Corriere della Sera
A Fare da passeparout con le banche la parentela del conte con gli Agnelli. Tra
i
1500 clienti cantanti e industriali
Scudavano il danaro prima di
averlo evaso. Ecco come operavano i furbetti di Vanuatu
Secondo
l’accusa Enrico Maria Pasquini aveva creato una fabbrica di aggiramento del
fisco
Mario Gerevini
Potremmo chiamarli i predatori dello scudo scaduto: rimpatriavano fuori termini (dicembre 2008 per l’ultimo condono fiscale) ciò che non esisteva ancora ma che già volevano sottrarre al fisco. Oppure potremmo definirli i furbetti di Vanuatu: nascondevano i soldi nell’isoletta del Pacifico, un tesoro che a un certo punto rischiava di superare quello della locale Banca centrale. A finanziarli ci pensavano alcune banche con delibere che tenevano conto, pressoché esclusivamente, della parentela con la famiglia Agnelli acquisita dal conte romano a capo della presunta associazione criminale.
La fabbrica
Enrico Maria Pasquini aveva creato una fabbrica dell’evasione secondo
l’accusa. L’inchiesta per riciclaggio ed esercizio abusivo dell’attività
finanziaria condotta dalla pm romana Perla Lori con nucleo speciale di polizia
giudiziaria della Gdf è nota nelle linee generali. Ma sono le carte delle indagini,
le intercettazioni, le rogatorie
(materiale da poco in mano agli avvocati dei sette
indagati) a svelare nuovi particolari e a entrare nel cuore del sistema Smi,
un reticolo infinito e fittissimo di finanziarie e fiduciarie che raccoglievano
il danaro dei clienti italiani (tutti conti cifrati), lo facevano transitare da
San Marino, ripulire in paesi off-shore e rientrare in Italia.
Un giro d’affari stimato in un miliardo l’anno per dieci anni. Non è detto che i clienti fossero a conoscenza del sistema: questo lo appureranno, eventualmente, indagine mirate. Nella lista dei 1500 clienti compaiono nomi noti come il cantante Zucchero, gli industriali dei salumi Levoni, delle cucine Berloni, delle acque minerali De Simone (Uliveto e Rocchetta), dirigenti di Mps e molti altri professionisti.
L’Oceano
Una delle sponde estere era la banca Uib di Vanuatu. Una cassaforte in mezzo all’Oceano Pacifico protetta dalle maglie larghe delle normative antiriciclaggio che la pubblica repubblica, uno Stato sovrano, garantisce agli ospiti finanziari. Però a un certo punto gli italiani esagerano. Il volume di capitali è eccessivo. Il conte Pasquini dice, intercettato, dice, riferendosi a Vanuatu: “Perché tutto non puoi … perché se metti tutto lì diventi più grosso, come dicevi tu, de … del la Reserve …”. Cioè della banca nazionale di Vanuatu.
Il gruppo e in particolare la Iti Leasing sono stati finanziati dalle banche (italiane, svizzere, sammarinesi) con istruttorie a dir poco sintetiche. La documentazione raccolta dalle Fiamme Gialle rivela che nelle delibere “era citata la parentela di Pasquini con la famiglia Agnelli tramite la moglie Clara Nasi”. Poco altro: spesso questa era l’unica garanzia.
“L’Ufficio Legale di Unicredit – scrivono gli inquirenti – aveva modificato il codice di intermediario estero della Smi (sede a San Marino, ndr) ‘facendolo apparire ‘ italiano” con lo scopo, presumibilmente, di agevolarne l’operatività.
Quando già si sapeva dell’inchiesta in corso i clienti mandavano sms dove il ‘nero’ in arrivo era chiamato ‘quel mio flusso …’.
La Signora Maria telefonava sempre da una cabina telefonica di Piazza Val Fiorita a Roma, ‘per quel mio flusso …’
Entrate future
Spalloni, cabine telefoniche ma anche il ben più sofisticato ‘marchingegno’ dello scudo futuro. Una macchina del tempo (fiscale). Bastava saper piegare la finanza al calendario. E’ così che un immobiliarista milanese ha rimpatriato, attraverso una fiduciaria, una polizza vita emessa da una compagnia irlandese per la quale il premio pagato era un unico titolo obbligazionario emesso dalla May, la società lussemburghese di cartolarizzazione di Pasquini. Di fatto era un certificato di entrate future, cioè crediti non ancora maturati di vendite future di immobiliaristi di lusso a Milano. Tant’è che alcuni clienti dell’immobiliarista chiamati a testimoniare (per esempio la showgirl Belen Rodriguez e Davide Lippi, figlio dell’ex ct della Nazionale di calcio), hanno confermato di avere sottoscritto impegni ad acquistare gli appartamenti nel 2009 e firmato i rogiti solo nel 2010 e inizio 2011. L’immobiliarista nel frattempo aveva già scudato prima ancora di avere evaso.