Da ‘Il Punto’: FORUM OSLA: ITALIA SI, ITALIA NO?

Da ‘Il Punto’: FORUM OSLA: ITALIA SI, ITALIA NO?

C’è chi di fare le valigie proprio non ne vuole sapere e chi, al contrario, guarda al suo futuro oltre confine. La redazione de “il Punto” ha incontrato tre protagonisti del mondo economico sammarinese alle prese con la famigerata “lista nera”. Sono diversi i punti di vista del commercialista Danilo Dolcini e degli imprenditori Ambra Ceccoli (Silfor) e Jader Tosi (l’Antincendio sammarinese), perché diversi sono i problemi e le soluzioni messe in atto per superare gli ostacoli del decreto incentivi. Identico è, invece, l’interrogativo che pongono a chi, in questo momento, è chiamato a rispondere al Paese per trovare al più presto una via di fuga dalla black list.

– Chi rappresentate?

Ambra Ceccoli: Silfor, azienda sul mercato da 35 anni che produce materiali per l’edilizia. 37 dipendenti a libro paga, più 30 esterni. I sammarinesi sono una ventina.

Jader Tosi: L’Antincendio Sammarinese, 20 anni di esperienza nel settore del servizio alle imprese. Ci occupiamo del comparto sicurezza, offriamo dispositivi di protezione individuali e professionali. 14 persone, di cui 8 sammarinesi e residenti.

Danilo Dolcini: Dottore commercialista e revisore contabile.

– Quali rapporti avete con le istituzioni e il mercato italiano?

Ceccoli: Silfor è stata una delle prime aziende, in tutta l’Emilia-Romagna, certificata dal ministero italiano delle Infrastrutture e dei Lavori pubblici. Si tratta di una certificazione necessaria per i collaudi e per la tracciabilità dei materiali, senza non si può lavorare in Italia. I nostri ocmpetitor italiani sono allo stesso tempo clienti, acquistano materiali che poi rivendono.

Tosi: Siamo membri a livello nazionale italiano delle principali associazioni dei settori di cui ci occupiamo, Ucct, Unione costruttori chiusure tecniche, e Anima, Federazione delle associazioni nazionali dell’industria meccanica varia e affine. Questo ci permette di misurarci con il mercato, gli enti, le normative italiane ed europee.

Dolcini: Dal 1° luglio, e anche prima, molti clienti mi stanno interrogando su come affrontare la black list, se aprire una società in Italia e in che modo.

– Gli effetti del Decreto incentivi: dal 1° luglio cosa è cambiato per le aziende sammarinesi?

Ceccoli: Siamo nella black list europea da anni, non è una notizia arrivata dall’oggi al domani. L’effetto più immediato è farci vedere qual è effettivamente il mercato, perché purtroppo le aziende sammarinesi più in difficoltà sono quelle serie, che lavorano nel reale.
Tosi: Il decreto incentivi ha posto in essere una procedura che impone al nostro cliente una comunicazione all’Agenzia delle entrate.
Ciò non è un problema per la clientela italiana di una certa rilevanza.
E’ la microclientela a risentirne di più, come i piccoli esercizi commerciali. Questa fetta è quindi da salvaguardare. Come? Diventando una stabile organizzazione, di fatto un soggetto fiscale italiano.

Dolcini: Aprire una stabile organizzazione in Italia è la soluzione che va per la maggiore. Temo però che qualsiasi soluzione tecnica si adotti, non possa dirsi definitiva perché l’Italia potrebbe comunque ricorrere a nuove procedure per colpire il nostro sistema. Credo che il problema non sia a livello tecnico quanto esclusivamente politico.

-E per le vostre in particolare?

Ceccoli: La clientela non sammarinese rappresenta circa l’80% della nostra attività, appartiene per lo più al settore pubblico e quindi la segnalazione al fisco non rappresenta un vero problema. Le difficoltà le registriamo con i fornitori, per le merci in entrata. Le materie prime che trattiamo, come l’acciaio, sono costosissime, per cui le aziende come le nostre, prima della black list, avevano comunque delle assicurazioni, anche sul fronte bancario, che garantivano crediti. Oggi i fornitori temono di non avere più queste garanzie sui pagamenti e che, in caso di insolvenze, sia più complicato recuperare il credito. Per superare queste paure dobbiamo sempre pagare in contanti.

Tosi: Il mercato sammarinese è una fetta rilevante del nostro business e, anche se registra una contrazione dovuta alla crisi generale, non dovrebbe presentare problemi. Anche i Comuni e le grandi strutture d’oltre confine non hanno particolari difficoltà a collaborare con San Marino. Diversamente, per la microclientela la segnalazione all’Agenzia delle entrate è un forte deterrente.

– Italia sì, Italia no? Quali i vantaggi per restare a San Marino?

Ceccoli: Non intendo aprire un’azienda in Italia. Se mi si complica la vita, non posso che chiudere i battenti. Infatti, aprire una stabile organizzazione ha dei costi che, come azienda, non sono in grado di sostenere. Per esempio, se facessi passare tutte le fatturazioni in Italia, dovrei assumere qualcuno per gestire la contabilità e andrei fuori bilancio.

Tosi: Dal 6 luglio scorso ho partita Iva italiana. “L’Antincendio sammarinese stabile organizzazione” è una scelta a scadenza perché il momento impone una soluzione immediata. I vantaggi del fare impresa a San Marino ci sono stati, ma oggi si sono persi perché anche le aziende serie sono assimilate a quelle truffaldine. Dopo 20 anni di presenza sul territorio, ci troviamo a dover difendere con grandi difficoltà ciò che abbiamo creato. Chi invece ci ha trascinato nel fango gode ancora di privilegi e protezioni che aziende serie non hanno.

Dolcini: Le soluzioni per le società sammarinesi che guardano all’Italia sono quella di aprire una stabile organizzazione, temporaneamente, o di avviare in via definitiva una società italiana che paghi interamente le tasse all’estero, ma ciò non porterebbe alcun beneficio al nostro Paese. E’ all’esame anche la praticabilità di creare dei consorzi di imprese. Tutto è comunque ancora in fase di studio, e non esiste una soluzione-stampo, perché ogni azienda ha proprie caratteristiche.

– Di chi sono le responsabilità?

Ceccoli: Siamo stati “legnati” dall’Italia come conseguenza dell’operato dei nostri governi. Lo Stato italiano però non vuole le nostre tasse, né la nostra sovranità. Anche perché le aziende sammarinesi gli rendono un sacco di soldi e danno lavoro a oltre 6 mila frontalieri. Si chiede invece che San Marino apra a determinate richieste: basta con le frodi e con l’evasione degli italiani che sfruttano il nostro Paese. Ci sono poi responsabilità più attuali della politica nei confronti delle aziende. In un momento critico come questo c’è totale mancanza di dialogo con i nostri riferimenti politici, è evidente che il governo e la classe dirigente brancolino nel buio.
Tosi: L’Italia vuole trasformarci in un protettorato. E’ sempre più lampante che nell’atteggiamento del ministro Giulio Tremonti ci siano altri obiettivi, oltre al recupero fiscale. E a combattere con tutto ciò abbiamo la nostra classe politica, scarsa e inadeguata. Ma le responsabilità ricadono anche sui sammarinesi in toto, supini a ogni malgoverno presente e passato. Forse si sveglieranno quando sarà troppo tardi.

Dolcini: L’indotto di mercato che da San Marino si è riversato sulle zone limitrofe è sempre stato più alto del gettito che l’Italia potrà recuperare con le attuali manovre fiscali. Perciò lo scopo del decreto incentivi e, più in generale, dell’accanimento dell’Italia non credo sia la ricchezza del recupero fiscale. E’ vero, per decenni San Marino non ha respinto il capitale italiano che si è riversato nelle nostre banche, anzi ne ha fatto uno dei suoi punti di forza. Ma questo sistema non è mai stato osteggiato dalle autorità italiane che hanno sempre riconosciuto la sovranità sammarinese e ciò ha permesso un differenziale fiscale elevato, un segreto bancario solido e una redditività degli interessi bancari sammarinesi che oltre confine si sono sempre sognati. Tuttavia improvvisamente non siamo più quel Paese simpatico dove non si pagano le tasse, ma un covo di farabutti che si nascondono nel proprio paradiso fiscale. Sono i nostri vicini di casa che dovrebbero interrogarsi piuttosto sul perché il loro Paese sia un inferno fiscale. Tutt’altro discorso vale per le frodi carosello e il capitale frutto di attività criminose in genere: questo è il capitale che non vogliamo.

– Esiste una via d’uscita per il mondo imprenditoriale dai problemi relazionali con l’Italia?

Ceccoli: Dobbiamo cambiare mentalità. Le frodi carosello, per esempio, sono un fenomeno iniziato una vita fa, si parla di miliardi di euro di evasione Iva. Se l’Italia vuole che San Marino non sia più complice, allora cominciamo a fare chiarezza, passiamo dalla monofase all’Iva.

Tosi: Non si può trovare una soluzione prima di identificare qual è il problema. Nessuno sa dirlo con certezza, tranne chi frequenta Roma più spesso di noi. Non so nemmeno dire se ci sarà un domani per le nostre aziende, perché bisognerà fare i conti con un mercato sammarinese che potrebbe privilegiare un mercato fittizio a quello reale. Una soluzione possibile è passare da subito al sistema Iva.
Dolcini: A questo punto una svolta determinante può esserci solo con l’accordo sulle doppie imposizioni, se il suo contenuto tutelerà San Marino. Diversamente, rappresenterà la mazzata finale. Deve essere messo nero su bianco, una volta per tutte, che le nostre aziende debbano pagare le tasse all’Ufficio tributario sammarinese e non al fisco italiano. Senza un adeguato accordo affonderemo nella palude.

– Avete una domanda per i rappresentanti delle istituzioni?

Ceccoli, Tosi, Dolcini: Le aziende se ne stanno andando, come pensate di pagare gli stipendi degli oltre 6 mila dipendenti pubblici?

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