Incognite, preoccupazioni, prudenza: tensioni palpabili sulla piazza finanziaria ticinese per l’entrata in vigore, il 15 settembre, del terzo scudo fiscale italiano. Intervista all’economista Alfonso Tuor.
Profilo basso, prudenza, discrezione e, soprattutto, bocche cucite: per gli operatori della piazza finanziaria ticinese – cioè per coloro che hanno diretto contatto con la clientela italiana a cui devono assicurare la migliore consulenza possibile e di cui amministrano i patrimoni – non è tempo di mietere parole, bensì di raccogliere strumenti e soluzioni per rispondere all’offensiva del terzo scudo fiscale italiano.
La Svizzera è uno dei principali paesi in cui cittadini italiani hanno portato i loro capitali ed è pertanto ed inevitabilmente il principale obiettivo dello scudo.
In gioco, del resto, ci sono somme importanti: in base alle stime dei maggiori quotidiani italiani, i denari neri che gli italiani hanno affidato ai forzieri esteri ammontano a 500 miliardi. 300 sarebbero in Svizzera, di cui 200 in Ticino.
Cieli non proprio limpidi, dunque, sulla piazza finanziaria. Il punto con Alfonso Tuor, economista e vicedirettore del Corriere del Ticino che segue da vicino il mondo della finanza.
swissinfo: Questo scudo è foriero di molte preoccupazioni sulla piazza finanziaria ticinese: ha sufficienti armi per difendersi?
Alfonso Tuor: C’è grande incertezza. La prossima settimana l’Agenzia delle entrate italiana dovrebbe specificare i termini tecnici e le modalità di funzionamento di questo scudo, per cui se ne saprà di più.
Per ora tutti sono convinti, come era già capitato nel caso del primo e del secondo scudo, che gli interrogativi legali che potrebbero spingere a non aderire allo scudo, verranno superati. Verrà per esempio assicurato, come nei due casi precedenti, l’aspetto tombale: chi aderisce allo scudo, è assolutamente certo di non essere perseguito per “l’evasione fiscale” compiuta in precedenza.
C’è però un elemento di incertezza in più: nel caso del primo e del secondo scudo, il rientro del patrimonio era virtuale, questa volta dovrebbe essere reale. Ciò significa che un investitore deve smontare tutte le posizioni del proprio portafoglio detenuto in Svizzera e portare realmente questi soldi in Italia, presso una società finanziaria italiana.
A quel punto il suo diventa un conto in bianco e la finanziaria funge anche sostituto di imposta (cioè si incarica di pagare le imposte al posto del contribuente). Una volta completata questa operazione, il contribuente può decidere di fare il rimpallo, cioè di riportare i soldi in Svizzera oppure di depositarli presso la filiale di una banca svizzera in Italia o presso una banca italiana di suo gradimento.
swissinfo: Il rimpallo è dunque una possibile via d’uscita?
A.T.: Con il sistema del rimpallo, formalmente i soldi sono presso la finanziaria statica in Italia e sono bianchi, ovvero dichiarati. La gestione resta invece in Svizzera. Se molti clienti sceglieranno il rimpallo, significa che hanno fiducia nella gestione elvetica.
Gestire una quota maggiore di soldi in bianco, dà maggiore stabilità. E’ chiaro che per una banca queste sostanze sono meno “captive”, come si dice negli ambienti della finanza. Sono cioè più difficili da trattenere perché, appunto, non sono più in nero, sono state scudate e perciò fiscalmente sbiancate.
Alfonso Tuor, economista e vice direttore del Corriere del Ticino
swissinfo: Questo terzo scudo fiscale colpisce tutti gli istituti allo stesso modo?
A.T.: Sicuramente no. Le grandi banche, per esempio, si pongono il problema di trattenere il cliente e non necessariamente in Ticino. Trattenere il cliente nel gruppo significa suggerire il rimpallo in caso di adesione allo scudo, oppure il deposito del patrimonio nei rispettivi gruppi bancari in Italia. Indubbiamente è un colpo per le attività in Ticino, ma contano di “mantenere” i capitali che gestiscono attraverso queste strategie.
La situazione è diversa per altri istituti bancari o per altre entità attive nel settore della gestione patrimoniale, che non hanno strutture in Italia. Per questi se non c’è la possibilità del rimpallo, cioè il ritorno dei capitali in Svizzera, significa perdere clienti e capitali in gestione.
swissinfo: E sul fronte della clientela italiana?
A.T.: Sicuramente, a mio parere, le grandi sostanze non aderiranno allo scudo fiscale. Prima di tutto perché sono legate ad attività e inoltre perché nel 99% dei casi hanno già costruito delle strutture societarie di protezione, anche rispetto al segreto bancario. E’ sui patrimoni di piccola e media grandezza che si giocherà la battaglia, ovvero le dimensioni che rendono di più alle banche (le grandi fortune percentualmente rendono meno).
Rischiano effettivamente di lasciare la Svizzera i clienti italiani il cui patrimonio si aggira o è inferiore al milione di franchi. E sono tantissimi. Coloro con un patrimonio fino a 5 milioni, ci penseranno. Mentre chi ha una fortuna superiore ai 5 milioni, molto probabilmente resterà perché ha i mezzi per schermare le proprie posizioni.
Penso che non aderirà allo scudo chi ha un’attività economica, commerciale o industriale in Italia. E’ vero che l’aspetto tombale rimane, ma è altrettanto vero che la Guardia di finanza sa che la persona XY ha portato una certa somma di denaro in Italia, si chiede quindi come ha costituito questo fondo nero e potrebbe di conseguenza avviare una serie di accertamenti. Credo pertanto che questa clientela possa ragionevolmente continuare ad avere paura e quindi non aderire allo scudo.
swissinfo: Ci sono altri elementi che potrebbero influire sull’atteggiamento degli investitori italiani?
A.T.: Sì, anche se gli attori della piazza finanziaria non amano parlarne. Si esce da un periodo in cui la gestione patrimoniale non ha dato risultati eccezionali. Il cliente italiano, benché possa apprezzare la qualità dei servizi bancari, potrebbe anche essere scontento per la mancanza del raggiungimento di ottimi risultati. E quindi, in fondo, lo scudo rappresenterebbe l’occasione per uscire.
swissinfo: Quali le ipotetiche conseguenze per la piazza finanziaria ticinese?
A.T.: Azzardare una previsione è veramente difficile. Credo però che le percentuali di rientro dei capitali non dovrebbero essere inferiori a quelle dei primi due scudi. A ben vedere non sarebbe un disastro per la piazza finanziaria ticinese, che indubbiamente subirebbe una cura dimagrante.
Rispetto al primo e al secondo scudo fiscale, all’estero il segreto bancario appariva molto più sicuro, anche se sostanzialmente non è mutato. Non c’erano né i grandi dibattiti sui giornali, né le pressioni internazionali sulla Svizzera. Le condizioni quadro sono effettivamente peggiori e possono dunque fungere da incentivo all’investitore italiano che pensa che sia tempo di regolarizzarsi.
Françoise Gehring, swissinfo.ch