IL RITIRO DI LUCA MARTIGNONI

IL RITIRO DI LUCA MARTIGNONI

San Marino, 28 dicembre 2014 

IL RITIRO DI LUCA MARTIGNONI 

Capitano Luca Martignoni, cosa succede adesso al termine ‘capitano’?

“Il termine ‘capitano’ deve essere messo tra virgolette, è un tipo di nomina che viene portata avanti all’interno di un gruppo e io ho sempre visto questo ruolo come presenza, punto di riferimento, persona o giocatore con cui parlare e condividere quello che succede. Parlando di tutto: problemi, famiglia, lavoro e sport. Chi fa il capitano deve essere in grado di giudicare le situazioni, saper pronunciare la parola giusta al momento giusto. Io credo di aver fatto quello che dovevo fare, da capitano. Ho sempre parlato con tutti e condiviso con tutti quello di cui si doveva discutere. I ragazzi mi hanno fatto sentire un punto di riferimento e questo mi ha dato tanta forza, sempre più forza. Bisogna dare l’esempio in tutte le situazioni: quando vinci e quando perdi, quando giochi bene e quando giochi male”

Verbi al passato, ora qualcosa cambia…

“Dal campionato 2015 diventerò un assistente di Doriano, stiamo parlando di questa cosa ma c’è tanta volontà da entrambe le parti. Ho deciso di ritirarmi”

Quando è maturata la decisione? 

“Pian piano nel corso dell’ultimo anno. Ci stavo pensando e ora credo che sia arrivato il momento giusto, pur se dal punto di vista fisico sono integro”

Una decisione convinta?

“Sì, una decisione convinta che ho preso io e verso la quale non mi ha spinto nessuno.  La sera stessa della vittoria in Coppa Campioni, quando Doriano è arrivato nello spogliatoio giocatori, l’ho preso da parte. Beh, sono stati momenti particolari, è bastata un’occhiata. Ci siamo capiti subito”

Com’è stato in questi anni il rapporto con Doriano?

“Parte tutto da un rispetto reciproco che c’è sempre stato. Abbiamo sempre lavorato uniti. Sapevamo cosa dovevamo fare, non ci siamo mai scontrati. È una persona molto intelligente che ha sempre saputo gestire situazioni anche molto difficili con una semplicità estrema, con una calma ineguagliabile. È un lavoratore, una persona umile che conosce il gioco e lo sa interpretare. Negli ultimi 10-15 anni ha acquisito un’esperienza che gli ha fatto fare un salto di qualità incredibile. Nel 1997, quando sono arrivato io, era ancora molto ‘giocatore’ come mentalità: più burbero, più sanguigno. Anno dopo anno ha capito che quando si gestiscono le cose con la calma si è in grado di mettere tutto a posto. Tutti dicono che si tratta di un allenatore che non parla mai, ma la realtà è un’altra: ti garantisco che lui, singolarmente, parla con tutti faccia a faccia. Troppo facile parlare a tutti riuniti criticando anche pesantemente 20 persone tutte assieme. Più difficile farlo singolarmente. Un uomo con gli attributi. Un allenatore umile e vincente”

Facciamo ora un salto indietro nel tempo, a quando hai cominciato a giocare a baseball…

“Qua si parla degli anni ’80, un periodo nel quale a Santarcangelo il baseball andava forte. Tutti i bimbi giocavano a baseball, addirittura era periodo di selezioni. Si era persino creato un campionato parallelo con 6-7 squadre. Dietro alla casa dei miei genitori c’era un campo di grano: d’estate, con la distesa tagliata, si costruiva dal nulla un terreno sul quale giocare. Di passione ce n’era tanta.  C’era la squadra del Peep, la squadra della Dc, quella del bar dei Comunisti. Noi eravamo ‘quelli della stazione’. Mi sono avvicinato a questo sport grazie ai miei cugini e a mio fratello, non ne sono più uscito”

Qual è il più grande amico che hai nel mondo del baseball?

“Mi viene subito in mente Doriano. È quello che ha accompagnato la mia carriera a un certo livello. Lui e Stefano Macina sono quelli che mi hanno portato a San Marino e sono allo stesso tempo quelli che voglio ringraziare”

Qual è stata invece la vittoria più bella a livello di squadra?

“Di sicuro quella del primo scudetto in gara7 a Nettuno. Il primo titolo per San Marino e anche per me. Il ricordo più bello, anche per la sportività di avversari e pubblico nettunese. Siamo stati applauditi da una folla di persone che, dopo qualche minuto di delusione, ci tributò grandi meriti. Segno di sportività e conoscenza del gioco: noi avevamo meritato la vittoria, non rubando nulla e nemmeno essendo particolarmente fortunati. Una vittoria che non dimentico”

E a livello personale?

“Fu con l’Italia. Una partita degli Europei 2003 nella quale ero il partente. Avversario, la Repubblica Ceca. Mi ricordo tutti i particolari con Faraone, il nostro allenatore all’epoca, che ci chiamò durante il riscaldamento e disse: ‘Oggi lancia il nostro mancino di San Marino’. Sorridendo. Faraone è stato un allenatore che non parlava molto. Tuttora non so dire perché, ma mi dava grande forza e tranquillità. Quel giorno lanciai 9 inning, mi fecero 3 valide e vincemmo la partita 2-1 con una valida di Liverziani. Al 9° inning, un altro mio grande amico come Ilo Bartolucci si stava scaldando. A fine partita, dopo l’abbraccio, mi disse ‘Guai a te se mi facevi entrare…’”

Parliamo di campo. Qual è stato il battitore più forte che hai avuto vicino o che hai incontrato?

“Tra chi ha giocato con me Willy Vasquez. Tra chi ho avuto come avversario, Claudio Liverziani. Non ho mai pensato di aver paura di qualcuno: ho sempre lanciato contro tutti. È un gioco nel quale non ti va sempre bene. Ho affrontato battitori forti, alcuni con ‘nome’ e altri no. Questi due giocatori però a livello di continuità e completezza sono i migliori. Mostruosi”

E il lanciatore?

“Vado indietro di un po’ di tempo e parto da Roberto Cabalisti. È stato importante nel mio anno a Rimini: aveva un’umiltà che non immaginavo, si fermava con me e mi aiutava sempre. Mi ricorderò sempre le sue parole, dette in maniera costruttiva: ‘Se vuoi stare a questo livello devi avere un lancio da strike-out. È bello fare strike-out: ti carica, cresci come solidità’”

E tra chi stava al di là del piatto?

“Ho avuto la grossa fortuna di lanciare con Elio Gambuti diversi anni. Un amante del baseball, sport che viveva in maniera viscerale. Un amore interminabile per il gioco. Concentrato, aggressivo: voleva battere, voleva vincere. Guardandolo si cresceva. Gli è bastato ricevermi un paio di volte per capire com’ero fatto”

Hai mai avuto un idolo in Mlb, un giocatore simbolo?

“Seguo la Mlb ma non ho mai avuto un idolo in particolare. Quel livello e quel mondo sono lontani. È chiaro: quando in tv appaiono una mazza, una pallina e un guantone io mi blocco a guardare. Detto questo, ho seguito per tanti anni Jamie Moyer: lanciatore che basava la sua partita sul controllo, sull’umiltà, sulla resistenza. Quando hai meno potenza i battitori fanno più contatto, ma non è detto che riescano a produrre tanto di più. Ho studiato Moyer per un po’, mi interessava osservare la sua sequenza di lanci, come si allenava, come parlava. La sua faccia in alcune situazioni di partita e in altre. Sono particolari che vogliono dire tanto. Ricorderò sempre quanto mi disse Chris Taddonio, a quel tempo a Caserta: ‘Luca, non ti potevo vedere. Non sapevo mai come metterti in difficoltà. Fuoricampo subito: non facevi una piega. Battuta in doppio gioco: stesso discorso, nessuna esultanza. Strike-out: uguale. Sei sempre stato un personaggio difficile da interpretare e questa cosa mi ha sempre messo in difficoltà’. Ecco, io ho sempre cercato di basare la mia performance non mostrando reazioni emotive. Restando calmo, senza cedere a provocazioni o ad altre situazioni di campo”

Cosa deve fare il baseball italiano per crescere?

“Si deve iniziare dal coinvolgimento, da tecnici migliori per i bambini. Bisogna partire da lì, dalla base. Se vogliamo crescere dobbiamo avere sempre più allenatori bravi coi ragazzi. Vedo molti ragazzini che pensano a se stessi: nel baseball è vero che contano le individualità, ma all’interno di un contesto fortemente di squadra”

Perché il San Marino Baseball è andato così bene negli ultimi anni? 

“Perché c’è stato un gran cambiamento nella mentalità. Il gruppo l’abbiamo sempre avuto, ma sono arrivati giocatori forti e ci siamo solidificati, con dirigenti che hanno saputo fare il loro lavoro. Gli stranieri sono stati spesso confermati non solo per la bravura, ma anche per la capacità di essere un’entità unica assieme a noi italiani. Un gruppo fantastico. In Italia si parla molto di questo gruppo, ma qui non ci sono solo Martignoni, Albanese, Imperiali, Pantaleoni, Ercolani e tutti gli altri. Ci sono anche Ramos, Vasquez, Duran, Cubillan e così via. Un gruppo meraviglioso…”.

 

 

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