Ricorso ai Garanti per incostituzionalità di una norma, lo sfogo di Livio Bacciocchi: “Forse vale la legge del più forte, del più ricco o del più politico?”

Ricorso ai Garanti per incostituzionalità di una norma, lo sfogo di Livio Bacciocchi: “Forse vale la legge del più forte, del più ricco o del più politico?”

“Pensare che gli interessi dei più forti possano davvero insediarsi anche all’interno del Collegio Garante, influenzandone le decisioni, significherebbe proprio la FINE della nostra Repubblica e non può che fare paura”.

A lanciare questo durissimo atto d’accusa verso il Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme è Livio Bacciocchi, ex dominus della finanziaria Fincapital che è stata protagonista, nel bene e nel male, della storia recente di San Marino.

A scatenare questa reazione, diffusa come nota stampa ai giornali, è stata la decisione dei Garanti in merito alla legittimità costituzionale della legge del 1981 che sancisce il divieto di utilizzare in giudizio, come mezzi di prova, atti e documenti che non siano in regola con l’imposta di bollo e di registro anche se autenticati da notaio. Come spiegato questa mattina da Antonio Fabbri sul quotidiano Informazione, il Collegio Garante, composto dal presidente, Giuseppe De Vergottini, e dai giudici Kristina PardalosGlauco Giostra, venerdì scorso non si è focalizzato solo sulle questioni relative alla legittimità costituzionale della norma che si sostiene violi il diritto di difesa, ma ha dato alle parti 15 giorni di tempo per capire se nel periodo specifico l’appellante avesse la disponibilità (si parla di milioni di euro) per registrare gli atti assolvendo l’imposta prevista.

Scrive Bacciocchi: “Venerdì 17 giugno 2022, mentre la delegazione sammarinese e le  coalizioni di governo esprimevano sprizzante soddisfazione sugli organi  di stampa, plaudendo a quelli che sarebbero i risultati raggiunti nel  recepimento delle raccomandazioni del GRECO, a Palazzo Pubblico si svolgeva un’Udienza dinanzi al Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme, che dava l’ennesimo segnale di come, nei fatti, si dica quel che si dica, gli organi della nostra Repubblica sembrino sempre più  lontani dalla loro funzione a salvaguardia dei diritti dei cittadini e del  bene comune.

Il Collegio Garante è stato chiamato a pronunciarsi sulla verifica di  legittimità costituzionale dell’articolo 59 della legge 29 ottobre 1981 n. 85, che sancisce il divieto di utilizzare in giudizio, come mezzi di prova, atti e documenti che non siano in regola con l’imposta di bollo e di registro. 

Detto articolo è stato ritenuto, dalla procura eccepente, incostituzionale, nella misura in cui, vietando al giudice di tenere in considerazione, ai fini della propria decisione, atti e documenti non registrati, impedisce alla parte che non ha risorse economiche sufficienti per far fronte al pagamento delle imposte, di difendersi equamente ed adeguatamente nel processo, stante l’impossibilità di dimostrare le sue ragioni che si fondano proprio su quel documento che non può essere utilizzato per il fatto di non essere registrato. 

In tal modo, le condizioni economiche del soggetto finiscono per  costituire criterio selettivo dell’accesso alla tutela giurisdizionale e  discrimine per godere di maggiori o minori garanzie processuali,  viceversa incondizionatamente riconosciute dalla nostra Carta dei Diritti e dalla CEDU, in spregio pertanto all’inviolabilità del diritto di difesa, al principio del contraddittorio (a parità delle armi) ed al generale principio di uguaglianza, quali ineludibili e incomprimibili valori fondanti il nostro ordinamento. 

Il Collegio dovrà dunque stabilire se la previsione contenuta nell’articolo  59 violi gli artt. 4 e 15 della nostra Dichiarazione dei Diritti, gli artt. 6 e 14  della CEDU, l’art. 1 del Protocollo 12 alla CEDU. 

Nell’udienza di venerdì, però, invece di disquisire sulle questioni di  diritto avanzate – valutando se, e come, la norma in esame si ponga in contrasto con i principi fondamentali sopra richiamati -, il Collegio ha incentrato la sua attenzione sulla vicenda specifica da cui è scaturita la richiesta di verifica di legittimità costituzionale, ponendo, tra gli altri, un quesito alquanto bizzarro alla procura che ha sollevato l’eccezione: quesito che non dovrebbe competere al Collegio in quanto non pertinente né dirimente al fine di una pronuncia di incostituzionalità, la quale, al di là del peculiare caso concreto ed, anzi, a prescindere da esso, si estenderebbe a beneficio della collettività e si applicherebbe a chiunque venisse a trovarsi nella medesima situazione. 

Non solo, ma l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza della eccezione di incostituzionalità dell’articolo 59 erano già state rilevate con ordinanza del 25 aprile 2022 dal Giudice Civile d’Appello, il quale  aveva chiaramente riconosciuto e validamente motivato la sussistenza e la consistenza dell’effettivo interesse della parte ad avanzare la richiesta (oltre, ovviamente, alla fondatezza del sospetto di illegittimità costituzionale della norma)”.

Di qui la domanda sibillina di Bacciocchi: “Per quale motivo, allora, il nostro Supremo Organo Garante – il cui  compito è quello di assicurare incondizionatamente il rispetto dei  principi costituzionali, rimuovendone gli ostacoli di tipo normativo, a  prescindere da chi sia il soggetto che li eccepisce – deve fare domande inerenti la specifica vicenda sottesa alla richiesta, su aspetti non pertinenti al giudizio di legittimità costituzionale che Lo Stesso è chiamato a dare? 

Non è che, forse, una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale nuocerebbe alla Banca (controparte processuale di chi ha avanzato l’eccezione), la quale finora ha potuto procedere vittoriosa nei giudizi,  forte del fatto che l’accordo stipulato con la parte non potesse essere dalla stessa utilizzato in giudizio, in quanto non registrato? D’altronde, la Banca e/o i suoi legali si sono da sempre adoperati per impedire in ogni modo la registrazione e l’utilizzo in giudizio dell’accordo da loro stessi redatto e sottoscritto: non solo negandone l’esistenza, ben conoscendo l’impossibilità economica della parte di sostenere i costi di registrazione e sapendo dunque che non avrebbe potuto farlo valere in giudizio, ma arrivando addirittura ad intervenire nell’iter amministrativo del Comitato di Gestione e Valutazione per la concessione del patrocinio gratuito. Beneficio, quest’ultimo, che, grazie all’esenzione dal pagamento delle imposte, avrebbe consentito di utilizzare in giudizio l’accordo.

Non è che allora, forse, vale la legge del più forte? O del più ricco? O del più politico? 

Certamente non ci si stupisce più di nulla, ormai: negli ultimi mesi abbiamo letto di pressioni incessanti su chiunque non obbedisca o non  si allinei al diktat di qualcuno o provi ad ostacolarlo; abbiamo letto di  Giudici che hanno aperto fascicoli a carico di persone che hanno solo avuto la colpa di esprimere pubblicamente il proprio legittimo dissenso; abbiamo letto di scontri e dinamiche singolari all’interno del Tribunale, di continue e dubbie redistribuzioni del carico di lavoro dei Magistrati, di bandi di reclutamento alquanto incerti, di riforme fulminee e provvedimenti ad hoc; abbiamo letto di associazioni segrete, di  sindacati, di denegata giustizia, di prescrizioni, di fascicoli segretati per  10 anni, di azioni di responsabilità”. 

Quindi l’affondo: “La separazione dei poteri è sicuramente un’utopia a San Marino e da più parti si sostiene che sia in atto una deriva autoritaria senza precedenti. 

Ma pensare che gli interessi dei più forti possano davvero insediarsi anche all’interno del Collegio Garante, influenzandone le decisioni, significherebbe proprio la FINE della nostra Repubblica e non può che fare paura. 

Da dottore in diritto, da uomo e da cittadino, mi auguro di non dover avere paura”.

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