Noi Giovani Sammarinesi, Unione Europea: il caso dell’Islanda

Noi Giovani Sammarinesi, Unione Europea: il caso dell’Islanda

La data della consultazione referendaria sull’adesione all’Europa è, oramai, dietro l’angolo e il dibattito tra le parti si fa sempre più serrato. Proprio di questi giorni è la notizia relativa a un altro piccolo Paese e i suoi rapporti con l’Unione Europea: si tratta dell’Islanda, che seppur conti su una popolazione 10 volte maggiore rispetto a quella sammarinese, è considerata uno dei piccolo stati d’Europa. Ebbene, lo scorso 12 settembre il governo islandese ha fermato il negoziato per l’adesione all’Ue, che era partito il 16 luglio 2009, quando il parlamento, con 33 voti favorevoli e 28 contrari, aveva dato il mandato al governo di allora. Cosa è successo per far scegliere all’Islanda questa inversione di tendenza? Prima di tutto le elezioni dello scorso aprile, dalle quali è uscita vittoriosa la coalizione di centro-destra e il governo uscente ha subito una cocente sconfitta. Ma anche un sempre crescente euroscetticismo degli islandesi, che iniziano ora a riprendersi da una crisi – la stessa che ha colpito tutti i paesi occidentali – le cui cause gli isolani attribuiscono anche all’Europa unita. La decisione di sospendere i negoziati per entrare a far parte dell’Unione non può non essere condivisa. Nell’ottica degli islandesi, entrare in Europa rappresenterebbe una fuga del potere e della sovranità verso l’alto, verso luoghi distanti chilometri e chilometri di oceano, come accaduto prima del 2009 con le banche che detenevano di fatto il potere nella piccola isola. Una fuga che gli islandesi non vogliono permettere. Diversi sono gli argomenti che meritano un approfondimento. Il primo è che non si può prendere una decisione come quella dell’adesione senza il massimo consenso popolare. I soli 5 voti di scarto in parlamento che hanno autorizzato l’apertura del negoziato, non potevano essere sufficienti per mantenere l’isola nel percorso intrapreso. Infatti il nuovo governo ha subito cambiato direzione, una volta compreso che le trattative non avrebbero portato vantaggi fattivi che non potessero essere raggiunti con accordi bilaterali.

Nel nostro Paese il referendum, istituto giuridico sacrosanto, potrebbe consentire la compilazione immediata della domanda di adesione con poco più del 30% dei voti, che non rappresentano il nostro Stato e non sono simbolo della volontà collettiva di intraprendere questo percorso; rischiamo dunque di essere il paese che fa domanda di adesione con il minor consenso di tutti, partendo già “zoppi”. Un secondo fatto da sottolineare, è che il parlamento in Islanda ha autorizzato il governo ad avviare le trattative, non a fare domanda di adesione. Questo perché, giustamente, prima di fare domanda di adesione bisognerebbe capire esattamente quanto ci costa e quali sono i pro ed i contro; non possiamo permetterci, e di questi tempi men che meno, di sperperare denaro pubblico. Un terzo punto riguarda “ i poteri forti” così come spesso vengono chiamati nel nostro paese, ovvero le lobby di potere, le associazioni occulte e anche la mafia. Chi è sensibile sull’argomento, sa benissimo quante e quali difficoltà il nostro paese stia facendo per “depurare” la politica, l’economia e la società. Come faremo a combattere i signori ed i poteri che dominano in Europa se fatichiamo anche a combattere i nostri piccoli “valvassini”? Ora, dobbiamo ricordarci che, anche se a noi sembrano pochi, lontani ed isolati, in realtà gli islandesi sono circa 320.000, ovvero 10 volte la nostra popolazione. Come già detto gli islandesi hanno interrotto le trattative perché non volevano tornare a mettere in discussione la propria egemonia territoriale e la propria autonomia, specialmente dopo le vicissitudini derivanti dalla crisi del 2008 nel settore bancario. In tutto questo, noi crediamo di essere superiori all’Islanda, volendo addirittura non solo avviare le trattative, ma facendo direttamente domanda di adesione e senza la paura nemmeno chiederci se ce la faremo visto che un piccolo stato d’Europa ma con 10 volte volte il numero dei nostri abitanti ha interrotto le trattative perché non erano proficue.

In questi giorni di tensione sociale, una delle lamentele dei cittadini è quella di sentirsi lontani anni luce dalla politica, che sta chiusa nei palazzi e controvoglia parla con la gente. Lo specchio, in parte, di questo è sicuramente la comparsa dei movimenti e delle liste civiche in Consiglio Grande e Generale. Nell’unirci alle perplessità degli islandesi, siamo sicuri che questa nuova frontiera della nostra Repubblica avvicinerà i cittadini alla politica? O li allontanerà? Io credo che la risposta sia chiara, per chi non avesse le idee chiare, lo invitiamo al confronto il 7 ottobre alla Sala Montelupo alle 21.

 

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