Esiliata a San Marino, Carmen Lasorella, Libero

Esiliata a San Marino, Carmen Lasorella, Libero

LIBERO

‘LA RAI MI HA PRIMA UMILIATA E POI ESILIATA A SAN MARINO’

Alessandro Dell’Orto

Carmen Lasorella ci ha raccontato il mondo tutti i giorni, per nove
anni (dal 1986 al 1995) all’ora di pranzo, su Rai2, con competenza e
personalità, ritmo e fascino. Storie belle e vicende drammatiche, Carmen – uno
dei primi volti femminili del telegiornale – è entrata nelle nostre case e ci ha
conquistati, dalla scrivania della redazione ma anche  dai posti più lontani.
Guerre, Africa, interviste, reportage: Lasorella, da inviata, nel 1995 ha
rischiato la vita per  un agguato in Somalia in cui sono morte 10 persone. Dopo
essere stata responsabile della sede Rai di Berlino per 5 anni, nel 2004 è
sparita dal video. Puff. Dal 2008, ora, è direttore generale e di testata della
televisione pubblica di San Marino.

Carmen Lasorella
– anzi direttore Carmen Lasorella – che impresa incontrarla. Appuntamenti,
viaggi, convegni: ha la giornata pienissima.
«Ho da sempre
l’abitudine di lavorare parecchio, anche se negli ultimi due anni il mio lavoro
è un po’ cambiato. Questa mattina ero a San Marino».
Già, spieghiamo
subito. Dal 2008 lei è direttore di San Marino RTV.
«Direttore
generale e di testata della televisione pubblica, al  50 per cento Rai. Un
progetto nato negli anni ’90, che sta avendo un’accelerazione con dei buoni
risultati. Il gruppo di lavoro è giovane e determinato. Ma non è un problema
d’anagrafe, il desiderio di cambiamento ce l’hanno un po’ tutti».
Ma
lei dove vive?
«Faccio la pendolare e mi sposto in auto, viaggio di
tre ore e mezza. Da martedì a venerdì a San Marino, week end a
Roma».
Appare molto in video?
«Pochissimo, per scelta. Al
mio arrivo la situazione era difficile, bacino d’utenza risicato e conto in
rosso. Mi sono dovuta improvvisare manager per sistemare queste situazioni,
capire l’azienda, gestire il personale e i costi».
Ha un contratto a
termine?
«Nessuna scadenza. Sono dipendente Rai, ma come per tutti i
progetti ci sarà una fine. Non rimarrò a San Marino per tutta la vita, ma sta
cominciando ora la fase per la quale ho lavorato due anni».
La gente
che le chiede? Cosa le dice?
«Manco dal video con un programma mio
dal 2004, sei anni. E sono tanti. Eppure – è incredibile -mi riconoscono ancora
tutti. A volte basta la voce».
Beh, fisicamente è sempre in
forma.
«Guardi bene, ho qualche ruga in più. Però me le tengo: mai
fatto nessun ritocco».
È contraria?
«Non ne sento il
bisogno, sto bene così. Ma se altri, grazie a un po’ di botulino, si sentono
meglio, fanno bene a rivolgersi alla chirurgia estetica».
Raccontava
della gente che la incontra. Domanda tipica?
«“Che fine ha fatto?”.
“Perché non ci racconta più cosa accade?”. “Come mai l’hanno emarginata?”. C’è
anche chi si spinge oltre. “Signora Lasorella, doveva essere più pratica e
capire come gira il mondo!”».
E come risponde?
«Basta un
sorriso».
Direttore, la infastidisce sapere che qualcuno, non
vedendola più in video, è convinto che non lavori più?
«Beh, ora ho
mille impegni e tanto lavoro a San Marino. In passato però è stato così. Per un
lungo periodo, dal 2004 al 2008, sono stata  praticamente inutilizzata dalla
Rai, con l’umiliazione di essere pagata senza lavorare. Naturalmente ho fatto
altro».
Cosa?
«Ne ho approfittato per studiare. Ho
scritto. Ma è stata dura».
Approfondiamo. Perché Carmen Lasorella,
brava e famosa, di successo, improvvisamente è stata messa in
disparte?
«Sono accadute molte cose, le solite spartizioni in Rai.
Io ho le mie idee politiche, ma non ero tra gli sponsorizzati, né della destra
né della sinistra, e sono rimasta fuori. C’era un governo di destra in quel
momento…».
Eppure veniva da una trasmissione di successo: “Visite a
domicilio”.
«Era un programma d’inchiesta. Spostavamo lo studio nei
posti più incredibili d’Italia, portando ospiti ovunque anche in situazioni
difficili e affrontando i temi più scottanti. Pochi costi, grandi risultati. Ma
davamo fastidio, dopo un mese e mezzo hanno cercato di farci chiudere. Già
l’orario in cui ci avevano collocati all’inizio era poco felice: alle 12.30. Poi
ci hanno spostati alle 11  e infine addirittura alle 9. La formula troppo libera
spaventava».
Come ha vissuto, poi, l’accantonamento?
«Ero
a disagio, avevo un malessere interiore. Non è facile passare all’improvviso
dall’adrenalina alla noia. All’inizio non ci credevo, poi mi sono resa conto.
Ero in debito d’ossigeno. Malgrado tutto, però, non ho mai pensato di rivolgermi
agli avvocati. Un po’ per orgoglio: ma come, con la mia notorietà avrei dovuto
fare come un qualsiasi precario? Ritenevo che la logica del buon senso avrebbe
sistemato tutto».
Invece?
«La cretina ero io, non avevo
capito che dovevo andare dall’avvocato».
Lo ha fatto?
«È
bastato mandare una lettera. Mi hanno convocata per propormi incarichi vari e
poi ho scelto la direzione di San Marino. Ho detto sì, rinunciando anche un
risarcimento che sarebbe stato importante :  dovevo
lavorare».
Carmen, ma la rivedremo ancora in video?
«Si.
Realizzeremo nuovi format e c’è un vecchio progetto che mi stava già a cuore
anni fa e che sarei lieta di poter finalmente portare in video. Una trasmissione
che avevo proposto in Rai, ma che non è stata neanche esaminata. Si partirà
naturalmente dall’inchiesta, ma con una grande attenzione al
sociale.».
San Marino RTV si vede sul digitale?
«Solo a
livello regionale. Però sul satellite sarà visibile ovunque, grazie alla
piattaforma Sky. E saremo anche su TV SAT».
Perdoni la battuta
scontata, ma per tornare in tv è dovuta andare ancora all’estero…

«Un amico mi ha detto: “Dopo la Prussia, credevo ti mandassero solo
in Siberia!”. In realtà mi sono avvicinata. Nella scelta ho tenuto conto della
famiglia. In passato sono stata egoista, ora ho preso una decisione diversa. Per
stare vicino ai miei genitori, papà Totore (da Salvatore) che ci ha lasciati due
anni fa, e mamma Lillina che vive a Potenza».
Lei è sposata? Ha
figli?
«Quasi. Sono fidanzata da 13 anni. Non ho figli: non avrei
potuto fare la vita che ho fatto».
Parliamo ancora dei suoi genitori.
E facciamo un salto indietro alla piccola Carmen.
«Nasco a Matera il
28 febbraio».
Del 1955, giusto?
«Non si chiede l’età a
una signora!».
Ops, vero.
«Papà è avvocato, mamma
farmacista. Ho un fratello più giovane di nove anni e sono una bambina
terribile, ingestibile».
Un esempio, grazie.
«A due anni
e mezzo sparisco, che ora chissà cosa si penserebbe. Dopo qualche ora mi riporta
a casa una signora, racconta a mamma di avermi trovata su una strada fuori dal
paese e di avermi chiesto dove stavo andando. Risposta: “A
passeggio!”».
Urca, già indipendente. Scuole?
«Liceo
Classico e leggo subito molto, anzi moltissimo: Bocca, Terzani, Hemingway e
tutti i libri che trovo in casa, più quelli che compro ogni
settimana.».
La passione per il giornalismo nasce
subito?
«Sogno di poter viaggiare e raccontare. E intanto amo il
teatro, leggo Pirandello».
E la tv?
«Zero,  non mi
interessa in quegli anni. Ho la fissa della carta stampata».
Primo
articolo?
«A 14 anni, nel paese dove mia mamma aveva avuto la
farmacia, vedo per strada un contadino che tira un mulo. Sulla sella un bimbo, 
attaccata alla coda la mamma, con una cesta in testa e una bimbetta alle gonne.
Scrivo un tema sulla condizione femminile in Basilicata, che  poi viene
pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno. È l’esordio e a 16 anni inizio a
collaborare con i giornali locali.  Comincio a scrivere anche di
economia».
Economia? E perché?
«Scelta fondamentale. Non
ho raccomandazioni politiche né conoscenze particolari, allora decido di
specializzarmi in un settore difficile e tecnico. Dove sarà meno agguerrita la
concorrenza».
Geniale. Quando si trasferisce a
Roma?
«Dopo il Liceo. Mi iscrivo a Giurisprudenza e mi laureo con il
massimo dei voti. Intanto faccio il praticantato a “Il Globo”
».
Sempre economia.
«Diventando competente, passa  in
secondo piano l’estetica. Non ero male come ragazza».
A proposito.
Molte avances?
«Non mancavano. Dopo l’intervista, in quel periodo,
scatta  spesso l’invito a cena. Una delusione, anzi una profonda seccatura. E lì
prendo una decisione».
Quale?
«Solo interviste
telefoniche. E sfrutto il mio cognome».
In che senso? Perché
ride?
«Quando la segretaria di qualche economista importante
domanda: “Chi lo desidera?”. Io rispondo: “Lasorella”. E così mi passano,
immediatamente, chiunque!».
Buona questa.
«Sì, finché
telefono a un tizio che arriva alla cornetta seccato: “Scusi, ma lei chi è? Io
non ho sorelle!”».
Gli inviti a cena l’hanno accompagnata per tutta
la carriera?
«All’inizio. Poi ad un certo punto il lavoro ha
pagato».
Carmen Lasorella entra in Rai nel 1979. Scusi, ma lei non
era quella cui non interessava il video?
«Ma sono giovane e ho
bisogno di soldi. Mamma e papà mi vogliono avvocato e non sono favorevoli a
vedermi giornalista. Dunque per orgoglio non chiedo aiuti economici alla
famiglia e mi invento qualsiasi cosa».
Cioè?
«Dalle 6 di
mattina alle 9 curo la rassegna stampa per la Sip. Fino alle 16 sono in Rai e
dalle 16 a mezzanotte lavoro per l’Ansa».
Quando l’assunzione
indeterminata in Rai?
«Dopo otto anni di precariato, ricevo tre
offerte contemporaneamente: Messaggero, Ansa e Rai».
E perché sceglie
la tv?
«Nel frattempo mi sono innamorata del video, dopo aver
realizzato “Bella Italia”, una serie di cortometraggi. Il direttore Antonio
Ghirelli, inoltre, mi ha fatto diventare faccia del Tg2 anche se precaria – 
unico caso – ed è quasi inevitabile essere assunta».
Lei condurrà il
Tg2 dal 1986 al 1995.
«Tra mille problemi e non poche
prevaricazioni, sempre per il solito motivo politico, perché non sono targata. 
Lavoravo a Rai 2 senza essere socialista!».
Curiosità. Mai conosciuto
Craxi?
«L’ho intervistato quando era in esilio. Non stava bene, era
lucido a tratti. Era capace però di ritrovare il suo piglio, con l’energia del
solito Craxi».
Scusi, prima parlava di prevaricazioni. Di che
tipo?
«Beh, per esempio non sono mai stata presa in considerazione
per il telegiornale serale, che sarebbe dovuto essere un normale approdo. Ma
sono andata avanti lo stesso e ho tirato dritto per la mia
strada».
Tornasse indietro?
«Oggi mi rendo conto che tra
il bianco e il nero ci sono mille sfumature…».
Carmen, quanti Tg ha
condotto in nove anni?
«Più o meno 2000».
La notizia più
difficile?
«C’è da mandare il filmato di un atto di violenza in
Cisgiordania, in cui viene spezzato un braccio a un soldato palestinese.
Visioniamo velocemente il servizio prima della diretta del Tg delle 13 e ci
chiediamo se è il caso di mandarlo in onda».
Scelta
complicata.
«Vince il desiderio di cronaca, ma presentarlo è
difficilissimo: bisogna mantenere equilibrio, avvisare che  sono immagini forti,
spiegare che è un episodio che avviene, comunque, all’interno di una
guerra».
Lasorella, in quegli anni lei diventa il simbolo del
giornalismo femminile. Conduce il tg con bravura e conquista il pubblico
maschile, che si divide tra  lei e Lilli Gruber. 
«Con la Gruber
non c’è mai stato un feeling particolare, vero. Ma nemmeno una rivalità tanto
accesa: quella è stata creata dal gossip».
Carmen, il regalo più
incredibile ricevuto da un ammiratore?
«Un mazzo di 365 rose
bianche: non entravano nemmeno in ascensore».
Biglietto
anonimo?
«Dopo qualche settimana ho conosciuto l’uomo che me le
aveva inviate. Più belle le rose…».
A fine anni Ottanta lei diventa
inviata.
«Per caso, perché è estate e sono tutti in vacanza. È il
1987 e c’è da seguire lo sminamento delle acque del Golfo Persico. Sono la prima
donna inviata della tv in un teatro di guerra e fa
scalpore».
Scalpore e audience.
«Sono tra i militari:
l’impatto è dirompente. Io non me rendo conto affatto, per noi lì non lo è, ma
quando rientro in Italia  scopro che se ne è scritto parecchio e piovono le
richieste d’intervista».
Nel frattempo lei conduce “Tg2 dossier
notte” e gira il mondo. L’incontro più strano?
«L’intervista a uno
sceicco. Per protocollo non può parlare a una donna, dunque per rispondere alle
mie domande si rivolge all’operatore. Situazione direi
comica».
Carmen Lasorella, che caratteristiche servono per essere un
inviato di guerra?
«Approfondire prima, adattarsi durante. E poi la
capacità di vincere comunque la paura. Ma dopo la prima guerra del Golfo anche
la guerra è cambiata: con la CNN è diventata un prodotto tv. Purtroppo, restano
le guerre dimenticate e lo strazio di situazioni senza futuro. In una guerra
perdono tutti».
Diceva del coraggio dell’inviato. Lei, il 9 febbraio
1995, in Somalia, rischia la morte.
«Quella data fa da spartiacque
nella mia vita. Sono nata per la seconda volta».
Le pesa
ricordare?
«All’inizio moltissimo, non avevo avuto il tempo per
metabolizzare le emozioni che avevo vissuto».
E ora, 15 anni dopo? Le
va?
«Siamo all’aeroporto di Mogadiscio per un servizio e c’è da
tornare alla nostra base, che non è un albergo, ma la casa di un amico che è
leggermente più sicura. Ci avvertono che il rischio è enorme, ci sono stati
molti attentati con morti il giorno prima. Abbiamo una scorta enorme. Una
follia: trenta uomini».
Quanti mezzi?
«Due pick-up, uno
davanti e uno dietro di noi: viaggiamo su una land cruiser non blindata con i
vetri oscurati».
Voi chi siete?
«Un ragazzo alla guida,
io sul sedile anteriore, dietro il capo scorta Alì Shek, un altro ragazzo
armato  e l’operatore Marcello Palmisano. Appena usciti dall’aeroporto il
pick-up dietro si perde nella confusione e restiamo soli. Un camion ci taglia la
strada da destra e sperona la nostra auto dal lato della mia portiera, che si
accartoccia. Il nostro autista, un ragazzo di 20 anni, scende e prova a parlare
con i guerriglieri, che sono del suo stesso clan. Cerchiamo di richiamarlo, ma
lui ci ignora».
Che fa?
«Continua a parlare e litigare.
La tensione sale. Dal camion un “cannoncino da venti” ci tiene sotto tiro. Uno
degli assalitori sale alla guida della nostra auto. Il nostro autista  allora
torna indietro e lo fa scendere. Mette in moto e prova a forzare il blocco, ma
il risultato è una raffica di mitra che ci buca le gomme. L’auto continua ad
arrancare per pochi metri e si ferma sul ciglio destro della strada.  Sparano
tutti».
Lei come si ripara?
«Mi accuccio tra il cruscotto
e il sedile. L’autista scappa. Alì Shek scende dall’auto per coordinare la
difesa. Attorno a noi, intanto, arrivano tanti  pick-up armati, ne conto nove,
siamo circondati. L’intensità del fuoco aumenta e noi siamo nel
mezzo».
Quando dura questa situazione?
«Controllo
l’orologio. Durerà 38 interminabili minuti».
Che vi dite lei e
Palmisano, unici due a essere restati intrappolati nella vettura, in tutto
questo tempo?
«Nulla. Un silenzioso rispetto per la paura altrui.
Ogni tanto sollevo la testa per capire che succede. C’è puzza di polvere da
sparo. Poi, improvvisamente, odore di gasolio. L’auto sta prendendo
fuoco».
Che fate?
«Urlo a Marcello, che è disteso tra i
sedili dietro e che io non posso vedere, di uscire. “Bisogna scendere!!!!”.
Penso che sia bloccato dalla paura. Lo chiamo ancora. Lo scuoto con il braccio.
Non risponde. Allora mi giro e lo sollevo di forza, lo tiro su. Ed è pieno di
sangue».
Prima reazione?
«Piango, urlo, perdo
completamente il controllo: i nostri destini erano legati,  lo specchio
dell’altro. Non penso che sia morto, provo a sentire se il suo polso batte
ancora, ma non lo trovo. Il fuoco, intanto, prende tutta l’auto, l’avvolge.
Esco, corro e mi butto nella scarpata a destra. Cado sul corpo di un ragazzo
somalo. È morto. Dopo poco mi ritrovo i kalashnikov puntati contro. Alzo le
mani.
E Palmisano?
«È là, nell’auto. I somali, a gesti,
mi indicano di consegnare il marsupio. Poi l’orologio. Urlo, in inglese: “My
friend is inside!”, il mio amico è dentro l’auto. Il capo risponde freddamente:
“No, your friend is died”, no, il tuo amico è morto. Oltre a lui, lo scoprirò
poi, sono deceduti anche Alì Shek e altri nove uomini della
scorta».
Paura? Terrore?
«Mi chiedo solo come morirò,
come sarà quel momento. Ricordo le immagini dei colleghi ammazzati gli anni
prima. Non temo una violenza, ma non sopporto l’idea che il mio corpo  subirà lo
scempio».
Che succede a quel punto, Carmen?
«Mi legano i
polsi con un cappio di plastica e mi tirano. Non possono toccarmi perché sono
considerata impura, essendo donna e occidentale. Camminiamo, per strada  e donne
e bambini si avvicinano e mi tirano  calci e pugni, colpiscono le spalle, i
polpacci. Si arriva nel cortile di una casa e parte una trattativa. Ci sono tre
partiti».
Cioè?
«C’è chi mi vuole uccidere perché anche
Marcello è morto. C’è chi dice di salvarmi proprio perché c’è già stato un
morto. C’è chi propone uno scambio di prigionieri».
Dove viene
messa?
«In una cella su una rete senza materasso. Ho male
dappertutto, un piede ustionato. Un bambino piccolissimo viene a giocare con me.
Dopo quattro ore o giu di lì, perché non ho più l’orologio, decidono di
liberarmi».
Lasorella, il suo ritorno in Italia è stato
caratterizzato da polemiche. Accuse. Perché?
«Sono tornata viva, ero
un testimone! E così era più difficile portare avanti le speculazioni più o meno
telecomandate sulla vicenda»
Tradotto?
«Potevo dire chi
erano i mandanti».
Chi erano?
«C’era l’ipotesi che fosse
una multinazionale di banane e che nella società avesse una partecipazione la
moglie del presidente del consiglio di allora».
Che era Dini. Carmen,
tornata in Italia smette di condurre il Tg. Come mai?
«Non c’era più
un rapporto di fiducia con il mio  direttore.   I nostri rapporti rimangono tesi
tutt’oggi».
Lei poi conduce “Clichè”, viene nominata responsabile
delle relazioni esterne della Rai, è autrice del programma “Prima donna” e
nell’agosto del 1999 diventa responsabile della sede Rai di Berlino. Poi
rientra, conduce il programma “Visite a domicilio” e improvvisamente sparisce.
Carmen, ultime domande veloci. 1) Un tg che le piace?
«Rai News
24».
2) Conduttore preferito?
«Mentana».
3)
Musica?
«Blues».
4) Un film nel quale vorrebbe vivere per
una settimana?
«“Blade Runner”».
5) Rapporto con la
religione?
«Sono cattolica credente».
6) Paura della
morte?
«No. L’ho già vissuta».
7) Rapporto con il
sesso?
«Gioioso».
8) Dove era l’11 settembre
2001?
«A casa, ho seguito tutto in tv».
9) Come l’ha
cambiata la drammatica esperienza in Somalia?
«Da quel momento
apprezzo di più le cose semplici».
Ultimissima. Le chiedessero domani
di partire e fare ancora l’inviata di guerra?
«Guardi là. Quella è
la mia valigia. Sempre pronta».

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