Rinnovo contratto servizi: i lavoratori continuano a perdere potere d’acquisto. Rete

Rinnovo contratto servizi: i lavoratori continuano a perdere potere d’acquisto. Rete

Da qualche settimana circa 3.000 lavoratori dei servizi hanno ottenuto il rinnovo contrattuale, ponendo fine alla vacanza contrattuale per il periodo 2009 – 2017!

Analizziamo la parte del trattamento economico raggiunta al tavolo di contrattazione tra associazioni di categoria e sindacati, prendendo ad esempio un lavoratore che nel 2009 aveva uno stipendio di €1.500,00, così da poter spiegare numeri alla mano l’esito del contratto.

Se si fosse voluto coprire l’aumento del costo della vita a San Marino, calcolato dall’Ufficio dati e statistica, tale lavoratore avrebbe avuto un adeguamento del 2,99% nel 2010 (lo stipendio sarebbe dunque passato a €1.544,85, pari a €627,90 in un anno), del 2,21% nel 2011 (stipendio a €1.578,99, €477,98 in un anno), del 2,53% nel 2012 (€1.618,94, €559,28 in un anno) e del 1,45% nel 2013 (€1.642,41, €328,64 in un anno).

Nel corso dei 4 anni questo lavoratore avrebbe uno stipendio che in termini relativi sarebbe maggiore di €142,41 al mese rispetto al 2009, ma che di fatto avrebbe consentito unicamente di mantenere lo stesso potere d’acquisto.

Non sarebbe stato dunque un aumento ma un adeguamento.

Questo è ciò che sarebbe accaduto se il referendum sostenuto da CDLS un paio d’anni fa, e dal comitato “R&T” diversi anni fa, fosse stato approvato.

Con il rinnovo del contratto servizi, invece, per il periodo 2010 – 2013 si prevede un adeguamento “una tantum” di €200,00 al posto dell’adeguamento complessivo di €1.993,80 che sarebbe stato necessario per non perdere potere d’acquisto. Un quinto di quanto dovuto!

E c’è di più: fino al rinnovo contrattuale, ai lavoratori del contratto servizi le cui aziende sono in OSLA era stato riconosciuto un adeguamento pari alla metà di quanto ottenuto nel rinnovo di contratto precedente. Adesso, date le cifre irrisorie riconosciute per il periodo 2009-2013, si vedranno detrarre in busta paga quanto ricevuto nel frattempo! Il nostro timore è che ciò costituisca un pericoloso precedente e che tale impostazione verrà riproposta anche nei prossimi rinnovi contrattuali. Dal 2015 al 2017 si prevedono inoltre aumenti medi del 1%, e stiamo pur certi che l’aumento del costo della vita sarà ben superiore.

Ergo: i lavoratori che sottostanno al contratto servizi sono un bel po’ più poveri oggi rispetto al 2009, e devono anche restituire i soldi ai loro datori di lavoro!

Non vogliamo incolpare nessuno di questo pessimo risultato, che ancora una volta punisce i dipendenti: cosa poteva ottenere di più il sindacato? Crediamo ben poco, in assenza di strumenti automatici di rivalutazione degli stupendi, che ad esempio hanno in Belgio e Lussemburgo…e mica se la passano male!

Vogliamo solo rimarcare come gli attacchi allo stato sociale vestano molti abiti: più tasse, più rigore, riduzione del salario. Sopra ognuno di essi c’è sempre lo spauracchio dell’inflazione, che però non è in alcun modo connessa al mantenimento del potere d’acquisto dei salari, come dimostrano le tabelle inflative italiane dove l’inflazione era in picchiata ben prima che venisse eliminata la scala mobile.

La motivazione addotta per questi risultati, che ledono il diritto dei lavoratori ad essere equamente pagati (se la paga era equa nel 2009, nel 2014 non lo è più perché svalutata significativamente, dunque lavoro allo stesso modo ma sono pagato di meno), è sempre la solita: altrimenti le imprese non sono competitive e rischiano la chiusura!

Ma ne siamo sicuri? Crediamo che sia sul costo del lavoro che la nostra impresa possa rimanere a galla? E come competere con realtà in cui il costo del lavoro è un quinto del nostro? Diversi autorevoli studi economici (ad es. Marco Manacorda, 2004, e Francesco Pastore, 2010) confermano che al contrario di quanto viene solitamente sostenuto, dal momento in cui la scala mobile è stata soppressa (in Italia come a San Marino) i lavoratori ci hanno rimesso sia in termini assoluti (salari più bassi) sia in termini relativi (aumento della disuguaglianza reddituale).

In parole povere i soldi che non sono finiti in tasca ai lavoratori sono andati in tasca ai datori di lavoro, aumentando i profitti ma nel contempo riducendo sensibilmente i consumi, in un avvitamento che è una delle concause della crisi che continua a mordere. Non ci pare insomma un bel risultato aver lasciato che anche in questo caso non si sia tenuto conto del parametro del costo della vita.

Movimento R.E.T.E.

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