San Marino. Italease, ok della Cassazione alla confisca di 4,3 milioni da incamerare

San Marino. Italease, ok della Cassazione alla confisca di 4,3 milioni da incamerare

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Italease, la Cassazione da’ l’ok alla confisca di 4,3 milioni da incamerare a San Marino

La Corte riconosce che nel processo sul Titano il diritto di difesa è stato garantito e chiarisce che non è applicabile il ne bis in idem

Antonio Fabbri

Arriva la parola definitiva della Corte di Cassazione italiana sulla confisca per equivalente disposta nell’ormai lontanto 2011 dal Tribunale di San Marino nell’ambito del cosiddetto “caso Italease”. Si tratta del primo processo per riciclaggio che in Repubblica è giunto a condanna definitiva. Da allora ne seguirono molti altri. La decisione della Cassazione, adottata l’11 dicembre scorso, è stata pubblicata il 17 gennaio 2019. Si tratta di una sentenza che tocca diversi aspetti: dalla validità della confisca per equivalente disposta dal Titano e applicabile in Italia, al ne bis in idem, sollevato anche di recente davanti al giudice sammarinese e finora sempre rigettato. Una decisione importante che conferma alcuni principi volti al recupero delle somme confiscate anche oltre confine.

Il caso Italease Il caso della Banca Italease scoppiò a San Marino in seguito ad una indagine dei magistrati milanesi che scoprirono come i vertici di quella banca provvedevano a “deviare a fini illeciti e di arricchimento personale le principali attività economiche di Italease e di alcune collegate”. Una parte di quel denaro finiva a San Marino, occultato presso l’allora Istituto Bancario Sammarinese, dove il servizio antiriciclaggio aveva segnalato movimentazioni sospette su un conto acceso il 2 agosto 2006, intestato alla Final Work Consulting, società sammarinese amministrata dall’imputato nel processo sul Titano, il commercialista ravennate Marco Benini. Su quel conto erano confluite somme per oltre 4,3 milioni di euro, attraverso un’altra società italiana, Raelle sas Consulting”.

Se quindi in Italia avanzavano le indagini e il procedimento per il crac della banca e i suoi

amministratori, a San Marino parallelamente avanzava l’inchiesta per riciclaggio, che aveva portato al rinvio a giudizio, prima, e alla condanna, poi, di Marco Benini, appunto. La sentenza di primo grado a suo carico venne pronunciata dal giudice Roberto Battaglino il 15 giugno 2010. Benini venne condannato a 2 anni e 6 mesi di prigionia ed all’interdizione dalla professione, 6.000 euro di multa, ma soprattutto la condanna al pagamento dell’intera somma transitata in Repubblica: 4,3 milioni. Il giudice delle appellazioni David Brunelli confermò, a luglio dell’anno successivo, la sentenza di primo grado.

La confisca per equivalente e il ricorso Il denaro confiscato, però, non era sotto sequestro a San Marino. Il giudice delle esecuzioni ha dovuto così attivare i canali di rogatoria internazionale per dare corso a quanto disposto dalla sentenza sammarinese e poter procedere a recuperare, oltre confine, i 4,3 milioni di euro. Dalla sentenza definitiva del 2011, quindi, il 13 giugno del 2018, a distanza di 7 anni, è arrivata la decisione della Corte di Appello di Bologna che ha disposto il riconoscimento, a fini esecutivi, della sentenza sammarinese e quindi “al pagamento della somma di euro 4.361.364,10 a titolo di confisca per equivalente, e per l’effetto ordinava l’esecuzione nello Stato della misura della confisca”, si legge nella ricostruzione della Cassazione.

Alla decisione della Corte di Appello, però, Benini, tramite i suoi legali, si era opposto. In sostanza il ricorrente sosteneva, tra le altre cose, che la sentenza sammarinese non avesse “rispettato i diritti fondamentali della difesa ed in particolare il diritto al contraddittorio nell’acquisizione della prova”. Parole che anche oggi riecheggiano spesso in tribunale sul Titano.  I legali del ricorrente sostenevano anche che dovesse essere applicato il principio del ne bis in idem, poiché “in Italia per gli stessi fatti, oggetto della sentenza straniera, era stata emessa a carico del ricorrente una decisione per il procedimento disciplinare la cui sanzione aveva natura “penale”, secondo i criteri indicati dalla Corte EDU (gravità della sanzione, anche potenziale, nella specie costituita anche dalla radiazione dall’albo), venendo così la sentenza impugnata a violare il principio del ne bis in idem”.

La decisione della Cassazione Questi i punti principali che però la Corte di Cassazione ha rigettato dichiarando  inammissibile il ricorso.

Quanto alla contestata violazione del diritto di difesa la Corte ha sottolineato di avere “più volte affermato che non è di ostacolo alla cooperazione richiesta dallo Stato estero, per violazione dei diritti fondamentali, il fatto che sia stata pronunciata sentenza di condanna definitiva utilizzando, per l’accertamento della sua responsabilità, prove assunte fuori dal contraddittorio, poiché i diritti fondamentali, tra cui rientra anche il principio del contraddittorio nella formazione della prova, possono essere garantiti in maniera non uniforme dai vari ordinamenti, essendo solo sufficiente che venga salvaguardato il nucleo essenziale dei diritti di difesa dell’imputato. Tanto posto, il ricorrente non ha dimostrato che i suoi diritti fondamentali sono stati lesi per mancanza di garanzie nel processo subito e che in particolare la difesa abbia chiesto, senza esito, l’escussione del dichiarante”.

Quanto all’ulteriore punto di interesse anche in questo periodo a San Marino, quello del ne bis in idem internazionale, la Cassazione ha sottolineato: “In ordine alla violazione del “ne bis in idem”, l’approccio seguito dal ricorrente è manifestamente infondato. La Corte EDU ha più volte affermato che il divieto del bis in idem sancito dall’art. 4 Prot. n. 7 CEDU è applicabile solo nell’ambito di procedimenti riguardanti il medesimo Stato (tra tante, Corte EDU, Boheinn c. Italia, 22/05/2007; Trabelsi c. Belgio, 4/09/2014; Krombach c. Francia, 20/02/2018)”. La Corte, rigettando il ricorso, rende dunque effettiva ed eseguibile in Italia la confisca della ingente somma che, quindi, dovrà essere adesso incamerata all’erario sammarinese.

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