La sete di Dio in Cina. Considerazioni tratte da “Il Parlante” di Marino Cecchetti

La sete di Dio in Cina. Considerazioni tratte da “Il Parlante”  di Marino Cecchetti

(foto tratta da Asianews)

Quanto avvenuto nella Corea del Sud dove gli intellettuali hanno ‘scoperto’ la cultura occidentale fra cui la religione fino a dar luogo ad esempio a   una Chiesa molto fiorente creata e ‘gestiita’ da coreani, potrebbe  ripetersi in Cina con  ben altre dimensioni. Il numero di battezzati  in Cina  è in costante crescita. Quest’anno le cerimonie pubbliche a Pechino in occasione della Pasqua  hanno avuto una  forte eco mediatica benché ancora fra Vaticano e Pechino non si siano superate tutte le difficoltà e di una visita di Papa Francesco in Cina ancora non si parli. Ebbene nonostante ciò la Cina  potrebbe diventare ben presto la prima  nazione cristiana al mondo per numero (in assoluto) di fedeli. Per Wang Zhicheng, è la reazione al materialismo dottrinario e pratico, ereditato dal marxismo, che spinge sempre più persone a cercare un senso dell’esistenza nel cristianesimo. “Diversi nuovi battezzati – riferisce Wang Zhicheng su Asia News – confermano che la vita nel benessere ‘non bastava’ e che erano alla ricerca di ‘un senso più profondo’, di ‘valori oltre quelli materiali’: ciò che un vescovo della Cina centrale ha definito ‘una grande sete di Dio’.”

 Questa ‘sete di Dio’ in effetti in Cina è molto antica. Ecco alcuni passi tratti  (Capitolo 5 –  La logica)  dal libro “Il parlante. Il linguaggio dalla comparsa al web Motore del successo degli umani“, di Marino  Cecchetti,  edito a San Marino nel 2018 (ISBN 1220024228, info ilparlante@libertas.sm). Il libro è in vendita al prezzo di euro 15, con invio a domicilio.  Per modalità e  condizioni clicca: UNILIBRO  (disponibile anche in lingua inglese).  

  

Cina. L’imperatore figlio del Cielo

In Cina non c’è una religione con una struttura paragonabile a quelle descritte nelle letterature di Grecia, Mesopotamia, Egitto o America centrale e meridionale. L’imperatore riassume in sé e assorbe il concetto stesso di divinità. Come se per i sudditi fosse del tutto inutile andare oltre, cioè rivolgersi direttamente al Cielo avendo qui sulla Terra il Figlio del Cielo, appunto l’imperatore. È l’imperatore che, col suo ruolo di intermediazione fra Terra e Cielo, assicura l’armonia universale, di cui sono prova, ad esempio, il moto dei corpi celesti, da cui deriva il regolare ciclo delle stagioni, l’alternarsi del giorno e della notte e tutto quello che ne consegue. Niente di più temuto in Cina “del disordine cosmico” (Jacques Gernet). L’armonia cosmica è “una sorta di ossessione”. Va perseguita prima di tutto, a costo di tutto, di per sé, come valore assoluto.

 Talvolta gli stessi imperatori, pur ‘figli del Cielo’, cercano essi stessi un dialogo col Cielo. Sappiamo, ad esempio, di Wu, della dinastia Han, l’imperatore che ha proclamato il Confucianesimo ortodossia di Stato, anzi ‘culto’ di Stato (Maurice Collis).

Il confucianesimo – una riflessione filosofico-sociale areligiosa, sostanzialmente agnostica, funzionale alla conservazione dello Stato – dà all’uomo le regole per come comportarsi sulla Terra. Ma non insegna affatto come arrivare al Cielo. Ebbene, proprio lui, Wu, capo supremo di quello Stato immenso, imperatore divinizzato, anzi ‘dio’ per il suo popolo, invocato dal suo popolo come Figlio del Cielo, insegue un impossibile dialogo con il Cielo. E per tutto il tempo del suo lunghissimo regno (141-87 a.C.).

Wu cerca di comunicare col Cielo con i mezzi più vari, nonché fantasiosi. Confucio ha detto che è vano indagare il mistero del Cielo? Ciò vale per i sudditi del Figlio del Cielo. Lui, Figlio del Cielo, non si attiene a quel che dice Confucio. Vuole comunicare col Cielo. Ricorre alla stregoneria, alla magia, ai medium; ingaggia i migliori cervelli per individuare i riti più appropriati; sale a piedi, con tutto il seguito, sul monte T’ai Sham per sacrificare al Cielo; vi sale nuovamente accompagnato da una persona sola (che poi farà ammazzare); insegue il miraggio delle ‘Isole Fortunate’

Dal Cielo mai nulla

Han Wu sacrifica sul piccolo altare ‘del dio del Suolo’ e sull’altare ‘superiore del Cielo’; offre libagioni al Cielo, all’augusta Terra, agli Antenati; beve l’alcool ‘della Felicità’; digiuna nella ‘Sala della grande Gloria’; si acconcia nella ‘Sala della splendente Santità’; si calca in testa il ‘cappello della comunicazione col Cielo’. Il Cielo, però, rimane muto. E l’uomo Wu, Figlio del Cielo, che è venerato dai sudditi come Figlio del Cielo, rimane nella sua angoscia, per quel mancato dialogo. Se non può comunicare lui col Cielo, lui che è Figlio del Cielo, chi può?

Come il Cielo cinese, i cieli di tante religioni sono muti. E l’uomo rimane nella sua angoscia. E continua nella ricerca ossessiva di un colloquio con la divinità, che non è possibile instaurare, perché dal Cielo non arriva niente. Nemmeno dal Cielo dei Greci arriva niente, benché tanto popolato. Di dèi, ce ne sono tanti nelle antiche civiltà. Una folla. Tanti e insensibili tutti al dolore dell’uomo.

Lontano dal Mediterraneo talvolta è ancor peggio. Da altri cieli, come quello azteco, si affacciano mostri orribili. Figure terrificanti. L’uomo è tormentato col più infame dei ricatti. Gli dèi minacciano di spegnere il Sole, se interrompe il tributo di cuori umani sugli altari dei loro templi. Ben 20mila persone sono state squartate, nel corso di una sola cerimonia, a Huitzlopochtli, in occasione della riconsacrazione del tempio di quella città.

 

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 Dalla ‘quarta di copertina’ di “Il parlante”
Con un approccio divulgativo si rilegge il percorso della civiltà, scegliendo di mettere in particolare rilievo alcune tappe:
– l’alfabeto e lo zero; 
– la separazione fra divinità e natura; 
– la tecnica che dalla ruota dentata dell’orologio medioevale ci ha portati su su fino alla Luna; 
– la logica, che gemmata dal sillogismo aristotelico,  sta alla base dell’utensile ‘amico computer’. 
In quanto parlante l’uomo resta al centro del creato, anche se non più fisicamente come si riteneva prima di Copernico. 
In prospettiva c’è il ‘robot sapiens’, obiettivo dei recenti progetti sull’apprendimento automatico, ed, in sostanza, anche dell’Alfabeto del Pensiero di Leibniz. Lo potremmo considerare il Sacro Graal del nuovo millennio: lo ‘schiavo perfetto’ del parlante, costruito dal parlante stesso.
 

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