Camerata del Titano: La Sfera Armoniosa, Rassegna musicale d’autunno

Camerata del Titano: La Sfera Armoniosa, Rassegna musicale d’autunno

Sin dal Rinascimento ogni importante avvenimento (banchetti per ambascerie, visite di regnanti stranieri, firme di trattati di pace internazionali) era contrassegnato e reso ancora più illustre e clamoroso dall’intervento della musica. Particolarmente fastosa era poi la cornice musicale e teatrale nel caso di matrimoni che siglavano alleanze politiche e/o economiche tra famiglie altolocate. Esempi illustri se ne hanno, per citarne solo alcuni, con il Ballet comique de la Reyne voluto da Caterina dei Medici al Palais Bourbon (Parigi 1581), modello preclaro del ballet de cour francese ma di concepimento italiano (Baldassarre di Belgioioso), gli intermedi fiorentini per La Pellegrina di Girolamo Bargagli (Firenze 1589) per il matrimonio di Cristina di Lorena con Ferdinando dei Medici che videro insieme all’anziano Marenzio tutti i giovani cameratisti di famiglia Bardi e financo l’Euridice di Jacopo Peri su testo di Rinuccini rappresentata a Firenze (Palazzo Pitti, ottobre 1600) in occasione delle serenissime nozze nientemeno che di Maria dei Medici con Enrico IV di Borbone, Re di Francia. Al medesimo filone di spettacoli conviviali appartiene la Sfera armoniosa di Quagliati, esempio meno illustre, ma non meno significativo di un genere tanto importante per la nascita e lo sviluppo del melodramma.

Da Chioggia, dove era nato intorno al 1555 forse da nobile famiglia, il non ancora ventenne Paolo Quagliati si trasferisce definitivamente a Roma, assumendone dal 1594 la cittadinanza. Nella città pontificia il musicista, il cui ruolo storico è quello di aver trapiantato a Roma, unitamente ad Emilio de’ Cavalieri, lo stile recitativo fiorentino, ma anche di averlo sviluppato nella direzione di uno stile concertato a più voci e con strumenti, si inserisce soprattutto come organista: non solo suona l’organo in speciali occasioni in S. Pietro e all’oratorio del Crocefisso, nonché in palazzi nobiliari in occasione di feste, ma ricopre l’incarico di organista dal 1601 e sino al 1618 nella basilica di S. Maria Maggiore, lavorando nel contempo per alcune famiglie nobili romane e per la Chiesa come musicista e amministratore: tra il 1605 ed il 1608 è al servizio del cardinale Odoardo Farnese, cui dedica un volume di Madrigali.

Fra i suoi allievi G. B. Doni e Pietro Della Valle, autore tra l’altro del testo del Carro di fedeltà d’amore con il quale Quagliati ci ha lasciato il primo esempio romano di un carro carnascialesco, ovvero uno spettacolo itinerante per le strade cittadine eseguito con maschere su un carro decorato e trainato da buoi, in occasione del carnevale del 1606, una delle prime azioni in musica ambulanti rappresentate a Roma. Sul carro 5 cantori raffiguranti Amore, Apollo, Arione, Orfeo e la Fama si presentano cantando in lode dell’Amore accompagnati da cinque strumentisti (la pubblicazione del Carro contiene altre arie a 1, 2 e 3 voci).

Notizie ed apprezzamenti su Quagliati li apprendiamo dallo stesso Della Valle che nel suo Discorso della Musica dell’età nostra, che non è punto inferiore anzi è migliore di quella dell’età passata (Roma, 1640) ripubblicato da G. B. Doni nel secondo tomo della sua Lyra Barberina (Firenze, 1763) scrive: “In Roma il primo che mise in uso questo cantare sensato e con grazia fu l’ultimo mio maestro di cembalo Paolo Quagliati, imitato poi subito e felicemente dal Tarditi e da altri che oggi ancora fioriscono e che alle grazie messe in uso da lui, con diverse e replicate esperienze, raffinato il giudizio, hanno saputo aggiunger grazie e bellezze maggiori. E se degli artifizi nelle loro composizioni sono più scarsi, non è questo in loro ignoranza o mancamento di arte, ma perfezione di giudizio, volendo usarli solo quanto e quando vanno a proposito: in che senza dubbio di gran lunga avanzano i compositori che hanno scritto innanzi a loro….. Le stesse opere recitative da me di sopra lodate, oltre delle monodie o cose cantate da una voce sola, sono state piene di concertini a due, a tre e a quattro e bene spesso anche di cori a più voci e fin di turbe numerose di più cori: e il Quagliati in Roma, questo buon costume che io dico, nella musica l’introdusse principalmente nelle Chiese, dove bene spesso faceva cantar le Messe e Vespri a più cori, non che da più voci insieme, come ne abbiamo saggio in molti suoi Mottetti stampati che vanno in volta.

E nella musica del mio Carro (di fedeltà d’amore ndr) composta dal medesimo Quagliati in camera mia, la maggior parte, secondo che vedeva a me dar gusto, con la quale uscii in maschera il carnevale dell’anno 1606 e fu una delle prime azioni, per dir così, rappresentate in musica che in Roma si siano sentite, benché non v’intervenissero più che cinque voci e cinque istrumenti, quanto appunto in un carro camminante potevano aver luogo. Non già per questo si cantò sempre ad una voce sola, ma cantavano i personaggi ora soli a vicenda, ora a due, ora a tre e poi nel fine a cinque, che fece buonissimo effetto. E la Musica di quel canto, come si può vedere nei volumi che ne vanno attorno stampati, ancorché fisse la maggior parte in modo di rappresentare, non era tuttavia di quello stile recitativo semplice e troppo triviale che usano alcuni e che suol presto venire in fastidio agli uditori, ma ornata e piena di leggiadrie con vaghezza, nondimeno che da sollevato e manieroso modo di rappresentare punto non si allontanava. Onde piacque estremamente, e bene si vide, per lo concorso di quasi tutta la Città che si tirava dietro e non solo non infastidì giammai gli ascoltanti, ma gran parte di loro vollero sentirla quattro o sei volte e tali ve ne furono che la seguitarono sempre in tutti i dieci o dodici luoghi, dove si cantò, dalle ventidue ore in sin passata la mezzanotte, che si andò in volta.”

Nel lascito musicale di Quagliati figurano altresì numerose raccolte di Mottetti a più voci (da 2 a 8), ricercari e canzoni strumentali ricordati anche dal polifonista reatino Ottavio Pitoni (Notitia de’ contrappuntisti e compositori di musica, 1725) che riferisce come Quagliati “fu al servizio del detto pontefice (Gregorio XV) in sin che visse e come uomo di merito fu onorato e premiato da detto pontefice.” Della stima da lui goduta è testimonianza poi Il Giardino musicale (1621), un’antologia a lui dedicata di canti e duetti di otto compositori romani, tra cui Frescobaldi. Una sua Toccata per tastiera inoltre figura tra gli esempi del Transilvano (1593), trattato per tastiera di Girolamo Diruta.

Gli ultimi anni della sua vita Paolo Quagliati fu al servizio della famiglia Ludovisi e del cardinale Alessandro che, divenuto papa nel 1621 col nome di Gregorio XV, lo nominerà Protonotaro apostolico e suo Ciambellano segreto. Il musicista fu del resto in ottima compagnia al servizio dei Ludovisi: in quel primo scorcio del Seicento, infatti, gravitarono a palazzo Ludovisi musicisti come il cantore, compositore e didatta Stefano Landi (che nel 1632 inaugurò col S. Alessio il Teatro di Palazzo Barberini), lo spoletino Loreto Vittori, famoso evirato cantore ed autore della Galatea, ma anche celebri cantanti come il soprano e liutista Vittoria Archilei detta “la Romanina”, per molti anni al servizio di Ferdinando dei Medici (prese parte tra l’altro agli Intermedi fiorentini de La Pellegrina del 1589) che nel 1602 (1 febbraio) nel Casino dei Ludovisi, poi detto dell’Aurora, cantò per voce sola accompagnata da strumenti solisti dinanzi al Cardinal Del Monte e ad altri porporati, come si legge in una lettera di Emilio de’ Cavalieri che commenta anche la straordinaria acustica della sala. Per lei scrissero Marenzio, Cavalieri, il marito Antonio Archilei e forse anche Peri e Caccini. Tra i poeti che ruotarono nella cerchia dei Ludovisi Domenico Benigni, Antonio Bruni ed il marinista e petrarchista Francesco Balducci; a Niccolò Ludovisi dedicò Poesie anche Girolamo Preti (Napoli 1630). Per non parlare poi di librettisti come Francesco Balducci (1579-1642), Ottavio Tronsarelli, Flavio Orsini duca di Bracciano (1620-1698).

Quagliati morirà nel 1628 nel Palazzo della Cancelleria e sarà sepolto con decreto capitolare in S. Maria Maggiore.

Cinque anni prima della sua morte era stata pubblicata, con un suo ritratto inciso da Ottavio Maria Leoni, la Sfera armoniosa fatta stampare nel 1623 da Paolo Tarditi a Roma dall’editore G.B. Robletti. La partitura, conservata alla Sächsische Landesbibliothek di Dresda, andò probabilmente distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, ma se ne salvarono copie redatte da Einstein nel 1907 e dal curatore della detta biblioteca tedesca Arno Reichert (oggi alla Librery of Congress). Più recentemente (1957) ne curarono un’edizione Vernon Gotwals e Philip Keppler per gli Archives dello Smith College di Northampton (Massachussets).

Si trattò del dono di nozze per Nicolò Ludovisi, nipote di Gregorio XV, ed Isabella Gesualdo, nipote e unica erede di Carlo Gesualdo principe di Venosa e Maria d’Avalos, sposatisi con dispensa papale a Caserta per procura (aprile 1622) e poi nella Cappella Sistina (novembre 1622). Gli sposi avevano rispettivamente 12 ed 11 anni. Il matrimonio si concluse drammaticamente nel 1628 con la prematura morte della sposa. Apprendiamo ragioni e vicende di questo matrimonio dagli storiografi: “Le ipotesi di un matrimonio del Ludovisi apparvero presto un punto qualificante delle strategie di affermazione della nuova famiglia papale insediatasi a Roma- Lle trattative furono avviate con la famiglia Gesualdo, principi di Venosa. Isabella Gesualdo, infatti, a soli dieci anni di età era una delle eredi più ricche d’ Italia, con entrate stimate in più di 40.000 scudi all’anno. I negoziati furono lunghi e difficili, con intensi contatti diplomatici fra Roma, Napoli e Madrid. Fu superata l’ opposizione di un ramo della famiglia Gesualdo che avrebbe potuto legittimamente subentrare nella linea di discendenza maschile e fu guadagnata l’esplicita approvazione da parte del Re di Spagna Filippo IV. Infine, giunta l’11 aprile 1622 la dispensa per l’età dei due fanciulli (12 anni Niccolò, 11 anni Isabella), il 24 aprile furono firmati gli accordi matrimoniali. Il 18 maggio il nunzio Giovanni Battista Pamphili (futuro papa Innocenzo X) officiò il rito nuziale a Caserta, dove il Ludovisi fu rappresentato per procuratorem. La sposa fece il suo ingresso a Roma solo la sera del 23 novembre, accompagnata dalle principali dame dell’aristocrazia romana. Seguì una cerimonia solenne nella Cappella Sistina il 30 novembre 1622. La coppia ebbe una sola figlia, Lavinia, nata nel 1628. L’anno seguente Isabella morì, all’ età di 18 anni, e il Ludovisi ottenne l’investitura del principato di Venosa per sé, i suoi eredi e i successori.”

Del principesco matrimonio si ha traccia anche nelle molte poesie d’occasione dedicate ai giovani sposi e raccolte da Venceslao Agricola (Nelle nozze di Nicolò Ludovisi e di Isabella Gesualdo, pubblicate in Roma nel 1622 da Alessandro Zannetti), nonché nella raccolta curata da Giovanni Luigi Valesio (“Nelle felicissime nozze ecc…”) pubblicata dagli Impressori Camerali della Rev. Camera Apostolica nel 1622 comprendente componimenti poetici di vari autori.

La Sfera armoniosa si compone di 25 numeri (17 ad una e 8 a due voci) tra cui il Ballo delle Stelle (n.3), 4 Arie strofiche (1-4-8-9), 5 villanelle (10-12-13-18-19) e 15 madrigali (2-5-6-7- 11-14-15-16-17-20-21 preceduta da una Toccata strumentale-22-23-24-25), di cui ben 9 con la innovativa introduzione di un violino concertante. I testi sono per lo più di Battista Guarini (6-11 -14- 15-21-24) e derivano dalla sua raccolta di Madrigali: Come cantar n. 43, Felice chi vi mira n. 69, Oggi nacqui n.18, O come dolce mentre il n.15 O primavera deriva dalla favola pastorale del Pastor fido (Mirtillo: atto III,1 vv.1-14), tre (5-17-18) del bolognese Girolamo Preti (1582 – Barcellona 1626) cortigiano di me stiere, paggio alla corte di Alfonso II di Ferrara, maestro di camera del cardinale Pio di Savoia, istitu tore del principe di Venosa, al servizio del cardinale Ludovico Ludovisi, poi maestro di camera di Antonio Barberini e gentiluomo del cardinale France sco Barberini. Le sue Poesie, pubblicate a Venezia nel 1614, furono più volte ri stampate (Roma 1625), riscuoten do grande successo pressi i contemporanei. Considerato da F. Croce poeta “marinista conservatore”, scrisse Poesie all’Ill.mo et ecc.mo sig.re Nicolò Ludovisi principe di Venosa etc. (Napoli e Messina 1630). Fu considerato dai contemporanei “il più candido poeta lirico del tempo”(Crasso), “simulacro della candidezza e dell’ amabilità”, dotato di “rara schiettezza di costumi dolcissimi e amabilissimi”, mentre Marino ne loda lo “spirito delicatissimo”. Sulle orme del Marino fu considerato con La Salmace il fondatore dell’idillio barocco e partecipò alla polemica sulla superiorità della Gerusalemme liberata sull’Adone del Marino.

Più massiccia invece, come detto, la presenza del ferrarese Guarini, morto a Venezia nel 1612, dal 1567 al servizio del duca Alfonso II d’Este e concittadino di Luzzaschi e del celebre Concerto delle Dame ferraresi. Più che le sue Rime, qui rappresentate, era il suo dramma pastorale Il Pastor fido (1589), con la sua mescolanza di tragico e comico, ad aver ricevuto l’attenzione dei contemporanei seppur non senza polemiche letterarie. La fortuna in musica dei suoi versi ne fa un precursore del gusto barocco e della poetica pastorale che sfocerà nell’Arcadia.

La musica è interamente composta da Paolo Quagliati (ma alcuni numeri sono rifacimenti per lo più in stile concertato di Madrigali del I libro dello stesso Quagliati pubblicato nel 1608 e più precisamente N. 20 O bellezza gentile dal 19, N. 23 Questo è l’esempio dal 14, N. 24 Oggi nacqui dal 10 e N.14 Come cantar poss’io dall’8) salvo due villanelle (18 e 19) di Stefano Landi, altro compositore della cerchia dei Ludovisi cui spettò dieci anni dopo l’onore di inaugurare con il S. Alessio il Teatro Barberini.

A fare esplicito riferimento al matrimonio del 1622 sono i quattro numeri iniziali culminanti nell’Aria La Nave felice in cui si allude al viaggio per mare della sposa da Napoli a Roma ed il madrigale finale Or lieto Imeneo. Nonostante gli auguri festosi la sorte dei giovani sposi che, come d’uso, non si erano conosciuti prima della cerimonia romana (“Ed a coppia sì bella/ doni propizia stella/ lunga e felice vita e cara prole, /che il mondo tutto illustri al par del Sole”), fu infausta. Il loro nome resterà tuttavia legato alle vicende ereditarie dei Gesualdo, ma soprattutto ad una rarità musicale che ha atteso quasi 400 anni per essere riportata alla luce.

L’opera partecipa del clima neoplatonico delle accademie italiane dell’epoca, ma anche della “seconda prattica” (lo stile moderno) abbandonando, come capita in Monteverdi, Caccini, Peri, Vincenzo Galilei o Cavalieri, il contrappunto polifonico rinascimentale (la “prima prattica” o stile antico). Al nuovo stile pertengono nuovi procedimenti di scrittura con la monodia accompagnata da una successione di accordi ed un ritmo che nasce dalla parola stessa. La parola viene valorizzata ( “l’armonia serva dell’orazione” secondo il precetto monteverdiano) al fine di esprimere sentimenti e passioni umane (gli “affetti”). Ed un matrimonio era una occasione ideale per metterli in mostra.

 

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