La procura di Torino indaga
sui crocifissi di MichelangeloChiesta una rogatoria internazionale per far arrivare sotto la Mole il Cristo custodito nel caveau di una banca di San Marino. Da elementi della P2 a persone arrestate per ‘ndrangheta.
di FEDERICA CRAVERO E OTTAVIA GIUSTETTI
Il giallo legato ai crocifissi di Michelangelo — due opere, due (probabilmente) falsi, due misteri — si arricchisce di un nuovo passaggio che porta alla procura di Torino. Il pm Giuseppe Ferrando, infatti, ha chiesto una rogatoria internazionale per far arrivare nel capoluogo piemontese il Cristo custodito nel caveau di una banca di San Marino, attorno al quale si intrecciano le vicende di personaggi quantomeno equivoci, degni di una spy story che collega la massoneria della P2 dei primi tempi a più recenti arresti per ‘ndrangheta, passando attraverso il ruolo di alte sfere del Vaticano. Una storia che ricorda tanto le atmosfere di Dan Brown quanto gli imbrogli della serie tv White collar.
La statua lignea è stata già posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria del Monte Titano. “Bisogna appurare principalmente se è stata rubata”, si preoccupa il commissario della legge Rita Vannucci. Il magistrato sanmarinese è stato chiamato in causa quando da New York è arrivata la procura speciale per aprire la cassetta di sicurezza che contiene, oltre alla presunta scultura di Buonarroti, diverse opere d’arte (schizzi della Cappella Sistina attribuiti sempre a Michelangelo, disegni di Matisse, Klimt, Raffaello, Guttuso, Picasso) appartenute al conte Giacomo Maria Ugolini, che fu ambasciatore d’Egitto e di Giordania per la Repubblica del Titano. La procura era firmata da Giorgio Hugo Balestrieri. Personaggio singolare: piduista dichiarato, a capo del Rotary Club di New York (dove vive dagli anni Ottanta) e tesoriere della fondazione incaricata di gestire il patrimonio del conte Ugolini, scomparso nel 2006. “Dovevamo aprire il caveau per verificare il contenuto e poi esporlo pubblicamente durante una conferenza stampa — ha riferito l’avvocato di Balestrieri, Francesco Ciabattoni — Lui aveva voluto mettere le opere al sicuro perché la malavita aveva cercato di impossessarsene”. Peccato che secondo la procura di Reggio Calabria, che lo ha indagato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione Maestro, sia proprio lui il legame con la ‘ndrangheta. Nella stessa inchiesta è finito anche Angelo Boccardelli, pittore e assistente del conte Ugolini, ora in carcere. È lui l’uomo che per un certo periodo ha cercato di accreditare negli ambienti ecclesiastici il crocifisso come opera michelangiolesca, immortalata in una foto con il cardinale Rino Fisichella e dichiarata autentica dal gesuita Heinrich Pfeiffer, professore della Gregoriana. Poi la statua era sparita dalla circolazione e c’era chi pensava fosse stata trafugata all’estero.
Un anno fa, la rivelazione di Balestrieri al Tg1: “So dov’è”. Un modo, forse, per barattare l’immunità sull’inchiesta calabrese o per avvalorare ancora di più la tesi dell’originalità dell’opera, quando altri studi laici la giudicano un falso ottocentesco. Un falso, dunque, come quello dell’altro crocifisso che alcuni anni fa era stato venduto per 3 milioni di euro da un antiquario torinese a Sandro Bondi, che ora è esposto a Firenze. Doveva essere stato plasmato dalle stesse mani che firmarono la Pietà, invece era un bidone.
Proprio per aver già indagato su quella vicenda, la procura sabauda ha aperto un fascicolo sul Cristo “gemello”. L’ipotesi di reato a carico dell’ex piduista Balestrieri è di esportazione clandestina di opere d’arte.
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