A San Marino di attualità la questione dell’aborto. Ne parla L’Espresso

A San Marino di attualità  la questione dell’aborto. Ne parla L’Espresso

IL CASO

Aborto, a San Marino la donna è libera solo di morire
Nella piccola Repubblica l’interruzione di gravidanza è punita con il carcere. Ora un progetto di legge voluto dai cattolici concede alle donne un diritto: quello di immolarsi se la loro vita è in pericolo. Per la sopravvivenza del feto
DI NATASCIA RONCHETTI
15 marzo 2019

Aborto, a San Marino la donna è libera solo di morire
La raccolta delle firme è avvenuta nelle dodici parrocchie di San Marino il 6 marzo scorso. Due giorni prima della festa della donna. Poche ore e 500 parrocchiani hanno sottoscritto: l’aborto può essere consentito in un solo caso, quello in cui la vita della donna è messa in grave e conclamato pericolo dalla gravidanza. Non solo. La voce femminile – hanno stabilito – può essere ascoltata (e rispettata) sempre in un solo caso: se la donna decide di immolarsi per la sopravvivenza del feto. E’ su questa proposta di legge di iniziativa popolare che il Consiglio Grande e Generale (il Parlamento sammarinese) dovrà pronunciarsi entro sei mesi. Dovrà decidere, cioè, se modificare una delle leggi più oscurantiste e restrittive del mondo – a San Marino l’aborto è sempre punito con il carcere da tre a sei anni – concedendo alla donna una libertà di scelta. Una sola, però: quella tra la vita e la morte.

«Non si valuta se è minorenne, se è stata stuprata, se è disabile: il nostro Paese continua a vivere sotto una cappa clericale soffocante», dice Vanessa Muratori, ex parlamentare di Sinistra Unita, alla guida del Comitato promotore della legge sulla procreazione cosciente e responsabile per il quale è scattata ora una corsa contro il tempo: una raccolta di firme – ne servono almeno 60 – per presentare un’altra proposta di legge di iniziativa popolare sulla regolamentazione dell’interruzione di gravidanza e strappare così la piccola repubblica al Medioevo.

Il Comitato ci aveva già provato nel 2014 a consegnare definitivamente alla storia la criminalizzazione dell’aborto. E il traguardo sembrava a portata di mano, nonostante l’aperta ostilità della Diocesi di San Marino, che esercita ancora una forte influenza sulla politica locale. Dopo varie peripezie era riuscita ad approdare al primo esame da parte del Parlamento. Era il mese di gennaio del 2017. Superato lo step della prima lettura, senza votazione, è stata fermata. Da allora è in un cassetto, ormai inutilizzabile. Perché nel frattempo il Consiglio Grande e Generale ha votato un nuovo regolamento che prevede la discussione e la votazione delle proposte di legge di iniziativa popolare entro sei mesi dalla presentazione. Così per le donne sammarinesi continua l’emigrazione sanitaria verso l’Italia. A loro spese: si oscilla intorno ai 2mila euro. Tutti sanno. Ma nessuno vuole nemmeno documentare statisticamente quante donne sono costrette a varcare i confini.

Secondo stime dei medici sono almeno una ventina all’anno. «E’ un problema che ben pochi nel governo vogliono affrontare: la coalizione che guida il Paese non ha nemmeno inserito nel programma il tema dei diritti civili», spiega Muratori. San Marino è governata da una alleanza tra Sinistra Socialista Democratica, Civico 10 (partito nato nel 2012, che si colloca nell’area del centro sinistra) e Repubblica Futura (centrodestra), formazione, quest’ultima, che è stata determinante nell’affossare la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza. Il portabandiera del nuovo progetto di legge è Manuel Ciavatta, insegnante di religione e funzionario della Democrazia Cristiana sammarinese.

Oggi a San Marino è prevista solo un’attenuante per la donna che abortisce: se non è sposata scatta la giustificazione motivata dall’onore. Né la grave malformazione del feto, né la violenza sessuale o l’incesto possono invece salvarla dalla prigione. Un impianto normativo rigidamente patriarcale di fatto riconfermato dal nuovo Pdl. Che prevede infatti che il grave pericolo per la salute della donna sia dichiarato con parere unanime da un comitato medico costituito da tre specialisti e che la tutela giuridica del feto, sin dal concepimento, sia superiore al dritto di autodeterminazione della donna. Alla quale viene concessa un’unica libertà: quella di morire.

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