San Marino. “In politica di fronte all’imprevisto”, don Gabriele Mangiarotti

San Marino. “In politica di fronte all’imprevisto”, don Gabriele Mangiarotti

Stiamo entrando in campagna elettorale in un momento in cui è evidente che per superare la crisi nella quale viviamo bisogna trovare risorse reali e credibili.

Saranno i programmi (che sempre vivono sulle gambe delle persone, dunque sulle loro ragioni e sul loro cuore) a diventare il criterio discriminante per assegnare un voto e quindi aprire lo spazio di un serio impegno politico.

Educazione e diritti al centro della riflessione di don Gabriele Mangiarotti 

[C. s.] Mi pare evidente che, oltre alla lista dei desideri (siamo oramai abbastanza vaccinati contro queste illusioni demagogiche), è necessario indicare i criteri a cui si ispirano i candidati, certi che saranno questi valori e principi che «faranno la differenza» di fronte alle diverse necessità. In questi giorni, in un incontro che ho tenuto a Reggio Emilia con un amico informatico, rivolto agli insegnanti di religione, il relatore ha mostrato una pubblicità straordinaria, che mostrava la partita di pingpong tra il campione mondiale Timo Boll e un robot (quasi) perfetto. La partita sembrava dare la vittoria al robot, salvo che, per una mossa imprevista del campione (la pallina che ha toccato la rete e ha modificato la prevedibile traiettoria) la rimonta è stata inarrestabile e la vittoria è andata a Timo Boll. Come dire che la genialità umana sa cogliere anche nell’imprevisto la chance che può risolvere la questione. Così credo che sarà la vicenda politica che ci aspetta, in questo tempo drammatico e carico di nuove sfide. Mi ha colpito leggere in alcuni programmi l’interesse all’educazione, sentito come emergenza della nostra Repubblica, non solo per i giovani. E sappiamo come questo tema stia nel cuore della nostra comunità cristiana. Ma credo che ci sia un altro argomento che può suggerire un criterio per scegliere chi potrà rappresentare una proposta positiva per il nostro paese. È il tema dei diritti, che chiede di trovare indicazioni chiare da parte di chi si propone di lavorare per il bene comune. Non ci nascondiamo di fronte alle sfide che già interessano il dibattito comune: dall’aborto alla eutanasia, dalla famiglia cosiddetta tradizionale (quella composta da un uomo e una donna) alle nuove forme di convivenza che vorrebbero essere riconosciute come diritto sociale, per non trattare poi dei diritti legati alla informazione e alla educazione libera che sappia riconoscere il giusto ruolo della famiglia. In questo clima dove si esalta con tanta enfasi il dialogo, forse dovremmo ritornare alla disputa, come è sempre stata intesa, cioè a quel confronto che, nel rispetto reciproco, e nella completa accettazione della diversità, senza che questo dia origine a forme settarie di esclusione, mette a tema la verità, della vita e della società. Perché se l’aborto, per rimanere attaccati alle questioni reali, è uccisione di una vita umana pur nel suo primo inizio, allora non se ne può parlare come di un diritto, e bisogna essere chiari, non fumosi e possibilisti. Come pure se l’identità sessuale è qualcosa che non può dare origini a discriminazioni, allora la parità tra uomo e donna non è solo un pio desiderio o uno slogan, ma chiede impegno chiaro e non negoziabile. Forse si potrebbe dire che ogni diritto deve trovare nella verità dell’uomo il suo fondamento; papa Giovanni Paolo II parlava appunto di «antropologia adeguata» per risolvere le gravi questioni del nostro tempo. Noi chiediamo a chi si candida in politica di dichiarare senza ambiguità i criteri ispiratori della propria azione, certi che nelle circostanze (anche quelle imprevedibili) potranno portare alla vittoria del bene comune. Solo nella chiarezza è possibile costruire, anche con chi ha concezioni della vita differenti, e questo non è utopia, ma esperienza consolidata nel tempo. Ogni ibrido, solitamente, porta alla infecondità e alla sconfitta.

 

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