Evasione. ‘Paese che vai furbetto che trovi’. Paolo Biondani, L’Espresso

Evasione. ‘Paese che vai furbetto che trovi’. Paolo Biondani, L’Espresso

Evasione

Paese che vai furbetto che trovi di Paolo Biondani

Il nero sulle forniture in Lombardia e quello sulle case a Roma, gli emiliani a San Marino e i veneti in Austria. Ecco gli usi e costumi regionali della fuga dall’erario

(23 gennaio 2012) Il grande banchetto dell’evasione ha un menù tipico che esalta le più saporite specialità regionali. Nel profondo Sud il piatto forte è il lavoro nero, soprattutto nell’agricoltura e nell’edilizia. Tra negozi, bar e ristoranti dalla Toscana all’Adriatico c’è ancora il gusto tradizionale dell’incasso netto senza ricevute fiscali. Al Nord plotoni di piccole imprese condiscono i ricavi con fatture false. Nella Capitale gli immobili sono una sorgente infinita di contanti senza contratti. E per le grandi aziende la ricetta vincente è l’elusione, in genere accompagnata da un bel contorno di società-ombrello e conti all’estero.
“Al Sud c’è un’evasione molto diffusa, ma i grandi volumi si fanno al Nord”, riassume un esperto comandante della Guardia di Finanza. Rispetto agli altri paesi avanzati, l’Italia intera vanta un enorme mercato nero, che il sociologo Giuseppe De Rita ha per primo definito “economia sommersa”. L’Istituto nazionale di statistica e la Banca d’Italia assegnano a questo fiume di denaro non dichiarato un valore abnorme: tra 255 e 275 miliardi all’anno, che corrispondono al 17,5 per cento del Prodotto interno lordo. Come dire che in Italia, ogni quattro euro ricavati rispettando la legge e pagando le tasse, c’è sempre il furbo che ne incassa un quinto violando le regole. E questo senza includere nel conto i guadagni del crimine, come il traffico di droga o il racket: la prima variabile territoriale, dunque, è il potere della mafia, l’industria made in Italy che non paga le tasse ma le riscuote meglio dello Stato.
Tornando al mondo dell’economia tassabile, secondo le statistiche, il regno del nero è l’arcipelago delle piccole imprese industriali e commerciali: qui il sommerso raggiunge il 9,8 per cento del Pil, cioè la bellezza di oltre 180 miliardi di euro. Per autoridursi le tasse, le aziende hanno due alternative: non denunciare redditi veri o dichiarare costi falsi. In entrambi i casi abbondano i menù locali. Nel Centro-Nord, soprattutto tra Lombardia e Veneto, vanno forte le fatture per operazioni inesistenti: l’imprenditore dichiara di pagare un fornitore, ma in realtà si fa restituire i soldi sottobanco. In genere il sistema è organizzato da specialisti, che incassano una percentuale, naturalmente in nero. Da Varese a Vicenza, da Roma a Venezia la Finanza continua a scoprire apposite società di comodo, chiamate in gergo “cartiere”, che servono soltanto a produrre contabilità truccata. Ogni cartiera, per sembrare vera, deve adattarsi all’economia locale. E così tra Brescia e Bergamo nascono finti depositi di metalli, in Emilia ditte fantasma di informatica, nel Lazio falsi grossisti alimentari, in Campania disinquinatori inesistenti. L’immaginazione al potere. Come il pesce alla palermitana scoperto dalle Fiamme Gialle pochi giorni fa: un centro ittico che aveva una doppia attività, con tanto di deposito parallelo per custodire gamberi e tonni destinati a sfuggire dalla rete delle fatture.
Le grandi società (banche, assicurazioni, colossi industriali) usano tecniche più sofisticate: architetture societarie internazionali, formalmente legali, che spostano gli utili all’estero, dove le tasse sono più basse o inesistenti. Dopo Irlanda, Portogallo e Gran Bretagna, ora i paradisi più gettonati sono Olanda e Lussemburgo, che essendo paesi comunitari sono meno attaccabili. Milano, capitale della finanza e dei servizi, è anche la centrale italiana della grande elusione, che le autorità fiscali ora stanno cercando di combattere con nuovi rimedi (ancora incerti) come il cosiddetto “abuso di diritto”. I registi sono banche internazionali o grossi studi professionali: il gruppo Mythos, prima di arresti e condanne per i giochi sporchi sulle tasse, aveva sede nella centralissima Torre Velasca. Indagini recenti cominciano a svelare frodi sistematiche anche a Roma. Secondo l’accusa, bastava bussare alla porta del presidente dei commercianti, Cesare Pambianchi, per comprare il pacchetto completo: società-schermo, prestanome e conti esteri. E davanti al suo studio c’era la coda di costruttori, industriali, gestori di catene commerciali. “Le normali verifiche fiscali ormai servono a poco”, spiega un alto ufficiale delle Fiamme gialle: “La grande evasione si scopre solo con le indagini giudiziarie, intercettazioni, perquisizioni e rogatorie”.

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