Emilia, le mani della mafia. Lirio Abbate, L’Espresso

Emilia, le mani della mafia. Lirio Abbate, L’Espresso

L’Espresso

Emilia, le mani della mafia

di Lirio Abbate

Da Piacenza a Rimini, da Parma a Ravenna, la criminalità organizzata sta conquistando anche questa storica ‘regione rossa’. Attraverso una rete di politici, imprenditori, professionisti. Che rispondono ai clan e alle ‘ndrine

“Amici e parenti dei padrini dei Casalesi si sono stabiliti da tempo a Bologna. E la ‘Ndrangheta ha messo le basi a Reggio”

Si sono insediati e infiltrati. Con calma, lentamente, in poco più di un decennio hanno fatto dell’Emilia Romagna l’ultima terra di conquista. Qui le mafie non hanno usato le armi, anzi hanno evitato delitti clamorosi: si sono radicate nel territorio grazie ai soldi, senza bisogno di sparare. L’immagine choc del revolver sul piatto di tagliatelle è lontana dalla realtà: i boss si sono infilati tra la via Emilia e il West sfruttando la crisi di un tessuto economico fatto di coop e piccole imprese mettendo sul tavolo quattrini e collusioni.

Così nella nebbia padana hanno creato una zona grigia dove si incontrano professionisti bolognesi e capi siciliani, politici parmensi e padrini casalesi, medici romagnoli e killer calabresi, imprenditori modenesi e sicari campani: uniti per corrompere, riciclare, investire, costruire. Una mano lava l’altra, in un circuito che diventa sempre più ricco, sempre più sporco ed irresistibile. Eppure tantissimi negano l’evidenza o la minimizzano: “La mafia qui non esiste” è uno slogan ripetuto soprattutto da politici e imprenditori, ma che nasce anche da una cultura dell’onestà che non riesce ad accettare il contagio criminale. C’è chi non vuole vedere, per interesse o calcolo. Ma tanti non riescono ad aprire gli occhi, con casi clamorosi di prefetti che ignorano la realtà e persino di magistrati che respingono nelle sentenze l’ipotesi di un radicamento mafioso in questa terra. Una miopia che regala ai boss l’habitat perfetto per alzare il tiro.
Lo dimostra la vicenda di Paolo Bernini, ex assessore di Parma e consigliere del ministro Lunardi, che discuteva di affari con Pasquale Zagaria, fratello del re dei casalesi: “Non immaginavo chi fosse, mi è sembrato solo un imprenditore”. Bernini è rimasto sulla sua poltrona in municipio nonostante le rivelazioni sulle sue relazioni pericolose: nessuno si è indignato, ma cinque anni dopo è finito in manette mentre intascava tangenti sulle mense degli asili. “Qui le attività illecite delle organizzazioni criminali non creano allarme sociale perché non riflettono il loro “disvalore” direttamente sulla popolazione”, spiega un investigatore della polizia di Stato che conosce bene il territorio, “anche se in realtà sono per certi versi ancor più pericolosi sotto il profilo della “contaminazione” del tessuto sociale”.
E il procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso sintetizza il problema: “Trovo maggiore difficoltà a fare indagini antimafia in Emilia Romagna che a Palermo, Napoli o Reggio Calabria. Qui è più difficile distinguere il buono dal cattivo, perché qui si intrecciano”. E il magistrato, responsabile dell’inchieste sui clan in tutta la regione, fa la diagnosi delle metastasi criminali: “La presenza della camorra e dei casalesi a Bologna, con amici e parenti del padrino Zagaria. La certezza della presenza della ‘ndrangheta, sia lungo il percorso che va da Bologna verso Parma, Reggio Emilia e Piacenza, sia a Bologna stessa, dove abbiamo presenze molto significative e importanti in forte espansione. E poi Cosa nostra, con i catanesi. Insomma, non ci manca nulla”. I narcos calabresi hanno messo le tende fra il capoluogo e Reggio Emilia.
A Bologna, oltre a trascorrere gli arresti domiciliari nella suite del più lussuoso albergo – come faceva Vincenzo Barbieri poi assassinato nel Vibonese – tiravano fuori dal bagagliaio della Maserati “Gran Turismo” sacchi stracolmi di banconote: i banchieri di San Marino venivano a prelevarli in città per trasportarli nei caveau del Titano. O che dire del primario di Imola che con la complicità di infermieri ha certificato il falso facendo evitare la cella ad un boss catanese che doveva scontare l’ergastolo al carcere duro. E poi geometri e ragionieri, uno di questi iscritto al Pd bolognese, al servizio delle cosche per occultare gli investimenti in immobili di pregio. C’è persino un maresciallo delle Fiamme Gialle che con il denaro sporco di un conoscente calabrese voleva finanziare una squadra di calcio a Rimini.
Quando i quattrini non bastano a garantire il risultato, si ricorre alla violenza ma dosandola con cura: attentati e intimidazioni si registrano quasi ogni giorno nei cantieri o negli uffici delle imprese ma restano nelle cronache cittadine. Tanto che il presidente di Confindustria Emilia Romagna,

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