello stesso sottobosco – un mostro dalla
fame insaziabile – ha ottenuto la licenza di sfruttare la sovranità a presa
diretta. La licenza di costruire immobili su immobili da vendere a chiunque sia
disposto a pagarli col sovrapprezzo appunto della sovranità pur di mettere piede
a San Marino.

I clienti non mancano perché i politici si sono dati da fare (e,
forse, ancora si stanno dando  da fare),  per allargare vieppiù le maglie che un
tempo regolavano nel nostro Stato il flusso della gente dall’esterno. Sino a
distruggerle del tutto quelle maglie. Senza preoccuparsi delle conseguenze.

 

Così che ora sono prossime al collasso strutture fondamentali
del nostro Stato, strade, scuole, servizi sanitari.

Abbiamo un bilancio dello Stato rovinato.

Sotto la nostra sovranità ci siamo messi una bomba, il
frontalierato. Bomba il cui detonatore, ricordiamocelo, è in mani altrui.

Infine – una volta lo si sarebbe messo al primo posto, lo si
sarebbe messo al primo posto – c’è il buon nome da ricostruire.

 

Come reagire a tanto degrado.  Tirando fuori il coraggio.

Partendo di lì, dal punto cruciale origine dei nostri guai: la
qualità della politica.

Dobbiamo migliorare la qualità della politica. Cominciamo con
l’operazione più semplice: aprire le finestre e fare entrare aria fresca. Ce n’è
bisogno. In quegli ambienti l’aria deve essere diventata così malata  da
mandare, talvolta, in cortocircuito le teste, come quando, per soddisfare certi
interessi, si è arrivati a dare l’ordine di mettere l’antennone dentro la prima
torre. Mai nessun sammarinese nella storia ha osato o tentato o concepito – solo
concepito – di fare della Guaita un uso privato.

La nostra generazione è arrivata a tanta profanazione. Lo dico
non per polemica, ma per renderci meglio conto tutti, del livello di degrado da
cui dobbiamo risalire.

 

Un modo per risalire, per tentare di far guadagnare qualità alla
politica, potrebbe essere quello di rompere il monopolio dei partiti nella
scelta delle candidature al Consiglio Grande e Generale. Aumentando la
concorrenza. Si può ritornare a dare la possibilità alla gente di esprimere
direttamente delle candidature, come, in sostanza, avveniva prima del 1920.

 

Altro modo: tenere sotto controllo gli atti della politica e,
all’occorrenza, aver subito disponibili gli strumenti per intervenire.

Tale controllo è divenuto indispensabile un po’ in tutti gli
Stati dopo la fine delle ideologie, cioè da quando molti partiti hanno perso i
tradizionali riferimenti ideali e c’è il rischio che si trasformino in pure
macchine organizzative per la conquista del potere.

Gli altri Stati per attivare il controllo, tendono a creare
organismi su organismi sovrastati a loro volta da altri super organismi. A San
Marino, anche per le sue ridotte dimensioni, ma soprattutto per la sua
antichissima cultura dell’Arengo, cioè della democrazia popolare,  si potrebbe
riprendere la strada segnata appunto dall’Arengo del 1906: dare quel controllo
direttamente in mano alla gente.

La riforma del 1906 avrebbe dovuto proseguire, come scrisse
Pietro Franciosi, verso il traguardo ideale della democrazia diretta.

Dare la possibilità alla gente di intervenire anche direttamente
sulle cose della politica, non danneggia la democrazia dei partiti, come ha
dimostrato l’esperienza svizzera. È un completamento della democrazia, non uno
stravolgimento.

Diceva un antico storico ateniese: benché soltanto pochi
siano in grado di dar vita a una politica,
cioè di dirigere lo Stato, noi
tutti siamo in grado di giudicarla
, la politica.

Va da sé che le candidature al di fuori dei partiti e
 l’attivazione di canali della democrazia diretta, sono proposte  tecniche.
Esse, appunto perché solo tecniche,  non hanno e  non possono comunque  avere
efficacia se non si riprende a far politica con lo stato d’animo, la tensione
morale e le convinzioni di coloro che hanno guidato la comunità nei secoli
precedenti e, col loro impegno, la loro determinazione, la loro cultura, la loro
intelligenza politica,  hanno fatto di questo monte, uno Stato.

 

È un cambiamento questo della qualità della politica, che il
paese aspetta. E l’aspetta dalla Democrazia Cristiana.

La Democrazia Cristiana è un partito popolare.

La Democrazia Cristiana è il partito in grado di interpretare al
meglio quella sammarinesità che ha fatto sì che questo monte si distinguesse
dagli altri monti; che gli ha dato la forza di affrontare i pericoli della
storia; che lo ha spinto su su fino ad arrivare il 2 marzo del 1992 all’ONU,
l’Assemblea di tutti gli Stati del mondo, accolto per acclamazione.

È stata una conquista, quella del 1992, di cui essere fieri e
come sammarinesi e come democristiani. Sarebbe ingeneroso e ingiusto non
ricordarcelo e non ricordarlo. È la prova che quando vogliamo fare le cose bene,
ne siamo ancora capaci.

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