San Marino, Stato indipendente. Tassa delle Triremi, altro passo verso l’autonomia

San Marino, Stato indipendente. Tassa delle Triremi, altro passo verso l’autonomia

 

LA TASSA DELLE
TRIREMI

occasione per un altro passo di San
Marino verso l’autonomia

Avvertenza Il testo è pubblicato senza note. Per le note, i riferimenti ai documenti utilizzati e la bibliografia, si rimanda necessariamente alla consultazione della versione su carta: MARINO CECCHETTI, Libera Abuntrocle / Relinquo vos liberos ab utroque homine, San Marino 1997

Premessa

Il cammino che ha portato la Repubblica di San Marino ad acquisire un’autonomia via via più alta all’interno dello Stato della Chiesa (premessa alla sua sopravvivenza durante le concitate fasi dell’unificazione politica della penisola italiana) è stato lungo e difficoltoso. Ogni passo ha richiesto impegno e determinazione. La questione della Tassa delle Triremi ne è un esempio.

Mi ci sono imbattuto sfogliando alcuni libri sullo Stato Pontificio, segnalatimi dal prof. Gian Ludovico Masetti Zannini quando cercavo notizie su papa Clemente XI.

Nel 1588 papa Sisto V, per dotare lo Stato della Chiesa di una propria flotta a protezione dalle incursioni dei Turchi, aveva introdotto una specifica tassa, detta Tassa delle Galere o delle Triremi (in seguito solo Triremi’) gravante sui benefizi ecclesiastici non della intera cristianità, ma solo su quelli dello Stato della Chiesa. Non erano previste distinzioni fra terrae subiectae immediate o mediate. Anche gli ecclesiastici sammarinesi non poterono sottrarsi al pagamento, come del resto quelli dei ‘territori autonomi’, ducato d’Urbino compreso.

Le autorità civili non vennero coinvolte. La riscossione era affidata alle diocesi. Il tutto andò avanti regolarmente anche nel Montefeltro fino agli ultimi decenni del Seicento. Cioè fin quando divenne vescovo nel Montefeltro mons. Bernardino Belluzzi, un sammarinese.

 

Nel Montefeltro un vescovo sammarinese

Il sammarinese Bernardino Belluzzi viene nominato vescovo del Montefeltro nel concistoro del 5 settembre 1678, referente R.mo D.mo Card.le de Carpineo. A dir il vero avrebbe dovuto divenire vescovo lo zio di questi, padre Ascanio Belluzzi. Ma Ascanio rinunciò a favore del nipote, Bernardino appunto.

Bernardino Belluzzi, trentaseienne, laureato ‘in utroque’ presso la Sapienza, già uditore presso la legazione di Urbino e giudice presso la rota di Ferrara, agli inizi del 1678 lascia la toga per la tonaca: suddiacono il 26 luglio, diacono il 7 agosto, sacerdote il 14 agosto, vescovo il 18 settembre. Il 19 settembre dello stesso 1678 prende possesso della diocesi del Montefeltro per procura.

Quando mons. Belluzzi arriva a Pennabilli, la controversia plurisecolare fra Pennabilli e San Leo per la questione della sede vescovile attraversa – per l’ennesima volta? – una fase delicata. I canonici pennesi tre anni prima erano riusciti a bloccare in extremis con l’appoggio – si dice – del card. Gaspare Carpegna (in precedenza, forse, schierato coi leontini), la istituzione di nuovi canonicati a San Leo. Istituzione sponsorizzata dal vescovo feretrano pro tempore mons. Giacomo Buoni. Per mons. Buoni da quel momento diventa così difficile continuare a reggere la diocesi, che è costretto a chiedere – e il 25 febbraio 1678 l’ottiene – il trasferimento ad altra diocesi.
Gli succede mons. Bernardino Belluzzi (in seguito solo ‘Belluzzi’).

Per San Leo e Pennabilli è sempre spasmodica la ricerca di stratagemmi per influenzare gli ambienti romani. I canonici pennesi (in seguito solo ‘canonici’) nel 1680 colgono l’occasione della convocazione della Congregazione Generale del clero feretrano con all’ordine del giorno una nuova forma di riscossione delle tasse del clero (da ‘tassa vecchia’ a ‘tassa nuova’), per proporre l’esenzione dalla Triremi per gli ecclesiastici delle contee dei Carpegna. L’esenzione dalla contribuzione per alcuni soggetti all’interno di una diocesi, comporta necessariamente un aggravio di contribuzione per gli altri o, comunque, va a pesare sul bilancio generale della diocesi. Eppure in assemblea nessuno si oppone. Nemmeno il vescovo Belluzzi.

Belluzzi ammette alla discussione la proposta, lascia che venga approvata e dà il suo contributo nel momento della formulazione della motivazione: gli ecclesiastici di Carpegna vengono esentati dal pagamento della Triremi in quanto ecclesiastici di Luoghi Baronali Liberi, e non compresi nello Stato Ecclesiastico.

Di fatto l’assemblea approva l’esenzione dalla Triremi per gli ecclesiastici di Carpegna non quale atto di puro ossequio (per degni rispetti) verso il card. Carpegna come era nella intenzione dei proponenti, ma per correggere un errore commesso nell’applicare nel Montefeltro la Bolla di Sisto V che introdusse la Triremi. In sostanza viene riconosciuto, anche nella diocesi del Montefeltro, che se un luogo è libero, cioè non soggetto in temporalibus al papa, gli ecclesiastici di quel luogo non sono tenuti a pagare
la Triremi.

La deliberazione sulla Triremi viene prontamente messa in atto dal vescovo Belluzzi. Per le contee dei Carpegna, ovviamente. Ma anche per la Repubblica di San Marino. Già perché anche la Repubblica di San Marino è un luogo libero. Notoriamente libero. In sostanza, secondo Belluzzi, l’assemblea del clero feretrano, prendendo la suddetta deliberazione, ha riconosciuto a Carpegna, Scavolino, e San Marino … di non esser tenuti, come Luoghi Baronali Liberi, e non compresi nello Stato Ecclesiastico, a pagare la Triremi.

Per i canonici la estensione dell’esenzione agli ecclesiastici sammarinesi è un colpo durissimo. Del tutto imprevisto. Ma non possono fare altro che subire. Subire e tacere.

Nella Repubblica di San Marino – forse ancora per intervento di Belluzzi – cominciano a non pagare la Triremi anche gli ecclesiastici delle parrocchie di Serravalle e Faetano, appartenenti alle diocesi di Rimini.
L’esempio è seguito dai conventi maschili e femminili, dalle confraternite, eccetera. In sostanza – poiché si tratta di non pagare – la comune appartenenza alla Repubblica prevale su tutte le altre distinzioni.

L’esenzione dal pagamento della Triremi è un ‘privilegio’ che, a partire dal 1680, comincia a distinguere nettamente il territorio della Repubblica dal circondario. Di qui in avanti tutti gli ecclesiastici sammarinesi, dai preti ai frati e alle suore, e tutte le istituzioni ecclesiastiche sammarinesi, dalle parrocchie, alle cappelle, ai conventi, alle confraternite, si mettono a difendere quel privilegio con le unghie e coi denti.
Ed hanno accanto a loro, in questa difesa, le autorità della Repubblica, per la valenza politica che a quel privilegio è connessa: gli ecclesiastici della Repubblica di San Marino non pagano la Triremi, perché la Repubblica di San Marino non fa parte dello Stato della Chiesa.

 

Il vescovo Pier Valerio Martorelli

Il 25 settembre 1702 Belluzzi è trasferito da Pennabilli a Camerino. Al suo posto è inviato nel Montefeltro direttamente da Roma mons. Pietro Valerio Martorelli, dottore in utroque, beneficiato della Basilica di S. Pietro, avvocato della Curia Romana, … studioso di storia ecclesiastica.

Pennabilli ritorna ad essere, come nel Medioevo, un centro religioso-politico dal quale i sammarinesi devono guardarsi. Subito i canonici, col consenso del nuovo vescovo, tirano fuori la questione della Triremi. Per rimediare al sopruso perpetrato nei loro confronti e nei confronti di tutto il clero feretrano da Belluzzi nel 1680. Ma non possono chiedere l’annullamento sic et simpliciter di quella deliberazione. Ne andrebbero di mezzo anche gli ecclesiastici di Carpegna. La controversia di Pennabilli con San Leo per la sede vescovile è tutt’altro che conclusa e c’è ancora bisogno del card. Carpegna, il quale è ancora vicario di papa Clemente XI, come lo era stato dei precedenti quattro papi.

I canonici si fanno nominare procuratori del clero feretrano e ingiungono agli ecclesiastici sammarinesi della diocesi feretrana (parrocchie di San Marino, Acquaviva, Domagnano, Chiesanuova, Fiorentino, Montegiardino) di riprendere a pagare la Triremi.

Gli ecclesiastici sammarinesi, spalleggiati dal governo della Repubblica, respingono la richiesta.

Martorelli si propone come mediatore. In effetti parteggia per i canonici. La causa finisce presso i tribunali romani: i canonici (a nome del clero feretrano) contro gli ecclesiastici sammarinesi (in realtà i governanti della Repubblica).

 

Clemente XI, un quasi sammarinese

I sammarinesi, anche se viene meno a Pennabilli il concittadino-vescovo mons. Bernardino Belluzzi, non sono allo scoperto. Hanno dalla loro addirittura il papa: Clemente XI. Clemente XI, al secolo Giovanni Francesco Albani, è nato a Urbino. La sua famiglia è da tempo in ottimi rapporti con la Repubblica. Il 14 Settembre 1670 erano state concesse a suo padre, Carlo, cittadinanza e nobiltà per sé e per li suoi figli e casa, in perpetuo.

Alla prima occasione viene presentata al papa dai sammarinesi una lunghissima supplica firmata: li cittadini e popolo della repubblica di San Marino. In essa, fra l’altro, si denuncia l’improvvido tentativo di alcune persone che in oggi procurano a viva forza d’estorcere dal misero clero e da due o tre piccioli conventi de regolari posti in detta Repubblica il pagamento delle galere, cioè della Triremi.

Come giustificano, i sammarinesi, di fronte al papa il non pagamento della Triremi? Semplicemente così: gli ecclesiastici sammarinesi non pagano la Triremi, in vigore nello Stato della Chiesa, perché il territorio sammarinese non fa parte, come non ha mai fatto parte, dello Stato della Chiesa.
Dicono proprio così: San Marino non ha mai fatto parte dello Stato della Chiesa.
Una prova è proprio la Triremi: Di detto peso sino al tempo presente mai gli ecclesiastici di San Marino hanno soggiaciuto a consimile pagamento! E ne danno anche la spiegazione: come tutti i sammarinesi anche gli ecclesiastici sammarinesi sono esentati dai tributi – tutti i tributi – in vigore nello Stato della Chiesa, in base a un breve di Paolo III che a chiare lettere ordinò universitatem et homines reipublicae Sancti Marini nec ad aliqua alia onera realia et personalia ordinaria vel extraordinaria subditis Romanae ecclesiae pro tempore incumbentia subeundum vel contribuendum cogi posse. Il Breve di Paolo III (1549) precede di quasi quarant’anni la introduzione della Triremi (1588) da parte di Sisto V. Ecco perché gli ecclesiastici sammarinesi – a detta dei governanti della Repubblica – non hanno mai pagato. Siccome la imposizione in questione riguarda unicamente li sudditi dello Stato ecclesiastico, farla pagare ad ecclesiastici che sudditi dello Stato ecclesiastico non sono, costituisce una aperta violazione delle disposizioni emanate dai Sommi Pontefici.

 

Roma ascolta i sammarinesi

Nel 1712 Roma respinge il tentativo dei canonici di far ricominciare a pagare la Triremi agli ecclesiastici sammarinesi, avallando, di fatto, la tesi secondo cui la Triremi nella Repubblica di San Marino non è stata mai pagata.

Martorelli, tenuto conto anche di altri inequivocabili segnali provenienti da Roma, comincia a mostrarsi meno insensibile alle lusinghe dei sammarinesi. Insomma, sia pure non apertamente, cambia fronte.

Gli attacchi alla Repubblica da parte dei canonici non cessano però con quegli insuccessi romani e con l’affievolirsi dell’appoggio di Martorelli. Come nella controversia con San Leo per la sede vescovile, non mollano. Il loro potere in zona sta rapidamente crescendo, potendo essi occupare il vuoto lasciato dai Carpegna, una famiglia ormai in crisi, dopo la morte, nel 1714, del card. Gaspare Carpegna.

I canonici dopo il 1714 si sentono liberi di contestare in toto la deliberazione sulla Triremi del 1680. Spiegano a Roma: far ricominciare a pagare la Triremi agli ecclesiastici di Carpegna e di San Marino, equivale ad affermare su quei luoghi la sovranità della Santa Sede. Come può Roma non ascoltarli di fronte alla minaccia incombente degli Asburgo che già si sentono padroni della vicinissima Toscana (dove si vanno estinguendo i Medici) e vantano
da sempre diritti sul Montefeltro, un tempo feudo imperiale?

Sul Titano si continua a sostenere che mai gli ecclesiastici di San Marino hanno soggiaciuto a consimile pagamento, né tampoco mai richiesti da tesorieri passati, e con giustissimo motivo essentati sempre in vigore del Breve di Paolo III. La Triremi, a detta dei sammarinesi, fu imposta da Sisto V sui luoghi dello Stato mediato e immediato della Santa Sede, specificando detti luoghi: quelli di Parma, Piacenza, Urbino, Modena, Reggio e loro territori. San Marino non c’è. È vero che nell’elenco c’è il ducato d’Urbino. Ma il ducato d’Urbino è altra cosa. La Repubblica di San Marino è da sempre un’entità politica a sé stante. Non essendo stata citata nella Bolla di Sisto V, si deve ritenere esclusa.

Per i canonici la Repubblica di San Marino è soggetta alla Triremi in quanto fa parte della diocesi del Montefeltro, la quale faceva parte del ducato d’Urbino, passato al dominio diretto della Santa Sede per devoluzione nel 1631. Infatti gli ecclesiastici sammarinesi hanno pagato regolarmente la Triremi fin dalla introduzione. L’hanno pagata regolarmente fino al 1680.

Da San Marino non si nega che nel 1680 all’interno di una assemblea del clero feretrano sia stato deciso di esonerare dal pagamento della Triremi gli ecclesiastici di alcuni luoghi: gli ecclesiastici dei luoghi ‘baronali’. Appunto quelli dei luoghi baronali. San Marino non è luogo baronale, è una repubblica. Nelle contee di Carpegna, luoghi baronali, la sospensione della Triremi avvenne appunto nel 1680. Di San Marino nemmeno si parlò in quella occasione, perché San Marino non è luogo baronale e soprattutto perché i suoi ecclesiastici già non la pagavano. Insomma non c’era alcun motivo per parlarne.

I documenti che potrebbero attestare che gli ecclesiastici sammarinesi hanno pagato la Triremi fino al 1680, non è facile reperirli. Nei libri contabili della diocesi, anteriormente al 1680, ogni introito proveniente da soggetti ecclesiastici figura sotto la voce: Tassa Antica da esigersi dai Beni Ecclesiastici di Monte Feltro in pagamento di Galere, e Spoglie.
Accanto al nome del contribuente è riportato l’ammontare complessivo delle due contribuzioni, non quanto versato specificatamente per l’una e per l’altra. I sammarinesi sostengono che ogni importo segnato nei registri, relativamente al loro territorio, è stato versato per le Spoglie e solo per le Spoglie.

I canonici per arrivare al fondo della questione avrebbero bisogno di sbirciare nei libri contabili dei singoli enti ecclesiastici sammarinesi, conservati presso gli enti stessi: parrocchie, confraternite, conventi, eccetera. Non li trovano. Sono stati fatti sparire dai governanti sammarinesi. Chiunque si presenti in Repubblica proveniente da Pennabilli comincia ad essere guardato con sospetto ed impedito nei movimenti. Pure al vescovo pro tempore in visita pastorale si mettono dei paletti. Si comincia a controllare da vicino anche i sammarinesi, ecclesiastici o no, che hanno
rapporti frequenti con Pennabilli.

 

Roma ascolta i canonici

I canonici, non trovando prove materiali dei pagamenti della Triremi effettuati in Repubblica prima del 1680, ripiegano sulle testimonianze.
La migliore delle testimonianze sarebbe quella del vescovo che ha presieduto la Congregazione del 1680, da cui è derivata la sospensione del pagamento della Triremi a Carpegna e a San Marino. I canonici, messa da parte ogni remora, scrivono a Belluzzi: Gli scrupoli della coscienza uniti a quelli da Sig.ri Procuratori del Clero ci anno indotti à prendere l’impegno di una lite ne tribunali di Roma contro il Clero di San Marino, perche ricusa contribuire la sua rata per il sussidio delle galere Pontificie, per il buon esito della qual causa ci convien provare in giudizio i pagamenti di detto sussidio fatti per l’addietro dal Clero suddetto, mentre ci vengono negati con affronto manifesto della verità. E giacchè non abbiam dubbio che V.S. Ill.ma non conservi memoria, che furono sospesi tali pagamenti in una congregazione fatta in questa Cattedrale nell’anno ottantesimo incirca del secolo scorso alla sua presenza …., lo pregano, appunto, di ricostruire i fatti.

Loro, i canonici, nel 1680 accettarono che venissero esentati dalla Triremi anche gli ecclesiastici sammarinesi, solo per rispetto al loro vescovo, visto che il loro vescovo lo desiderava tanto. Lo fecero solo perché sapevano quanto quello sgravio della patria al loro vescovo stesse a cuore. Lo fecero solo per la venerazione – dicono testualmente –
dovuta à Lei patrizio di quella Repubblica. Ora chiedono a mons. Belluzzi un piccolo segno di riconoscimento per quel loro comportamento: che li aiuti a ricostruire i fatti. La verità dei fatti. Non occorre che il vescovo si disturbi a sottoscrivere un attestato giuridico. Basta un suo scritto, una semplice lettera: una lettera ostensibile in cui V.S. Ill.ma asserisca che il clero di S. Marino già pagava la sua rata del sussidio delle galere Pontificie, e che, in quella circostanza, ne fu sospeso il pagamento. Il pagamento fu sospeso per merito suo. Esclusivamente per merito suo. Merito di cui gli ecclesiastici sammarinesi e tutti i sammarinesi gli dovrebbero essere grati. Perché non ricordarlo? Perché dovrebbe rinunciare a vantarsene? I canonici, insomma, pungolano Belluzzi a pavoneggiarsi di quel successo di fronte ai suoi concittadini.

Belluzzi risponde ai canonici che, sì, ricorda che fu riunita una Congregazione nella quale fu dibattuto, se doveva osservarsi la Tassa o vecchia, o la nuova, e con tal’occasione – precisa – soviene anche à me, che si fosse discorso del pagamento delle Galere toccante Carpegna, Scavolino, e San Marino. Quanto al resto meglio chiedere a coloro che erano presenti e, fra i presenti, a quelli direttamente interessati alla vicenda. A cominciare – questo è il suo consiglio – dai più interessati di tutti, cioè, appunto, gli ecclesiastici sammarinesi.

Se non si vuol chiedere ai quei testimoni diretti, cioè agli ecclesiastici sammarinesi, dice Belluzzi, non rimane che cercare qualche riscontro oggettivo. Ad esempio la risoluzione della medesima Congregazione. Già, quella risoluzione da qualche parte c’è. C’è sicuramente. Non può non esserci. Suggerisce dei posti dove cercare: può credersi registrata ò nelle scritture del Capitolo, ò nelle Filze della Cancelleria Vescovile. Suggerisce di andare a leggere i libri, e rendiconti … degli Esattori. Insomma indica posti e documenti che i canonici sono corsi a ispezionare quello stesso giorno che Belluzzi ha svoltato l’angolo per imboccare la strada per Camerino.

Il 17 giugno 1717 il ricorso presentato dai canonici a Roma contro la sentenza del 1712 viene respinto.

 

Sconfitta dei sammarinesi, poi accordo

Il 4 aprile 1718 un nuovo cardinale tesoriere riapre il caso sentenziando a favore dei canonici. Forse i canonici sono riusciti a produrre qualche prova? Al più qualche testimonianza (attestatio) del tipo di quella di P. Petri Valerij Martelli Ordinis S. Agostini il quale prima dell’assunzione degli ordini era stato Prior Sodalitij Sanctissimae
Annuntiatae in Terra Vallis Dragonis
e, in tale veste, dichiarò aveva pagato Taxam pro Triremibus, appunto per la suddetta confraternita.

I sammarinesi ricorrono contro la sentenza del 4 aprile 1718.
Si ricomincia. Nel gennaio del 1720 la causa viene discussa, ma non si arriva a sentenza: viene rimandata. C’è chi – anche da Roma – consiglia un accomodamento dato che le cose si sono già messe in modo che la Repubblica non vien punto pregiudicata e andando avanti non può sapersi l’esito oltre la grandezza della spesa.

Tuttavia i sammarinesi mandano avanti la causa. Per i sammarinesi nell’ottobre del 1720 viene presentata una lunga memoria stampata. Ma poi entro il gennaio del 1721 le due parti giungono ad un accordo su cui si esprimono, favorevolmente, i rappresentanti di tutto il mondo ecclesiastico sammarinese. A detta del vescovo Martorelli è un buon accordo per la Repubblica.
Benché la Repubblica non avesse alcun particolare interesse in quel negozio con tutto ciò ridonda questo accordo in molto vantaggio della medesima restando così sempre più assicurata la di lei libertà e indipendenza.

L’accordo fra i canonici e gli ecclesiastici sammarinesi che pone, o dovrebbe, porre fine alla vicenda della Triremi, è raggiunto qualche mese prima della morte di Clemente XI, avvenuta il 19 marzo 1721. Evidentemente nessuna delle due parti era certa di poter conseguire un risultato pieno, andando a sentenza, con una nuova amministrazione.

La questione della Triremi riaffiorerà di quando in quando anche successivamente fino ad esplodere nuovamente con l’arrivo in diocesi di mons. Giovanni Crisostomo Calvi. Ma ormai non è che un piccolo rivolo della fiumana che sta per abbattersi sul Titano con la vicenda alberoniana che si risolverà, anch’essa, in modo assai diverso da
quanto auspicato negli ambienti pennesi.

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