Il boss dell’usura con Maserati targata San Marino. Giovanni Tizian, Gazzetta di Modena

Il boss dell’usura con Maserati targata San Marino. Giovanni Tizian, Gazzetta di Modena

LA GAZZETTA DI MODENA

La bella vita del broker fra boss e usura

A Nonantola girava in Maserati e con il socio progettava di
mettersi in proprio abbandonando gli affari con la ’ndrangheta

Giovanni Tizian

 

Ufficialmente è un broker nautico, un intermediario di barche di lusso, cioè
un mediatore tra possibili acquirenti e società che vendono imbarcazioni. In
realtà Gianluca Giovannini è un uomo d’affari a tutto tondo, i suoi interessi
spaziano dal mare alla pianura. Non mette confini tra legale e criminale. È
residente a Nonantola ma è si muove spesso. Con la Maserati targata San Marino è
una trottola tra Riviera romagnola, San Marino, Bologna, e Monza. Incontri di
lavoro e pranzi d’affari.

La sua ascesa è legata alle conoscenze messe sul piatto da Orlando Purita, il
socio nel bene e nel male. I “riciclatori” del clan Facchineri, scrivono gli
investigatori.

PAGAMENTI MENSILI

Entrambi arrestati su ordine della Procura milanese che ipotizza per loro i
reati di riciclaggio, truffa ed estorsione. Anche se, da come emerge
dall’ordinanza di arresto, sarebbero coinvolti anche in un giro di usura.
Un’attività svolta con i denari della ’ndrina Facchineri, originaria della piana
di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, ma da molto tempo radicata in
Lombardia. E proprio ai capi della cosca dovevano consegnare mensilmente una
percentuale dell’usura. Con cadenze precise. E se capita una festa nazionale, e
le banche italiane rimangono chiuse, c’è sempre San Marino, dove Giovannini
«dispone di rapporti bancari». Il piccolo borgo finanziario non festeggia la
Repubblica italiana, e il 2 giugno le banche sono aperte. «Lì non è festa a San
Marino, quindi ci agganciamo lì». Così i due soci possono rispettare il
pagamento al boss “Peppe” Facchineri, che di chiusure festive non ne vuole
sentire parlare.

PRESTITI AL 20%

Su uno dei conti di Giovannini ci sarebbero 137mila euro, che il broker
vorrebbe prelevare per saldare ogni debito con la ’ndrangheta. O meglio, li
preleverà nel caso in cui una truffa in cantiere non dovesse andare in porto. La
somma dovuta da Giovannini e Purita ai cugini di ’ndrangheta ammontava a 132mila
euro. La cosca forniva i soldi al nonantolano e a Purita, che a loro volta
facevano prestiti con tassi mensili del 20 per cento. La provvigione per i
mediatori era del 5 per cento, per i capi cosca del 15 per cento. E i clienti
non mancavano. Lo stesso Giovannini prova a stilare un elenco: «C’ho un cliente
da 25 mila, due clienti da 20, una da 10». La percentuale del 5 per cento va
stretta ai progetti di crescita dei due soci.

Il broker nautico è stanco di dovere versare quel fiume di soldi al capo clan
Giuseppe Facchineri. «Pensare che ho dato 160mila euro a quella merda là è
assurdo». Giovannini voleva continuare a prestare denaro, ma in autonomia con
Purita. Ma per fare pressione sulle vittime avrebbero comunque speso il nome
della cosca Facchineri. «C’è sempre quella famiglia dietro… il timore è sempre
con quelle persone là«. La volontà di mettersi in proprio e di utilizzare solo
il marchio della famiglia mafiosa per impaurire gli imprenditori, cresce in
Giovannini giorno dopo giorno. «Preferisco farlo io (un prestito ndr) piccolino
piccolissimo, perché noi facciamo questo e basta, è inutile che facciamo gli
avidi, sono quattromila euro al mese, chi li ha mai visti di fisso?». Un bel
gruzzoletto come stipendio fisso che Giovannini pensa di garantirsi attraverso
l’usura.

LE INTERCETTAZIONI

Intanto i legami con i boss lombardi non sono semplici da recidere, quando ci
sono di mezzo i “piccioli” non si scherza. «I cinquanta rimangono lì…». Purita
parla dei 50mila euro che gli ’ndranghetisti avrebbero consegnato ai due e che
Giovannini ha depositato in una banca sammarinese. «Sì rimangono lì fino alla
fine di luglio, poi non mi chiedere più di tenerli eh anche se piangono (i
Facchineri ndr) hai capito?». I contrasti con il clan sono dovuti
all’intransigenza di Peppe Facchineri, uno dei capi. L’altro boss, Vincenzo, era
in carcere, e a giorni sarebbe uscito. Giovannini vorrebbe conoscerlo: «Quando
esce quell’altro lo voglio conoscere che vede come è magico te e come sono
magico io… ecco con noi due non può dire un cazzo».

A luglio 2007 “l’altro” mammasantissima viene scarcerato e incontra Purita,
al quale chiede di incontrare il socio emiliano. Ma Giovannini è deciso a
interrompere i rapporti, non per questioni etiche, più per convenienza. «Tanto
so cosa vogliono, ma noi ci siamo ritirati… poi dopo trovano degli altri che
gli garantiscono 15mila euro al mese come gli abbiamo garantito noi per un
anno». E aggiunge: «Gli devi dire (a Facchineri, ndr) con noi avete portato a
casa 180mila euro». Con quel clan però non sono ammessi errori. «Ma questo
comanda o è uno dei tanti?», chiede il faccendiere della nautica al sodale. «No
son pesanti, con questo non si può fare niente Gianluca… ti buttano giù a te, a
tua moglie a tua figlia».

I RAPPORTI COI MANCUSO

Relazioni pericolose che il mediatore di barche e Purita- i cui trascorsi
giudiziari vanno da traffico di droga a ricettazione – intrattengono anche con
“Rocco” di Seregno, esponente della potente ’ndrina Mancuso. «7 mila e 500
(euro) bisogna darli a Mancuso», rendiconta Giovannini. «Minchia con sti cazzo
di nomi…», quel cognome al telefono non va fatto, gli fa notare il socio. Ma
il broker insiste, «dobbiamo darli a Mancuso», e la risposta esausta di Purita è
: «Ancora! Sì». Parla di soldi al telefono con naturalezza il nonantolano. Non
può immaginare che qualcuno ascolti i suoi traffici. “Rocco” si rende
disponibile anche per risolvere i problemi con i Facchineri, un’offerta che i
due declinano. «No, va là che ci abbiamo altro da fare che quelle cose lì da
mero malavitoso». Giovannini preferisce agire di fino nell’economia. Il suo
metodo lo spiega lui stesso criticando un usuraio del giro legato ai Facchineri:
«Sì, ma agli amici devi prestare soldi, agli amici che sai che te li renderanno,
non agli amici alla canna del gas». Atteggiamento spregiudicato che funziona. Di
soldi ne fanno girare parecchi. «Cosa facciamo in mezzo a una strada ci
dividiamo i soldi? Come al solito?», chiede Giovannini al socio, e chiosa:
«Andiamo in un ristorante almeno».

Dopo quella telefonata, avviene il pranzo di lavoro tra i due, in un
ristorante di Nonantola. Un lavoro sporco che a detta dei due frutterebbe nelle
loro tasche 3mila euro al mese. In un anno avrebbero intascato 500mila euro.
Incredulo di fronte ai conti di Giovannini, il socio gli chiede: «In due?». «No
a testa», risponde il broker di Nonantola. E quando Purita gli fa notare di non
avere un soldo, Giovannini gli fa un elenco dettagliato delle spese: «70mila li
hai messi nella macchina, 60mila in una società, 20mila li abbiamo investiti in
una barca privata, sono 80mila lì, 70mila una macchina, due orologi della
Madonna».

LA BARCA IN VENDITA

Una vita da nababbi, grazie anche ai finanziatori della ’ndrangheta. E poi
c’è il settore nautico, l’esperto è il broker Giovannini. Con il socio Purita
erano stati incaricati dagli ’ndranghetisti, si legge nell’ordinanza, di
acquistare un’imbarcazione. Una mediazione che avrebbe fruttato 150mila euro a
testa. «Il prezzo lo facevano loro (i boss, ndr)», ricorda Purita, che rievoca
le minacce dei boss nei confronti del venditore: «Deve fare come i serpenti che
se fa finta di alzare la testa gli devi schiacciare la testa e quindi la deve
vendere così». Parole che raccontano un sistema in cui minacce e fare mafioso si
mescolano a raffinate transazioni economiche.

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