La politica torni a parlare ai giovani di valori e prospettive

La politica torni a parlare ai giovani di valori e prospettive

Chiunque abbia contatti con il mondo giovanile, può facilmente riscontrare che tra le istituzioni in cui i ragazzi credono meno sono Parlamento, Governo e partiti politici. E’ un altro di quei dati che confermano la crisi della politica e la sua incapacità di comunicare ai cittadini.
Se non si prendono correzioni sostanziali e diffuse al malcostume praticato da molti, lo sdegno dei cittadini (e il disinteresse dei giovani) travolgerà chi fa politica oggi, col rischio di colpire anche ciò che di sano e combattivo ancora c’è tra coloro che se ne occupano. Già, perché qualcosa, o qualcuno, di buono c’è sicuramente, ma i “vizi” che rodono dall’interno il sistema politico lo nascondono, riducendo tutto a un gioco d’interessi.
La politica, che per molti, in passato, è stata una passione, o un dovere, oggi è diventata solo un mestiere, spesso ben retribuito. Anziché vivere per la politica, molti vivono grazie alla politica e fanno vivere di essa anche uno stuolo di persone protette che procedono col sistema della riconoscenza nei confronti di chi li ha nominati.
Questa “privatizzazione della politica” rende il gioco della partecipazione democratica un semplice sistema di scambio. E’ il solito circolo vizioso, le cui conseguenze continuano ad alimentare lo stesso processo di degenerazione che le ha provocate: non vanno avanti quelli che hanno più idee o più passione, ma quelli con più santi in paradiso.
Questo deprime i sentimenti dei giovani e fa precipitare la qualità di coloro che potrebbero dare un contributo più sostanziale non solo alla politica ma a tutti i campi del sapere. Ecco quindi che chi potrebbe portare novità e benefici al sistema, è allontanato da questo meccanismo che ha invaso ogni angolo: dall’apparato amministrativo al Parlamento, dai settori economici di interesse (che sono sempre appannaggio dei soliti noti) alla pratiche quotidiane. I bandi concorso per borse di studio li vincono sempre i figli di “qualcuno”, i progetti di formazione destinati all’occupazione hanno sempre canali privilegiati, i posti di prestigio vanno solo ai “fedelissimi”. Perfino le attività artistiche vengono lottizzate e non è sempre detto che chi riesce a fare qualcosa (musica, fotografia, teatro, e quant’altro) sia davvero il migliore, che emerge solo da una sana competizione.
E proprio questa discriminazione nei confronti dei “figli di un dio minore” allontana i giovani dalla politica, aumentandone al sterilità.
Come correggere il divorzio tra i giovani e la politica? Non è vero che i giovani siano tutti “scoppiati”. Parlano forse un linguaggio diverso dagli adulti, ma ne sanno sicuramente di più di nuove tecnologie, di ambiente, di energie alternative, di problemi sociali, del volontariato e mondialità. Ma soprattutto sanno comunicare, perché sanno relazionarsi con tutto il mondo.
Rischiano però di essere schiacciati da orientamenti poco innovativi rispetto all’urgenza dei problemi che essi conoscono e per i quali sarebbero disposti ad impegnarsi. Così il circolo si chiude: cambiare i metodi della politica perché i giovani possano di nuovo interessarsi ad essa e a portare, nella politica, quella carica di rinnovamento che essa, da sola, non riuscirà mai a realizzare.

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