Fabio Tonacci di La Repubblica, Mose. Pravata’: quelle fatture da San Marino

Fabio Tonacci di La Repubblica, Mose. Pravata’: quelle fatture da San Marino
La Repubblica (16 giugno 2014)

Pravatà: “Soldi e consulenze, così il sistema Mose
comprava i politici”

Parla l’ex
vicedirettore del Consorzio: “Il mio memoriale contro dirigenti ed ex
ministri”

Fabio Tonacci
 

VENEZIA. “Glielo dicevo a Giovanni che sarebbe finita
male. Lui mi rispondeva che non capivo un tubo, che bisognava andare avanti a
tutti i costi. Stava più a Roma che a Venezia e sotto di lui il Consorzio ha
subito una mutazionei genetica. Eppure, gli voglio bene al presidente…”.
Nemmeno oggi Roberto Pravatà, l’uomo del memoriale secretato, riesce a parlare
male della persona accanto al quale ha costruito 21 anni di carriera al
Consorzio. Lui in qualità di vice direttore generale, Mazzacurati nei panni del
dominus, del padrone assoluto. Del burattinaio. Pravatà, 60 anni, ora vive a
Villorba, alle porte di Treviso, e con il Consorzio ha chiuso, suo malgrado,
nel 2008. Poi ha aperto il computer, e ha cominciato a scrivere.



Cosa c’è in quel memoriale, Pravatà?
“Ho riportato fatti un po’ più easy, diciamo così, e altri che assumono un
rilievo penale, ma devo mantenere il segreto istruttorio. È stato un ufficiale
della Finanza a chiedermi di mettere tutto nero su bianco. Contiene circostanze
che riguardano politici di livello nazionale, tra cui anche ex ministri”.

Fatti di cui lei ha conoscenza diretta, oppure che le sono stati
riportati?

“I contatti con la politica li teneva Mazzacurati. Poi però riferiva le
richieste a me, che ero il capo delle finanze del Consorzio. Occupavo un ruolo
per cui non potevo non sapere certe cose”.

Come nel caso del “piacere” chiestovi da Gianni Letta per far
lavorare l’azienda di Lunardi, la
Rocksoil?

“Esatto. Fu Mazzacurati, dopo la richiesta di Letta, a decidere di
provvedere dividendo l’onere tra la
Fincosit e Condotte, due consorziate. Le due società
presentarono riserve fasulle all’ingegner Neri. Il Consorzio approvò tutto e le
pagò al 50 per cento, come ho spiegato ai pm. In questo modo, riversarono 3-4
milioni di euro a società di Lunardi”.

Davanti ai magistrati, lei ha raccontato anche di un contributo di
150.000 euro per le spese elettorali di Enrico Letta nel 2007, fatti passare
come incarico fittizio per un’attività dell’arsenale di Venezia. Questa storia
ha fatto molto rumore. Vuole spiegare meglio?

“Tutto è nato da una verifica della Finanza alla fondazione Ve-Drò di
Letta. Vennero da me chiedendomi se fossi a conoscenza di qualche altro
contributo del Consorzio dato all’ex premier, e io mi sono ricordato di quell’episodio.
È stato ritenuto non penalmente rilevante e sono passati molti anni, ormai. Di
tutto quello che accadde dopo il 2008 non so niente”.

Perché la scelta di lasciare?
“Me ne sono andato quando il “sistema” era appena all’inizio.
Dal 2007 in poi Mazzacurati usò metodi per acquisire il consenso che non mi
piacevano, più volte mi sono trovato a dirgli “queste carte non te le
firmerò mai…””.

Quale fu la goccia che fece traboccare il vaso?
“Volle farmi assumere la figlia di Cuccioletta, il Magistrato alle acque.
Brava ragazza, per carità, si era appena laureata. Ma c’era un problema di
opportunità, il Magistrato era il nostro controllore… Poi ha preteso che mi
dimettessi dalla vice presidenza di Thetis (società di ingegneria, acquisita
dal Consorzio, ndr), perché doveva mettere uno dei suoi. A quel punto dissi
basta”.

L’80 per cento degli atti redatti dal Magistrato alle acque erano
prodotti dal personale del Consorzio. Sono parole sue, a verbale. Ha anche le
prove?

“Gli investigatori hanno trovato i documenti nei nostri server. Nella sede
centrale però io stavo al piano “nobile”, dove c’era anche lo studio
di Mazzacurati… di queste cose se ne occupavano ai piani inferiori, in
particolare l’ingegner Brotto”.

Quante campagne politiche avete finanziato?
“Finché c’ero io, neanche una. Era una precisa disposizione dei presidenti
precedenti, da Luigi Zanda a Franco Carraro e Paolo Savona. Poi i consiglieri
nominano Mazzacurati. Siamo nel 2005 e da quel momento il Consorzio subisce una
mutazione genetica, diventa spregiudicato. Quando trovai strane fatture
provenienti da San Marino, mi resi conto che si era passato il limite”.

E così il Consorzio assume le forme di un “governo ombra” di
Venezia. Tutti si rivolgono a lui, lui accontentava tutti.

“Mazzacurati, tecnico molto preparato, difficilmente diceva no. Puntava ad
acquisire il consenso generalizzato, per sé e per il Mose. C’erano politici che
avevano atteggiamenti più interlocutori, altri più di chiusura. L’ex sindaco
Cacciari con noi aveva rapporti personali cordiali, ma politicamente era
critico verso l’opera”.

Vedeva mai politici entrare nel suo studio?
“No. L’unico era Giancarlo Galan, ma sempre per incontri istituzionali.
Non ho mai firmato niente in suo favore”.

Ma perché tutta quest’ansia di ottenere consenso? In fondo i soldi per
il Mose li garantisce lo Stato, e l’opera è utile alla città…

“Il Consorzio è visto in modo molto ostile, forse perché non ha mai avuto
un presidente veneziano. E c’è un problema strutturale che riguarda tutte le
opere pluriennali dello Stato: le leggi finanziarie valgono per tre anni e sono
troppo suscettibili di cambiamento. Accade solo in Italia”.

L’ultima volta che ha sentito Mazzacurati?
“Quando è morto suo figlio, Carlo… se ci penso mi commuovo”.

Pravatà, lei però è finito in un processo per stalking, è stato
denunciato dalla sua ex moglie. C’entra qualcosa questo con il suo passato nel
Consorzio?

“Credo di sì. I guai con questa persona sono iniziati nel momento in cui
ho cominciato a raccontare ai finanzieri cosa accadeva là dentro. Non ho le
prove, ma faccio due più due…”.

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