Legge elettorale San Marino, proposte di modifica

Legge elettorale San Marino, proposte di modifica

Le fregature della proposta di modifica della legge elettorale

Con l’attuale legge gli elettori hanno chiaro chi entra o esce dal Consiglio e quanti voti ha ottenuto al primo turno

ANTONIO FABBRI. I promotori dicono: “l’impianto della legge non cambia”. Non è esattamente così. Infatti la prima fregatura parte dal tradimento del titolo.

Prima fregatura: la legge elettorale è rubricata “Disposizioni per la valorizzazione della volontà dei cittadini…”. Quindi il titolo detta la ratio della norma, ovvero che il voto dei cittadini deve avere valore e per questo devono essere loro a scegliere da quale maggioranza essere governati. Il loro voto deve essere, insomma, valorizzato, deve avere un peso determinante. Invece la proposta di modifica questo perso determinante lo elimina.

Sia il quesito, sia la legge presentata in consiglio dalle opposizioni, propongono che, nel caso in cui una delle liste o coalizioni in corsa non raggiunga al primo turno la maggioranza del 50%+1 dei voti espressi, quella che ha ottenuto più voti venga incaricata di cercare un accordo per formare il nuovo governo con le altre liste o coalizioni che hanno ottenuto seggi in Consiglio. Non sono più i cittadini, quindi, che in questo caso scelgono la maggioranza di governo

Seconda fregatura: il programma. Quello che viene proposto è un programma elettorale, non di governo come oggi. Viene detto dai promotori che se al primo non c’è un vincitore, la prima coalizione – o in subordine la seconda – dovrà cercare convergenze sul proprio programma. Quindi il programma di governo sarebbe quello della forza che ha ottenuto più voti e cerca convergenze. Ora, a parte che questo è stato detto dal responsabile del comitato promotore, ma non c’è scritto da nessuna parte né nel quesito, né nella legge, figuriamoci se due forze che dovranno allearsi per andare a formare un nuovo governo, non debbano stilare un programma nuovo che sia la linea di compromesso tra le due. Non è credibile sostenere che una delle forze che non svolgono le consultazioni accetti sic et simpliciter di aderire al programma della prima senza mettere becco. Oltre che assurdo, sarebbe anche antipolitico e ancor più antidemocratico. Di certo, quindi, i cittadini si troverebbero un governo con un programma diverso da quello sulla base del quale hanno espresso il loro voto, togliendo loro anche la possibilità di valutare, a fine mandato, se il programma che hanno votato è stato attuato oppure no. Non potranno valutarlo perché non lo hanno votato, dato che al momento del voto non lo conoscevano.

– Terza fregatura: la parvenza di voto democratico del primo turno viene tradita dagli accordi tra i partiti in questa sorta di limbo che si viene a creare tra il primo turno votazione e l’eventuale, improbabile, ballottaggio. Poniamo infatti che ci siano tre coalizioni. Quella che arriva prima viene incaricata di consultare le altre due. Pensiamo davvero che la seconda arrivata non raggiunga un accordo, con l’alternativa di rimanere fuori dal governo? O, al tempo stesso, pensiamo davvero che la terza arrivata, che sarebbe esclusa pure dal ballottaggio, si faccia sfuggire – magari previo accordo già stipulato all’insaputa degli elettori prima della consultazione – l’opportunità di salire in sella all’esecutivo, facendo fuori la seconda coalizione? Difficilmente, insomma, chi viene interpellato per andare al governo farà lo schizzinoso per restarne fuori.

Gli elettori vanno tutelati nella loro scelta, non raggirati da accordi fatti ex post, peggio ancora concordati nascostamente ex ante. Per essere tutelati, e perché il loro voto sia valorizzato, gli elettori devono essere consapevoli e con la attuale normativa lo sono. Il principio della consapevolezza degli elettori fa crollare anche le elucubrazioni distorte sulla rappresentatività. Chi avesse letto con attenzione la sentenza del Collegio garante in materia, quella che ha rigettato la prima volta la formulazione del quesito, comprenderebbe che biasimare chi è in Consiglio con venti voti come se avesse “rubato” la sua partecipazione a chi ne aveva avuti di più in altre compagini, è un discorso volutamente fuorviante, che limita furbescamente la valutazione del voto ad un solo turno. Laddove, invece, ce ne sono stati due, le considerazioni devono essere complessive. Hanno detto infatti i Garanti: “Il diritto di voto si sostanzia nel potere dell’elettore di concorrere a determinare “direttamente”, con il proprio voto, l’intera rappresentanza parlamentare. E’ ben vero – spiegano i Garanti – che quest’ultima non dipende esclusivamente dal singolo voto, ma dalla combinazione, non disponibile da nessuno dei singoli elettori, delle volontà espresse dall’intero corpo elettorale nell’esercizio del proprio diritto, ma tale “combinazione”, affinché il suffragio sia “diretto”, deve comunque discendere esclusivamente (e direttamente) dall’insieme di quelle volontà, secondo uno schema normativamente predeterminato con riferimento ai possibili risultati e senza l’inframmettenza determinante di volontà che non siano quelle direttamente espresse dal corpo elettorale”. Come dire che ogni eletto a suffragio diretto che al primo turno aveva ottenuto pochi voti di preferenza e venga poi “ripescato” per il premio di maggioranza, assomma a questi voti la “combinazione” anche dei voti del secondo turno, che concorrono, sempre a “suffragio diretto” e universale, a formare volontà collettiva dei cittadini elettori sulla composizione del Consiglio.

Infatti, dopo il primo turno gli elettori erano ben consapevoli di come sarebbe stata la composizione del Consiglio dopo il ballottaggio secondo tutte le ipotesi possibili. Tanto più che su tutti i giornali è uscito lo schema consiliare con tanto di foto. Gli elettori avevano chiaro – ed hanno chiaro con l’attuale legge – chi sarebbe entrato o uscito dal Consiglio e quanti voti avesse ottenuto al primo turno. Hanno quindi deciso consapevolmente come sarebbe anche variata la composizione dell’aula sulla base del loro voto di ballottaggio a sostegno dell’una o dell’altra coalizione, assegnando all’una o all’altra il premio di maggioranza. Così, sminuire il consigliere che “entra in consiglio con 20 voti”, non è corretto né intellettualmente onesto, poiché quel consigliere, assieme alla sua lista, è stato sottoposto a due turni di votazione: la sua posizione in Consiglio è avallata dai 20 voti del primo turno più, ad esempio, i seimila del secondo. Il suo seggio è supportato così da 6.020 voti consapevoli che assommano i due turni di votazione.

Altro che difetto di rappresentatività.

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